capitolo 29
«Voglio che sia arrestato!». Il professor Marks era seduto sul bordo di una poltrona di cuoio nero, con una massa di tovaglioli di carta bagnati premuti contro la mascella. I suoi capelli erano poco più che un ricordo, e si aggrappavano al suo cranio calvo e lucido in sporadici ciuffi grigi. Portava grossi occhiali dalla montatura d’oro, coperti di ditate. E non aveva mento. Il suo viso si infossava semplicemente nel collo. Goulding aveva ragione: quell’uomo sembrava una salsiccia. «Sei finito, qui dentro, mi hai sentito? Finito!».
Goulding era in piedi, spalle alla finestra, braccia incrociate sul petto e occhi socchiusi. Aveva la guancia destra gonfia, con la pelle lucida, che già cominciava a scurire in un livido. «Sta’ zitto e di’ anche a loro quello che hai detto a me».
«Venire nel mio ufficio, urlarmi contro…».
«Sapevi che era pericolosa!».
Logan si massaggiò le tempie. «State davvero…».
«Mi ha assalito!».
Goulding mosse un passo verso il professor Marks. «Giuro che ti stacco la testa, idiota senza professionalità! Quella ha ucciso Roy Forman!».
«Non puoi essere sicuro che è stata…».
«Hai idea di quanto tempo e di quanti sforzi mi ci sono voluti per aiutare Roy? E tu hai permesso che la tua piccola pazza lo uccidesse!».
Il professor Marks aprì la bocca, passandosi una lingua di un giallo pallido sui premolari. «Mi hai scheggiato un dente. Dovrei denunciarti».
«Io farò più che…».
Logan sbatté una mano contro la scrivania.
«D’accordo, adesso basta!».
Silenzio.
Goulding tornò ad appoggiarsi al davanzale. «Digli quello che hai detto a me, Marks, o giuro su Dio che…».
Il professore si schiarì la gola, agitandosi leggermente sulla poltrona e distogliendo lo sguardo. «Il segreto professionale mi proibisce di…».
«È rimasto in contatto con lei fin da quando è scomparsa. Ci ha parlato per tutto il tempo».
Il professor Marks lo fissò. «Ti avevo rivelato queste informazioni in massima confidenza! Non puoi infrangere…».
«Oh, ma cresci. Io non devo attenermi al segreto professionale: lei non è una mia paziente. E se lo fosse stata, non sarebbe là fuori a incravattare dei poveri bastardi che hanno combattuto per il loro paese!».
Logan lanciò uno sguardo alla Chalmers. Era seduta sulla chaise longue e prendeva appunti sul suo taccuino. Bene. «A breve avremo un mandato. Non appena lo otterremo, parlerà con noi oppure verrà arrestato per intralcio alla legge, trascinato alla stazione di polizia e gettato in cella».
«Non potete farlo. Sono io la vittima, qui, è questo violento figlio di…».
«E domattina dovrà presentarsi di fronte al giudice e lui la manderà a Craiginches finché non si deciderà a collaborare».
Marks si leccò le labbra. «Lei… Io sono un medico, non posso semplicemente…».
«E nel frattempo, Agnes Garfield è là fuori», Logan puntò l’indice verso la finestra, «ad ammazzare la gente! Vuole davvero essere complice di un altro omicidio?»
«Io non sono responsabile di nessun omicidio. Qualunque cosa sia accaduta a Roy Forman non è dipesa dalle mie azioni. Se Agnes…».
«L’ha picchiato a sangue, incatenato a un palo, strangolato, e poi gli ha infilato uno pneumatico al collo e gli ha dato fuoco». Logan infilò una mano in tasca. «Vuole vedere le foto? Vuole vedere che aspetto ha?».
Le ginocchia del professore tremarono e poi si serrarono strette, come se Logan gli avesse appena offerto di prenderlo a calci nelle palle. «Il giuramento di Ippocrate mi impone di…».
Goulding si lanciò contro di lui e Marks strillò, raggomitolandosi sulla poltrona.
La Chalmers si mise tra loro, fermando Goulding con una mano premuta al centro del suo petto. «Molto bene, adesso calmiamoci tutti quanti, okay?».
Lui lanciò un’occhiata oltre la spalla del sergente. «Diglielo, Marks».
Il professore chiuse gli occhi, ancora rannicchiato su se stesso. «Ho fatto un giuramento».
Goulding guardava fuori dalla finestra dell’ufficio, con le spalle curve e una mano sulla fronte. «Lo arresterete davvero?».
Logan alzò lo sguardo dal cellulare. «Non appena ci faxeranno il mandato».
«Bene».
Una sottile luce grigia penetrava dal vetro, mentre il pomeriggio avanzava e la stanza si faceva più buia. Era tutto più tranquillo, senza il professor Marks che si lamentava dei suoi diritti e del suo dente scheggiato. Ovviamente, la Chalmers non doveva essere molto felice, visto che le era stato dato l’incarico di scortarlo nel suo ufficio e controllarlo, per assicurarsi che non tentasse di fuggire verso i meandri più oscuri del Fife, o i quartieri a luci rosse di Inverurie. Ma, in fondo, erano esperienze che formavano il carattere.
O per lo meno, questo era ciò che la Steel gli aveva sempre ripetuto, quando gli mollava i compiti peggiori.
Logan tornò a guardare il cellulare. Secondo lo schermo, c’erano nove messaggi non ascoltati in segreteria e mezza dozzina di messaggi di testo. La metà dei quali veniva dalla Steel:
Rancido pezzo di merda! Ti strapperò lo scroto e te lo farò indossare come un berretto!
Sapevi che volevo il tuo aiuto per questa riunione!
Riporta le chiappe qui, SUBITO!!!!!!
Ancora quelle minacce sullo scroto. Per lo meno, comunque, si poteva dire tutto della Steel, tranne che ricorresse alle abbreviazioni da messaggio di testo.
Cancella.
Eliminò anche gli altri messaggi, senza leggere oltre la prima riga, che conteneva comunque almeno un insulto.
Goulding si schiarì la gola. «So che trascinare Marks lungo il corridoio spingendolo per la nuca deve essere sembrato un tantino… poco professionale, ma…».
«In realtà gli teneva la testa bloccata con tutto il braccio».
«Roy Forman stava facendo dei notevoli progressi, si stava riprendendo così bene. E gettare tutto alle ortiche in questo modo…». Tirò su con il naso. «Perché non mi ha detto che era lui la vittima incravattata? Questa mattina, quando ho parlato con Robert Whyte?»
«Non sapevo che lo conoscesse. Se l’avessi saputo, non avrebbe neanche potuto interrogare Whyte: ci sarebbe stato un conflitto di interessi».
Il successivo messaggio di testo era di Rennie, che si lamentava perché Henry Scott non era sui gradini della chiesa, quando lui era arrivato a Gilcomston Church, e perché la Chalmers era sempre la favorita, e perché non era giusto. Gnè, gnè, gnè.
Cancella.
Quello dopo ancora era di Tim Mair degli Standard Commerciali:
Dove diavolo sei, McRae? Avevamo detto alle 3! Avevo portato i biscotti e tutto il resto!!!!!
Merda. Le tre. Ah, al diavolo.
Digitò una risposta premendo i tasti con i pollici:
Piantala di piagnucolare. Sono rimasto bloccato in un’indagine per omicidio.
Vediamoci più tardi. Verso le 17:15?
«Sapeva che Roy aveva partecipato all’Operazione Desert Storm? Dietro le linee nemiche, a combattere contro la Guardia Repubblicana. La sua squadra è rimasta bloccata sotto al fuoco dei cecchini, e poi hanno cominciato a piovere i colpi di mortaio. Hanno perso il loro ufficiale in comando e metà del gruppo. Roy si è preso una scheggia nell’occhio. Mezzo cieco e sanguinante, ha trasportato uno dei suoi compagni per quasi cinque chilometri, fino al campo base, sotto al fuoco nemico».
Logan alzò lo sguardo dal telefono. «Al commissario Steel aveva detto che era rimasto coinvolto nell’esplosione di una bomba».
«Senta, il fatto è che era un eroe. Ha riportato dei danni combattendo per la sua patria, ed è finito in mezzo alla strada. E stava migliorando». Ci fu un lampo di furia, nei suoi occhi. «Fin quando quell’idiota di Marks non si è messo in mezzo».
L’ultimo messaggio era della dottoressa Graham:
Avuto ris AIS da Dundee
Vitt lcl
Mi kiami e le dico tt
Che diavolo significava “ais”? Quella donna era un incubo.
Goulding lasciò la finestra e si sedette dietro la scrivania. «Come se la sta cavando Samantha?».
Logan rispose al messaggio:
La chiamerò appena sarò di ritorno alla stazione.
Come sta venendo la ricostruzione?
Premette il pulsante di invio. «Molto bene. Siamo andati a divertirci a Brechin, ieri sera. E a luglio andremo alle Maldive… per fare un po’ di immersioni».
«Capisco…». Unì le punte delle dita. «Ho fatto in modo che un operatore del Centro di igiene mentale venga a esaminare Robert Whyte alle quattro di oggi pomeriggio. Sarei molto sorpreso di non ritrovarlo nell’ala di un ospedale psichiatrico già stasera».
Un pazzo, ma non quello giusto.
Logan intascò nuovamente il telefono. «Penso che prenderemo un gatto».
«È una buona idea. Dal punto di vista terapeutico, probabilmente è molto più efficace che parlare di tutti i tuoi problemi con un amico immaginario».
Santo cielo. Logan si afflosciò sulla sedia, coprendosi gli occhi con le mani. «E ci risiamo…».
«Sto solo dicendo che non è molto salutare. E lei sa che la psicoterapia funziona. Consideri quanti progressi abbiamo fatto negli ultimi due anni: abbiamo curato la sua fissazione per l’alimentazione vegetariana, giusto? Sta bevendo di meno, ha perso peso, ed è anche molto meno irritabile».
«Lasci perdere, okay?». Gesù, non la piantava mai.
«Logan, non sto scherzando: non è salutare avere…».
«Cerchi di capire quando è il momento di smetterla». Si tolse le mani dal viso e puntò l’indice contro Goulding. «Potrei sempre arrestarla per aver assalito il professor Marks».
Silenzio.
Goulding sospirò, poi si avvicinò alla parete piena di lavagne magnetiche. «Vorrei elaborare un profilo di Agnes Garfield. Sappiamo chi è, ma potrebbe aiutarci a scoprire dove è e quale sarà la sua prossima mossa. E per quanto mi dispiaccia infangare la reputazione professionale del mio esimio collega, il professor Richard Marks è un emerito idiota».
«Non posso autorizzare alcun budget per questo lavoro».
«Lo farò gratuitamente, a condizione che lo arresti. Roy non meritava di morire in quel modo».
«Gratuitamente?». Logan inarcò un sopracciglio. «In tal caso, non c’è tempo da perdere. Le faccio mandare subito il fascicolo del caso. E se può essere d’aiuto, penso che abbia anche torturato a morte un poveraccio a Kintore».
La porta dell’ufficio si aprì parzialmente, mostrando la figura della Chalmers. Si bloccò sulla soglia, poi bussò. Come se non sapessero già che era lì. «Mi scusi, capo. È arrivato il mandato».
Logan si alzò e mise via il cellulare. «Si rifiuta ancora di collaborare?»
«Non ha detto una sola parola».
«Ammanettalo, poi chiama la Centrale e fai mandare una volante: voglio che sia un arresto in piena regola. Fallo uscire ammanettato dalla porta principale, così che lo vedano tutti».
Lei annuì. «Capo, riguardo ad Agnes Garfield…».
«Resta con lui finché non arriva la volante. Assicurati che facciano tutto: impronte digitali, campione di dna e il resto».
«Vede, stavo pensando: Roy Forman era nei Gordon Highlanders, giusto? Un soldato addestrato al combattimento corpo a corpo e tutto, no? Come ha fatto una ragazzina di diciotto anni a picchiarlo, incatenarlo e bruciarlo in quel modo? Non avrebbe dovuto difendersi?».
Ah… la Chalmers aveva ragione. «Forse aveva un complice?».
Goulding prese un cancellino. «Roy era un alcolizzato. Sarebbe bastato dargli una bottiglia e una cannuccia, e avrebbe fatto qualunque cosa». Il cancellino passò su una lavagna, lasciandosi dietro una scia di vaghi aloni, come fantasmi di parole. Poi lo psicologo prese un pennarello rosso e scrisse agnes garfield al centro della lavagna, ingabbiando il nome in un rettangolo sbilenco. «Quando sbatterete in cella quell’idiota di Marks, potete farmi un favore? Assicuratevi che ci sia qualcuno di rumoroso e puzzolente, nella cella accanto. Lo farà impazzire».
Logan fece fare un altro giro delle strade circostanti alla sua vecchia Punto asmatica, ma non trovò comunque parcheggio. Alla fine dovette lasciarla su Beach Boulevard e fare un tratto a piedi.
Un vento gelido sollevava sabbia e polvere dal canale di scolo al lato della strada, e faceva tremare gli alberi.
All’altro capo del telefono, Samantha sospirò. «Be’… forse Wee Hamish ha ragione. Forse dovrai occuparti di Reuben, prima o poi».
«Non ucciderò Reuben».
«E chi ha detto che devi ucciderlo? Io ho detto che devi occuparti di lui. Trovare un accordo».
Logan fece una smorfia. «Sì, perché quello è proprio il tipo da accordo pacifico».
L’omino rosso al semaforo diventò verde. Una berlina si fermò, con il pulsare ritmico di un basso che si sentiva dai finestrini chiusi.
«E allora fallo arrestare per qualcosa. Non startene lì ad aspettare che quel bastardo sfregiato torni a farti visita con un machete e un trapano».
Logan attraversò la strada lentamente, attirandosi uno sguardo furioso dal ragazzetto acneico dietro al volante della berlina. «Non lo ucciderò, e non ho neanche intenzione di incastrarlo ingiustamente».
Si udì un fruscio, probabilmente Samantha che copriva il ricevitore, e poi una conversazione soffocata.
Lui raggiunse l’altro lato della strada, procedendo a zigzag tra auto e furgoni che aspettavano in coda alla rotatoria. «Senti, devo andare. Ti richiamo più tardi, okay? È…».
E lei tornò al telefono. «Senti, per quelle ossa, quelle trovate fuori dalla roulotte… il tuo storico ha detto che erano una forma di protezione, vero? E se invece non erano lì per proteggerti? Se invece dovevano proteggere chi le ha legate in quel modo?»
«E questo mi aiuta perché…».
«Ricordi, nel libro, quando il bokor vudù ne mette uno nello zaino di Rowan, così che lei non possa rintracciarlo?».
Raggiunse Justice Street, dove un paio di alti e massicci palazzi torreggiavano sul resto degli edifici di granito, con le finestre scure che scintillavano alla luce di un raro e debole raggio di sole.
«Scusami, ma non…».
«Dio, ma quanto sei lento? Pensaci: quand’è che hai visto il primo mucchietto di ossa? Prima che Roy Forman fosse bruciato, giusto? E forse un altro l’hai ricevuto prima che quell’altra vittima fosse torturata a morte».
Lui si fermò. «Aveva pianificato tutto. Sapeva che la stavo cercando, perché ero stato a casa sua. Quindi…». Aggrottò la fronte. «Mi ha seguito fino a casa…». Una carezza gelida gli sfiorò la nuca.
Logan si girò di scatto, con la mano libera stretta a pugno.
Non c’era nessuno.
Un velo di pioggia sottile cominciò a cadere dal cielo color della creta, spruzzando i vetri delle macchine parcheggiate e dipingendo un arcobaleno anemico in quell’unico raggio di sole che ancora si ostinava a brillare.
«Non fare la mammoletta. Quelle ossa servono a proteggere lei da te. È come se tu fossi un cacciatore di cacciatori di streghe».
«Ah, giusto…». Si era ridotto ad aver paura della propria ombra, come un idiota.
«Prego, comunque, non c’è di che. E ora, se puoi scusarmi, devo farmi bella per il mio nuovo fisioterapista. È un gran bel tipo». E a quel punto, Samantha attaccò.
Aveva ragione, comunque: Agnes Garfield non era una mente criminale, o la versione femminile di Hannibal Lecter; era soltanto una diciottenne con problemi mentali che non stava più prendendo le sue medicine.
Quella povera ragazza doveva avere più paura di lui di quanta lui ne avesse di lei.
Un caldo sospiro lascia le sue labbra, trasformandosi in vapore candido alla luce del congelatore a pozzetto. Pacchetti scintillanti di alluminio, così tanti tesori preziosi…
Rowan si piega in avanti, finché le guance non si posano sul freddo pianale di plastica. Quel freddo la calma. Placa il fuoco nella sua testa.
Andrà tutto bene.
Dogma quinto: “Non temere l’oscurità, ma fai in modo che l’oscurità ti tema”.
Chiude il congelatore e la stanza torna buia, il silenzio rotto unicamente dal ronzio del compressore che si mette in moto, riportando la temperatura al di sotto dello zero.
Delle ombre si distinguono appena nell’oscurità: la sagoma tozza del grosso congelatore a pozzetto, la falce appoggiata alla parete, il pannello degli strumenti ormai vuoto, ma con le sagome ancora visibili degli attrezzi che vi erano agganciati. La vecchia tavola di legno. L’odore dolciastro e nauseante della morte.
«Accende un fuoco nel nome di Dio…».
Prende un profondo respiro e si raddrizza. È ora.
La porta si apre con un cigolio sulla stanza successiva. Una stalla, con delle polverose balle di fieno ammassate in un angolo, ormai puzzolenti di muffa. Le feci dei topi lasciano messaggi in codice Morse sul pavimento sporco.
Non va bene.
Rowan prende la scopa e ripulisce uno spazio al centro, due metri e mezzo per due metri e mezzo. Poi osserva la superficie irregolare e grigia, accende la candela nera e comincia a tracciarvi sopra dei cerchi. Septen, merid, orien, occid… nord, sud, est e ovest. Poi i nomi di Dio, i simboli e infine il pentacolo.
Sorride. Niente mancanze, niente errori, un perfetto Nodo ad Anello.
Il martello è pesante nella sua mano inguantata di nero, e così il palo di ferro. Risuona come una campana, quando lo pianta nel terreno duro, all’estremità del pentacolo, mentre ogni colpo le risale dolorosamente lungo il braccio, su fino alla spalla, e fa sollevare un lieve sbuffo di polvere.
Altri quattro pali vengono piantati, ed è fatta.
L’uomo nell’angolo tenta di dire qualcosa attraverso il bavaglio, con gli occhi sgranati e pieni di sgomento. È sdraiato su un fianco, con le mani legate dietro la schiena. I polsi sono rossi e spellati intorno alla corda, perché ha cercato di liberarsi, e le caviglie sono nelle stesse condizioni, i piedi nudi sporchi e graffiati. Spire arancioni e rosse gli crepitano intorno, spine di luce che graffiano le pareti di pietra. Sta cercando un’arma. Una via di fuga.
E invece dovrebbe cercare soltanto la redenzione.
È fortunato a poter entrare all’interno del nodo, protetto dall’oscurità della stregoneria e delle anime dannate. Da gente come lei…
Tira fuori gli strumenti necessari: la lama, lo spillone, la bottiglia di succo di limone, la schiuma da barba e il rasoio.
La sua anima potrà anche essere protetta, ma il suo corpo è un’altra faccenda.
Rowan si alza, spolverando i guanti di pelle. Fronteggia il suo nemico. Tiene bassa la voce. «La Kirk è mia madre e mio padre. Il mio bastone e il mio appoggio. Il mio scudo e la mia spada. Ciò che faccio al suo servizio accende un fuoco nel nome di Dio».
Le lacrime scendono lungo il volto pallido dell’uomo.
Fai in modo che l’oscurità ti tema.
Rowan gli si avvicina, prende un respiro profondo, mentre l’odore di sudore e arance e bruciatura le riempie la testa. Poi lo afferra per i capelli e lo trascina verso il Nodo ad Anello. L’uomo scalcia e urla per tutto il tempo, finché lei non lo colpisce alla tempia con il martello, abbastanza forte da farlo afflosciare con un sommesso mugolio.
A quel punto, lo slega e lo blocca contro i pali. Gambe e braccia aperte, inerme come una rana in un’aula di scienze, in attesa dell’inizio della lezione.
Chiude gli occhi. Abbassa la testa. «Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam».
Abbi pietà di me, mio Dio, secondo la tua grande misericordia.