capitolo 11
La Chalmers tornò a immettersi sulla strada mentre Logan si allacciava la cintura. Le sue labbra disegnavano una linea sottile, una rete di piccole rughe le circondava gli occhi. Guardava fisso davanti a sé.
Logan accese il cellulare. «Immagino che ci sia un motivo per questo improvviso malumore, giusto?»
«Non sono di malumore, signore».
«Avanti, allora, sputa il rospo».
La mascella di lei si serrò un paio di volte, come se stesse masticando qualcosa di amaro. «Con tutto il dovuto rispetto: mi ha spedito a fare il tè mentre perquisiva il sottoscala. La donnina delicata fa il tè, mentre l’uomo grande e forte fa il vero lavoro da poliziotto». Girò il volante verso sinistra, lasciando la strada che stavano percorrendo. «Mi lasci indovinare: non pensava che la mia bella testolina fosse all’altezza della situazione. Siamo brave solo a fare il tè».
«Capisco». Logan scorse l’elenco dei contatti fino a far comparire il numero della Centrale. «Ora ti senti meglio?»
«È sessista».
«Davvero?». Un sorriso gli comparve sul volto, per poi trasformarsi in un ghigno. «Ho perso il conto del numero di volte in cui sono dovuto andare a preparare il tè con i parenti angosciati mentre la Steel ficcava il naso tra le loro cose. È quello che succede quando sei un sergente: sei tu il diversivo». Premette il pulsante, partì la chiamata e poi sentì gli squilli nel ricevitore. «E quando sarai tu l’ispettore, potrai vessare qualunque povero idiota ti verrà assegnato…».
Una voce femminile gli riecheggiò nell’orecchio. «Centrale di polizia».
«Sì, sono l’ispettore McRae, avete arrestato…».
«Un momento…». Ci fu una pausa. Qualche fruscio. Poi una conversazione soffocata. «Sì, è di nuovo lui. Vuole sapere se abbiamo preso quel brutto ceffo che lavora per Wee Hamish».
«Non ha niente di meglio da fare?»
«Sembrerebbe proprio di no».
«Vi sento, sapete?».
La donna tornò al telefono, con la voce squillante di prima. «Ora controllo, signore».
Uno scatto. Poi una versione crepitante e metallica di un valzer. Era stato messo in attesa.
La Chalmers raggiunse la strada principale, tornando indietro dopo un altro cantiere. L’intera zona era un’incubatrice di piccole case in cortina con piccoli giardini e garage troppo stretti per contenere una macchina degna di questo nome.
Logan mise una mano in una tasca della giacca e ne trasse il taccuino rilegato in cuoio rosso che aveva trovato nel sottoscala. Lo posò sul cruscotto. «Ho trovato questo, nascosto in uno dei libri scavati».
La Chalmers rispose con una leggera scrollata di spalle. «Cos’è?»
«Una specie di diario di stregoneria. Ci sono circoli magici e altri simboli… Pronto?».
La voce della Centrale era tornata. «Sì».
«Sì cosa?»
«Sì, è stato arrestato un’ora fa dalla squadra Alfa Tre Nove. Era al Burning Buck, completamente ubriaco. Lo controllano ogni quindici minuti per assicurarsi che non soffochi nel suo stesso vomito».
E forse non sarebbe stato un male.
«Aspettate ancora un po’, poi portatelo nella sala interrogatori numero tre. Saremo di ritorno tra…». Cinque minuti per attraversare Kintore, mezz’ora per placare i genitori di Anthony Chung, altri venti minuti per tornare in città… «Diciamo un’ora».
Una pausa. «Sì, sarà meglio che si metta d’accordo con il sergente di turno». Poi attaccò.
La Chalmers prese il diario dal cruscotto, soppesandolo in una mano mente continuava a guidare. «Agnes sa che sua madre e suo padre la controllano, quindi forse tiene un falso diario in camera da letto, dove loro possono facilmente trovarlo, mentre quello vero è nel ripostiglio del sottoscala».
«Leggilo. E chiama il procuratore generale: voglio farmi autorizzare un controllo gsm sui cellulari di Agnes e Anthony. E poi chiama tutti gli ospedali in Scozia, e chiedi di controllare i tentativi di suicidio».
«Si immagina come può essere vivere con qualcuno che ti controlla tutto il tempo in quel modo, senza mai avere un minimo di privacy? Io sarei scappata anni fa».
L’ultimo indirizzo noto di Anthony Chung, prima che scappasse di casa per salvare la sua ragazza da una madre pazza e iperprotettiva, era in un isolato d’angolo di un elegante quartiere all’estremità sud di Kintore. Grandi case con grandi giardini e grandi macchine parcheggiate sui vialetti. La villa dei Chung aveva perfino un cancello di ferro battuto, montato su colonne di arenaria, ma al di là non c’era nulla: il vialetto era vuoto.
La Chalmers si accostò al marciapiede, lasciando il motore acceso. «Non è un buon segno, vero?».
Logan uscì alla luce del sole.
Le pale di un elicottero facevano sentire il loro ritmico rumore da qualche parte sopra la Kirkhill Forest; nelle vicinanze si sentivano gli strilli allegri di un bambino, accompagnati dai latrati acuti di un piccolo cane; da più lontano proveniva il brusio basso di un tosaerba. Un uomo, tre case più in là, fischiettava un motivo monocorde, mentre lavava la sua Range Rover Sport.
Logan aprì il cancello e si avviò lungo il vialetto. Un portico si estendeva dall’edificio, creando un piccolo rettangolo schermato dai raggi del sole. Premette il pulsante del citofono, e un motivo classico cominciò a risuonare all’interno, seguito dai latrati di un cane. Uno di quelli grossi e pieni di denti aguzzi.
Un minuto più tardi, il Bolero di Ravel smise di farsi sentire. Nessuno aveva risposto al citofono. Ma quel cagnaccio infernale continuava ad abbaiare senza tregua, come una mitragliatrice automatica.
Logan provò a suonare nuovamente.
La Chalmers gli si affiancò. «Forse sono fuori?»
«O forse sono semplicemente… Oh, dannazione, che c’è adesso?».
La suoneria collegata alla Steel riecheggiò dalla sua tasca. Logan tirò fuori il cellulare e indicò alla Chalmers il mattonato che correva lungo la casa. «Prova sul retro».
Lei alzò lo sguardo sull’edificio, sfregando il pollice contro gli altri polpastrelli. «E se il cane…».
«Se potesse uscire, saremmo già scappati a gambe levate e senza più chiappe nei pantaloni. Vai».
Non appena si fu allontanata, rispose al cellulare. «Lo sto facendo, okay? Sono appena stato dai Garfield e ora sono dai Chung».
«Che sta succedendo con quella dannata vittima incravattata? Come mai non è stata ancora identificata?».
Logan alzò gli occhi verso il cielo chiaro. Si vedeva un aeroplano, decollato da poco dall’Aeroporto di Aberdeen, intento a virare verso sud, o verso est, in rapido allontanamento. Passeggeri fortunati. «Quante cose pensa che possa gestire contemporaneamente? Sto cercando…».
«Che cosa ti ho detto riguardo al fatto di organizzare le cose? Non sei tenuto ad andare in giro…».
«È stata lei a dirmi di venire qui! Lei, non ho deciso io!».
Un colpo di tosse. «Sì, be’… non cambiare argomento».
«Identificheremo il cadavere appena possibile. Ora se ne vada al diavolo e mi lasci lavorare». Attaccò. Si mordicchiò l’interno di una guancia, per qualche istante. Forse dire alla Steel di andare al diavolo non era stata una grande idea. Spense del tutto il cellulare.
La Chalmers ricomparve attraverso il cancello. Si fermò sul lato della casa, e strusciò la suola della scarpa contro il bordo che costeggiava il sentiero. «È tutto chiuso a chiave, qui intorno. L’unica cosa che si muove è il loro pastore tedesco, grosso come un cavallo. Quindi o Mr e Mrs Chung si sono nascosti sotto al letto, o il cane li ha divorati, oppure sono fuori». E riprese a strusciare la suola.
Logan recuperò un biglietto da visita e scrisse un messaggio sul retro, in lettere piccole e chiare: ci dispiace di non avervi trovato. potete chiamarmi, in modo che possiamo fissare un appuntamento e parlare di anthony? Poi lo infilò nella buca delle lettere.
La Chalmers aveva smesso di strusciare la suola contro il bordo del vialetto, ora la stava strusciando contro l’erba del prato… «Che si fa?».
Logan si avviò sul vialetto, diretto al cancello. «Non c’è altro che possiamo fare, qui. È il momento di andare».
Logan fece scorrere lo sportello dell’oblò sulla porta della cella e sbirciò all’interno. Sbatté le palpebre. Poi arretrò di un paio di passi, agitando una mano davanti al naso. Il fetore acuto dell’alcol rancido riempiva l’aria, facendogli lacrimare gli occhi. «Dio santo, c’è una distilleria, là dentro…».
Il secondino arricciò il naso. «Stava bevendo tequila come se non ci fosse un domani, quando l’hanno arrestato. Ho sentito che si era già scolato una bottiglia di Bell’s da solo».
Logan tornò ad avvicinarsi alla finestrella.
La cella non era molto più grande del bagno di un hotel. Il pavimento palladiano rossiccio era disseminato di vestiti, e i raggi chiari del sole scendevano attraverso i piccoli rettangoli di vetro che componevano la finestra. Proiettavano scintillanti cubi di luce sulla schiena nuda di Reuben, facendo luccicare la peluria in mezzo alle sue scapole.
Era sdraiato su un fianco, con le spalle alla porta, nudo a parte un paio di mutande blu scuro e un singolo calzino. E russava. Come il maiale di qualche film dell’orrore.
L’agente si strinse nelle spalle. «Ci sono voluti tre di noi per metterlo in posizione di sicurezza».
«Vi ha dato problemi?»
«No: tutto tranquillo. Ha detto a Michelle che la amava, poi lo ha ripetuto a Mark. E io?». Sospirò la donna. «Sempre la damigella d’onore…».
Reuben sussultò, e un profondo grugnito di gola riecheggiò fin nel corridoio.
L’agente richiuse lo sportello dell’oblò. «È proprio un amore, no?».
Logan lanciò uno sguardo alle sue spalle, verso il corridoio. «Pensa che riuscirete a portarlo in una sala interrogatori?»
«Non siamo riusciti a svegliarlo neanche per farlo visitare dal medico di turno. Quel gran pezzo di manzo è come morto. Domattina avrà un post-sbornia da dimenticare».
«Bene».
L’infermiera alzò lo sguardo dalla sua copia della Critica della ragion pura di Immanuel Kant e sorrise, facendosi comparire due fossette nelle guance paffute. «Buonasera, straniero».
Logan ricambiò il sorriso. «Buonasera, Claire, come vanno le emorroidi di Bill?».
Lei tese una mano a palmo in giù, con le dita distese, per poi scuoterla da un lato all’altro. «Sa com’è fatto. Adora il curry, e non pensa alle conseguenze. Uomini…».
«È per questo che voi donne ci amate». Indicò la stanza privata in fondo al corridoio. Con le tendine tirate. «È lì?»
«Be’, è uscita per fare un po’ di shopping, ma ora è tornata. Perché non entra, e poi vi raggiungo tra poco?»
Logan entrò nella stanza. Era buia. Aguzzò lo sguardo nell’oscurità. «Che succede, sei un vampiro, adesso?».
Attraversò la camera e aprì le tende. La luce del sole entrò, riflettendosi sugli infissi di acciaio inossidabile. Appoggiandosi al davanzale, guardò fuori, verso il piccolo spiazzo erboso che sembrava inchiodato al suolo da alberi sottili, le cui foglie verdi scintillavano alla luce calda del tramonto. Una piccola figura grigia saltellò all’aperto, per poi abbassare il muso a brucare l’erba.
«Quel coniglio è tornato. E secondo me ha un coltello…».
«Non dire sciocchezze». Sam si sedette sul letto. Doveva essersi sistemata i capelli dopo pranzo, perché erano di un rosso scarlatto. I tatuaggi che aveva sulle braccia spuntavano dalle maniche corte della sua T-shirt di Skeleton Bob. Scostò le lenzuola, mostrando un paio di shorts rossi e calze autoreggenti a strisce bianche e nere. «Mi hai portato un regalo?».
Lui appoggiò una bottiglietta di Lucozade sul comodino accanto al letto, accompagnata da una copia di «Skin Deep» - Il successo inarrestabile delle Cyanide Girls e una di «Now» - Nichole: La recitazione mi ha salvato dal crimine. Poi si lasciò scivolare su una sedia, abbandonando mollemente braccia e gambe. «Dio, che giornata».
«Hai comprato il latte e la Marmite?»
«Sono in macchina». Si sfilò le scarpe e appoggiò i piedi sul letto. «La Steel è sempre più una totale… spina nel fianco. Uno penserebbe di meritarsi un minimo di comprensione per essere stato preso a pugni sul naso, no?».
Samantha gli picchiettò un dito sul piede sinistro. «Hai il calzino bucato».
«Macché. Non fa che lamentarsi e brontolare».
«Davvero, è come uscire con un senzatetto. Buttali e compratene qualche paio nuovo. E magari, oh mio Dio, che ne dici di un colore diverso dal nero?».
Lui le sorrise. «Pensavo che voi ragazze dark adoraste il nero».
«Non quando si tratta di calzini». Ondeggiò un paio di volte. Poi si slanciò in avanti, fino a inginocchiarsi sul bordo del letto, guardandolo dall’alto in basso. «Voglio farmi un nuovo tatuaggio. Pieno di punte e spirali, con un gatto».
«Ovviamente, la Steel si lamenta soltanto perché il commissario capo le sta scartavetrando le chiappe con questa storia del tizio incravattato. La stampa è impazzita, dopo che abbiamo arrestato il ragazzo che l’ha ucciso».
«A proposito di gatti, penso che dovremmo prenderne uno. Un gattino, intendo».
Logan mugolò. «Non potremmo semplicemente…».
«Un gattino peloso. E lo chiameremo Cthulhu!».
«Cthulhu? Non sarà un po’…».
«Shh!». Samantha si bloccò. «Sta arrivando». Poi tornò a letto e si nascose sotto le coperte. Ammiccò verso di lui. «Non una parola!».
La porta si aprì, e Claire fece capolino all’interno. «Le va una tazza di tè?». Entrò spingendo il carrello, con pile di tazze che tintinnavano l’una contro l’altra. Ne riempì una da una teiera di metallo grande quanto la sua testa. «Come si sente oggi, allora?».
Logan aggiunse un po’ di latte e un biscotto Jammy Dodgers. «Vuole un altro tatuaggio. E, a quanto pare, dovremmo prenderci un gatto».
«Che idea magnifica. Le farebbe compagnia mentre lei è qui. Non so invece per il tatuaggio…». Abbassò lo sguardo su di lui, con gli occhi che si addolcivano agli angoli. «Prego, prenda pure un altro biscotto, non lo dirò a nessuno».
Lui lo fece, ne prese uno con la crema, e lo tuffò nel tè mentre l’infermiera spingeva il carrello fuori dalla stanza. Poi la porta si richiuse dietro di lei con un leggero tonfo.
«Tutto okay, se n’è andata».
Samantha tornò a sedersi sul letto. «Non fraintendermi, Claire è a posto, ma se dovessi sopportare un altro dei suoi monologhi sulla natura filosofica dell’essere o sulle emorroidi di suo marito, penso che mi metterei a urlare».
«Sii gentile con le infermiere, potrebbero metterti dei ragni in bocca mentre dormi, e allora che faresti?». Mangiò il biscotto e finì di bere il tè ormai tiepido.
Samantha prese la copia di «Now», sfogliandone le pagine patinate. «Guarda che parlavo sul serio, per il gatto, comunque».
«Credo che Rennie stia per mollare».
«Pensavo che sua moglie volesse trasformarsi in una fabbrica di bambini. Come farà, se lui non ha un lavoro?»
«La Steel gli ha disegnato un uccello sul taccuino. E continua a tartassarlo per trovare i vagabondi che rubano nei negozi».
«Hmm?»
«Sai come è fatta. Battutine, gomitate, commenti sarcastici, minacce che coinvolgono le chiappe del prossimo…».
«Già…».
«Quei poveracci hanno rubato un po’ di formaggio e bacon e qualche bottiglia di vodka. Non serve un sergente, per un caso del genere… è roba da agente che ha combinato una cazzata e ha bisogno di una lezione».
«Oh, santo cielo».
«Cosa?». Aggrottò la fronte. Poi rialzò lo sguardo e la vide completamente concentrata sulle pagine di «Now». «Ma mi stai ascoltando?».
Lei sbirciò verso Logan da sopra al bordo della rivista, poi la girò, mostrandogli le pagine centrali: un’enorme foto di una raggiante Nichole Fyfe in jeans e T-shirt troppo grande per lei, con l’His Majesty’s Theatre alle spalle. Il ritorno ad Aberdeen - Il segreto della mia travagliata adolescenza. Samantha scosse la rivista. «Se ingaggi un giornalista per raccontare a tutto il dannato mondo questa storia, non è un segreto, che diamine!».
«Oh, scusa. Non mi ero reso conto di annoiarti».
«Fanno di tutto pur di farsi pubblicare sui rotocalchi. “Oh, guardatemi, sono speciale e molto intelligente!”. “State a sentire che stronzata ho combinato questa settimana per rendermi interessante!”. “Parlate di me! Altrimenti non esisto!”».
Lui mosse l’alluce attraverso il buco nel calzino. «E allora perché continui a comprare quelle riviste?»
«“Segreto” un cazzo, dico io. Probabilmente pensa che leggeremo questa spazzatura e diremo: “Oh, cielo, è proprio una persona da prendere a modello! Se lei può trasformarsi da delinquente con la fedina penale sporca a star del cinema, magari posso farlo anch’io!”. Quando in realtà si sta soltanto vantando di quanto sta meglio di noi. Te lo dico, è davvero…».
Logan si allungò e le strappò di mano la rivista.
«Ehi!».
«Se questa roba ti fa così schifo, non dovresti leggerla. Non ti fa bene alla pressione». Gettò sul pavimento ai piedi del letto la copia di «Now». «Chiamalo “pronto intervento”».
Samantha piombò indietro sui cuscini, incrociando le braccia sul petto. «Guastafeste».
«Sì, esatto, sono proprio io». Pescò dalla tasca un cofanetto di cd, per poi porgerglielo. «Ti ho portato il nuovo romanzo di Stephen King, è un audiolibro, ma se non ti interessa…».
Il broncio che Samantha aveva sul viso si sciolse in un sorriso. «Sei un vero idiota, Logan McRae».
«Lo immaginavo». Andò a prendere un Crunchie, una Irn-Bru e una confezione di cocktail di scampi dal distributore automatico più vicino, e quando tornò se ne restarono semplicemente lì a parlare del più e del meno: di tatuaggi, della Steel, di gattini, di cadaveri incravattati, delle vacanze, dei pugni sul naso… Finché Logan controllò l’orologio e mugugnò: «Okay, devo andare. Domattina devo alzarmi presto».
Samantha alzò lo sguardo su di lui, con una piccola ruga tra le sopracciglia. «Ci vediamo domani?».
Lui posò la lattina vuota sul comodino, accanto a tre bottigliette ancora chiuse di Lucozade, e a un mucchio di riviste non ancora sfogliate. Poi si alzò in piedi. Le prese una mano fredda tra le proprie e la baciò su una guancia. «Non mancherei per nulla al mondo».