capitolo 47

Il tono cupo e baritonale di Insch riecheggiò dal ricevitore del telefono. «A che gioco stai giocando, esattamente?».

Logan era appollaiato in fondo al muretto del giardino, una mano a schermarsi gli occhi dal pallido sole dorato. «Sono molto impegnato al momento, quindi…?».

La Mystery Machine era parcheggiata sul vialetto di ghiaia pieno di erbacce, con i portelli posteriori aperti, mentre tecnici in tuta bianca trasportavano degli scatoloni nella casa. Un nastro bianco e azzurro della polizia serpeggiava al vento. Due autopattuglie bloccavano la sterrata piena di buche che conduceva alla proprietà. La vecchia fiat arrugginita di Logan era parcheggiata dietro di loro, davanti a un cancello che dava su un campo di colza di un giallo brillante.

«Hai idea di quanto possa costare tenere in piedi una produzione come questa? Perché…».

«Vuoi arrivare al punto?».

Una pausa. «Hai arrestato Morgan Mitchell».

Logan alzò lo sguardo alle nuvole del colore del piombo. Sospirò. «Non l’ho arrestata io. Ha aggredito qualcuno».

«Falla uscire».

«Ha aggredito qualcuno».

«Logan, io…». Prese un respiro profondo. «E se faccio in modo che la parte lesa ritiri le accuse?»

«Non credo che la tua star ne sarebbe molto contenta: l’ha fatto apposta, per poter trascorrere una notte in cella. Se non ricordo male, il termine che hai usato è “connessione psicologica con il personaggio”, giusto?»

«Questo film è un’emorragia di denaro, Logan! Non posso permettermi di avere una delle mie attrici protagoniste rinchiusa a Craiginches per un mese!».

L’agente Sim superò faticosamente il recinto di filo spinato poco oltre l’estremità della siepe di faggio, gli rivolse un cenno della mano e poi continuò ad avanzare oltre le volanti parcheggiate.

«Ms Mitchell dovrà comparire davanti al giudice domani. Vedrò di farvi avere udienza la mattina presto».

«Sto parlando sul serio, è…».

«È il massimo che posso fare. Ha aggredito una persona ed è stata arrestata. Non posso fregarmene completamente delle leggi per fare un favore a te o a qualcun altro».

Silenzio.

La Sim gli si fermò davanti, per poi cominciare a staccare le lappole incastrate nella stoffa dei suoi pantaloni.

«Non sto dicendo che devi infrangere la legge».

«Ora devo andare». Logan chiuse e mise via il cellulare. «Allora?».

L’agente sospirò. «Dovrebbe vedere la loro casa. È enorme. Una cucina gigantesca con la macchina del caffè a incasso e tutto il resto. Mi sono presa un cappuccino».

Logan si serrò il setto nasale tra due dita. «Dobbiamo ripetere sempre lo stesso discorso?»

«Il marito è a Londra per lavoro, ma ho parlato con la moglie e la figlia. Non hanno visto né sentito niente. Le finestre in effetti guardano altrove, e ho controllato l’affaccio di tutte… Si potrebbe organizzare un’orgia nel giardino di questa casa e nessuno se ne accorgerebbe. Sempre che si riesca a fare un’orgia silenziosa… Ah».

Logan riaprì gli occhi. «Cosa?».

La Sim indicò il sentiero, da dove una Porsche Cayenne, una Mercedes e una volante ammaccata stavano venendo nella loro direzione, ondeggiando e sobbalzando a causa delle buche. «È arrivata la cavalleria».

Isobel tirò indietro il cappuccio della tuta bianca. La sua frangia si incollava alla fronte madida di sudore e aveva le guance decisamente arrossate, mentre si toglieva i guanti ed espirava rumorosamente. «Direi due, tre giorni al massimo. Con questo caldo, è difficile esserne certi, ma messo là dentro con la porta e la finestra chiuse…». Si chinò sul cofano dell’autopattuglia, massaggiandosi il ventre prominente. «Pfff… il modus operandi sembra identico a quello visto su Anthony Chung».

L’ispettore Leith mugugnò qualcosa. Un cerotto beige faceva bella mostra di sé sul setto nasale, mentre la pelle intorno ai suoi occhi cominciava già a scurirsi, per effetto del pugno ricevuto da Din-Don. «Come se non avessi già abbastanza lavoro…». Affondò le mani nelle tasche. «Be’, visto che è stato l’ispettore pro tempore McRae a trovare il cadavere, credo che dovrebbe essere lui a…».

«Oh, no, io non credo proprio». Logan si guardò alle spalle, mentre i necrofori di turno stavano portando fuori dalla porta d’ingresso una bara di acciaio inossidabile. «È tutto tuo». Tornò a voltarsi verso il sentiero. «Io ho un sergente di polizia scomparso da ritrovare».

La Sim si affrettò a raggiungerlo. «Che facciamo adesso?»

«Vai a casa. Il tuo turno è finito due ore e mezza fa».

«Peter sta portando i bambini a vedere quel film della Disney. Torneranno carichi di caffeina e zucchero». Sorrise. «Preferisco andare a caccia di un assassino che dovermela vedere con loro».

Logan raggiunse la Punto, tirò fuori il cellulare e chiamò Rennie. «Novità?»

«Abbiamo trovato della cannabis nella casa vicino Rhynie, ma a parte questo, niente».

Tutte e tre le case a nord-ovest di Aberdeen erano state controllate, e ancora non c’era traccia della Chalmers. Né di Agnes Garfield… Quel piccolo bastardo infido alla Willox e Smith aveva mentito. «Torna in quell’agenzia immobiliare di Kintore, voglio una lista di tutto ciò che hanno in vendita a nord della città».

«Ma saranno chiusi, ormai, e…».

«Non mi interessa se dovrai arrestare Willox con l’accusa di taglio di capelli ridicolo… portami quella dannata lista».

Rennie aprì lo sportello del passeggero ed entrò nella fiat Punto. Poi arricciò il labbro superiore. «Cos’è questa puzza?».

Logan lo fissò. «Sei riuscito ad avere quella lista oppure no?».

Il sergente gli rispose con un ghigno. «Parli del diavolo…». Gli tese una rivista in formato A4, con una foto di Bennachie in copertina e le parole Willox & Smith - La qualità ha trovato casa.

Logan la prese e sfogliò le pagine fotocopiate.

«Ne stampano un numero ogni due settimane. È diviso per zone, e ho chiesto a Mr Riporto di segnalarmi tutte le proprietà sul mercato da più di sei mesi».

E sembravano la maggior parte.

Passò la rivista alla Sim, seduta sul retro. «Tutto quello che trovi a Nord-Est della città».

«Sì, capo».

Rennie si accomodò meglio sul sedile. «Ma non potremmo, come dire… tirarlo fuori con le cattive a Duncan Cocker?»

«Ha chiamato l’avvocato. Secondo Rischio Biologico, ora risponde soltanto “no comment”».

«Piccolo bastardo».

La Sim si sporse verso di loro. «In che fascia di prezzo devo cercare?»

«Non importa. Deve essere un posto in cui si può stare, lontano dalle strade più battute e che sia rimasto vuoto per un po’. Goulding ha detto che Agnes Garfield ama i posti in rovina, quindi probabilmente possono esserci dei fienili o altri edifici esterni nei dintorni».

«Ricevuto. Un po’ vago, ma…». Tornò ad appoggiarsi al sedile.

Cos’altro avrebbe potuto desiderare Agnes Garfield? Un terreno? Un bel giardino? Riscaldamento centralizzato e doppi vetri?

Logan aggrottò la fronte. «Ci sono per caso chiese in vendita?»

«Chiese, chiese… ce n’è una a Peterhead».

Troppo lontano. «Altro?»

«Uhm…». Il silenzio era rotto soltanto dal rumore delle pagine che venivano sfogliate. «Che ne dice di questo? “Arquarthy Croft, Kirkton of Rayne. Eccellente opportunità per progetto di sviluppo o ristrutturazione nel cuore della campagna di Grampian, a poca distanza da Aberdeen. Fattoria tradizionale con tre stanze da letto, diversi edifici esterni e tre acri di terreno utilizzabile per uso equestre…”. Questo lo dicono sempre, vero?»

«Avevo chiesto di cercare delle chiese».

«Mi lasci finire. “…utilizzabile per uso equestre. Include una cappella in rovina da adibire dietro licenza edilizia a casa familiare con quattro stanze da letto e doppio garage. Quattrocentosessantamila sterline”».

«Ahi». Rennie si risollevò. «Appena senti “licenza edilizia”, sai di essere fregato».

Logan tamburellò con le dita sul volante. «C’è altro?».

La Sim scosse la testa. «Tutto qui».

Una cappella in rovina contava ancora come terreno consacrato?

Valeva la pena di fare un tentativo.

Logan girò la chiave nel quadro e mise in moto.

…uomini armati, in una sparatoria durata quattro ore. Fonti informate dicono che i sospetti accusati di aver coltivato cannabis hanno chiesto un elicottero per portare loro e il loro ostaggio all’aeroporto di Aberdeen…

Rennie lanciò uno sguardo attraverso il parabrezza, mentre i tergicristalli cigolavano avanti e indietro sul vetro bagnato. «Non capisco perché non abbiamo potuto prendere un’autopattuglia».

…volo per la Thailandia. Abbiamo parlato con il commissario capo…

«Piantala di lamentarti». Logan imboccò una stradina che spariva in mezzo a una foresta di alberi di pino tutti uguali e piantati a intervalli regolari, e spense il motore.

La Sim si spostò fino a inginocchiarsi sul sedile posteriore per guardare dal lunotto. «È sicuramente questa, stavolta».

Maledetti agenti immobiliari, e maledette le loro indicazioni poco chiare.

Rennie controllò l’orologio. «Non sarebbe meglio chiamare dei rinforzi armati?»

«Ci vorrà almeno mezz’ora perché arrivino. E se la Chalmers è legata in cucina e quella pazza la sta torturando proprio ora?»

«Sì, ma…». Rennie si strinse nelle spalle. «Sta anche piovendo».

Logan uscì sotto l’acqua. «D’accordo. Allora resta lì».

La Sim lo seguì rapidamente.

Arquarthy Croft si trovava su una collinetta non molto distante, circondata da dorati campi di colza. La casa era in mezzo a uno spazio rettangolare coperto di erba alta e cespugli di rododendri, con intorno una dozzina di vecchi alberi dai rami pesanti che pendevano verso il suolo. Il luogo era in condizioni leggermente migliori dell’ultimo che avevano visitato, ma non di molto: si trattava di una vecchia e sporca fattoria grigia, tipica del Nord-Est, con i timpani sul davanti e abbaini che si aprivano nel tetto spiovente di tegole ormai malandate. Da una parte si intravedeva una lunga stalla a forma di L. L’edificio più lontano dalla casa era poco più che una rovina, con il tetto sfondato e le travi visibili come le costole di un cadavere in decomposizione.

La Sim indicò un altro punto. «Quella deve essere la cappella».

Tre pareti di pietra, una delle quali sfoggiava ancora una finestra a ogiva, e un mucchio di macerie.

Logan sollevò il bavero della giacca per difendersi dalla pioggia. «Bene, manteniamoci al coperto degli alberi. Passeremo dal retro della proprietà».

Lei annuì, poi gli passò lo spray al peperoncino. «In caso servisse».

Logan lo infilò in tasca e si affrettò ad attraversare la strada, oltrepassando un recinto con il filo spinato e ritrovandosi in un campo di colza circondato da nodosi faggi e querce. Le piante di colza, che gli arrivavano quasi alla coscia, frusciarono contro i suoi pantaloni, riempiendo l’aria del loro profumo dolce, mentre lui passava nello stretto sentiero tra la colza e un muretto a secco. Il terreno umido e soffice cedette sotto ai suoi piedi, risucchiandogli in parte le scarpe.

A metà strada, si fermò e si nascose dietro un muretto.

La Sim si accucciò accanto a lui e sbirciò tra gli alberi. «Non mi sembra di scorgere movimenti».

«Probabilmente è all’interno, a fumarsi tutta la sua erba».

Sempre che fosse lì, e che ci fosse anche la Chalmers.

Da quel punto, l’estremità in rovina della stalla si trovava esattamente tra loro e la casa. Bloccando la visuale.

«Pronta?».

Rennie comparve ansimando e sbuffando sul limitare del campo, correndo piegato in due come se fosse in un film di guerra americano. Si fermò slittando e si accucciò con loro. «Ho chiamato la Centrale e ho detto che abbiamo bisogno di rinforzi armati».

Bene. Quindi ora…

Il cellulare di Logan fece sentire la sinistra suoneria della Steel. Giusto in tempo. Lui lo afferrò.

«A che cazzo di gioco stai giocando?»

«È solo una precauzione, okay? Niente di più». Armeggiò con i menu finché non riuscì a impostare la suoneria unicamente sulla vibrazione.

«Non parlare di dannate “precauzioni” con me. Non voglio un’altra dannata sparatoria!».

Logan oltrepassò il canale di irrigazione, restando sul limite del campo successivo – sempre di colza – e cercando di raggiungere la stalla. Abbassò la voce a un sussurro. «Cosa vuole che faccia? Che me ne stia fermo ad aspettare la cavalleria? Questo sì che è un titolone: La polizia perde tempo mentre una loro agente viene torturata a morte».

«Non è un gioco, Laz… La tua pazza ha ammazzato tre persone. Io non…».

«E la Chalmers non sarà la quarta».

«Santo Dio! Non sei Rambo, non puoi semplicemente…».

«E allora la pianti di urlarmi contro e organizzi una squadra armata». Attaccò e rimise il telefono in tasca. Riuscì a fare giusto tre passi, prima che cominciasse a vibrare. Be’, poteva lasciare un messaggio. «Silenziate i telefoni. E anche le radio».

Il filo spinato in fondo al campo era arrugginito e allentato, e non fu difficile scavalcarlo. Dall’altra parte, una macchia di erbacce e cespugli si estendeva fino all’estremità crollata della stalla. Foglie e rametti si aggrapparono alle gambe di Logan mentre lui procedeva verso l’edificio.

La Sim avanzò attraverso le macerie e lungo il fianco della costruzione, dove le erbacce si diradavano in un cortile coperto di ghiaia, delimitato dalla stalla a L da una parte e da un mare di ortiche dall’altra. Si fermò davanti a una finestra e sbirciò all’interno, tenendo la voce bassa. «Capo?».

Lui la raggiunse. Una Mini rossa bianca e blu era lì, parcheggiata in uno spiazzo che un tempo era utilizzato per radunare il bestiame. Il lato del guidatore era malamente ammaccato e il parabrezza era ridotto a una ragnatela di vetro spezzato. Il numero di targa corrispondeva: era la macchina della Chalmers.

«Dannazione…».

Per lo meno, ora sapevano di essere nel luogo giusto.

Rennie allungò una mano verso la maniglia della porta di legno scorrevole.

Gli occhi della Sim si sgranarono e lei lo spinse via, facendolo piombare all’indietro nella ghiaia. «No!».

«Ah!». Lui la fissò dal basso, massaggiandosi il gomito sinistro. «Perché diavolo l’hai fatto?»

«Hai mai fatto irruzione in una piantagione di cannabis, prima d’ora?». L’agente gli tese una mano e lo aiutò a rialzarsi. «A volte collegano le maniglie delle porte e i saliscendi delle finestre alle prese della corrente… insomma, mettono delle trappole contro le gang rivali e la polizia. La prima volta che mi è capitato, l’ispettore McPherson ha fatto un salto indietro fino in fondo al vialetto, ed è rimasto steso lì con i capelli sparati in tutte le direzioni e il fumo che gli usciva dalle scarpe. E si è ritrovato con le unghie nere per mesi, dopo».

Rennie si sfregò il gomito. «Ora ho un buco sulla giacca, grazie a te».

«Ma non sei morto». La Sim si guardò intorno nel cortile di ghiaia, poi si spostò verso le ortiche e raccolse un pezzo di tubatura di plastica blu, di quelle che di solito servono a far scorrere l’acqua sottoterra. La fece passare sotto alla maniglia e ne unì le estremità. La porta cigolò pesantemente, mentre si apriva.

L’agente fece capolino all’interno, poi uscì di nuovo. «Prego».

Logan entrò. Uno spesso cavo grigio era legato alla maniglia, all’interno, e raggiungeva una presa di corrente sulla parete. Lui si infilò un paio di guanti di nitrile e spense l’interruttore.

Gli airbag della Mini erano flaccide masse bianche, la copertura del volante non c’era più. Sul cruscotto di plastica spiccavano delle macchie rosso scuro, come piccoli gioielli.

«Capo?». Rennie rivolse loro un cenno dal retro dello spiazzo per il bestiame.

Un Nodo ad Anello era disegnato sul pavimento di terra battuta, con la solita cera nera, con dei paletti di metallo piantati a ogni vertice del pentacolo. Il centro del circolo era macchiato di scuro. Non c’era traccia del corpo.

Fa’ che non sia la Chalmers. Non dopo tutto questo.

Una porta scorrevole su un lato dello spiazzo conduceva più all’interno dell’edificio. La Sim ripeté il trucchetto della tubatura di plastica. «Caspiterina…».

Logan la seguì. Si trattava di una lunga stanza, ampia più o meno quanto un garage, con quelle che dovevano essere migliaia di piante di cannabis appese a testa in giù su fili di plastica, del tipo usato per stendere i panni, tesi tra le travi del soffitto. Di ogni pianta avevano scartato i due terzi iniziali, quelli che comprendevano le radici e le foglie, lasciando soltanto gli enormi germogli gonfi, raggruppati intorno a uno stame centrale, coperti di filamenti arricciati e macchiati di rosso. Perché tagliare l’intera pianta, quando si poteva prendere solo la parte da cui si ricavava tutto il guadagno?

Rennie si avvicinò e ne sfregò una tra le dita. «Questa partita deve valere una fortuna».

Una fila di ventilatori impedivano all’aria di ristagnare, e la riempivano dell’odore dolciastro della marijuana.

La stanza successiva era altrettanto piena di quella roba. Ora era chiaro perché i fratelli McLeod volessero gambizzare chiunque avesse ideato quel furto: avevano perso una quantità enorme di cannabis.

La Sim spense l’interruttore di un’altra presa attaccata a una maniglia e la aprì, rivelando una macchia erbosa sparsa di rododendri, qualche vecchio albero e il lato della fattoria. Erano usciti dalla stalla.

Logan diede il segnale e i tre si divisero, Rennie e la Sim da una parte, lui dall’altra, tenendosi bassi e schiacciati contro il muro del casale. Le finestre al piano terra, sul davanti e sul lato, erano state oscurate dipingendo i vetri dall’interno.

Nessuno poteva vederli muoversi nei dintorni.

Si ritrovarono accanto alla porta sul retro. «Suggerimenti?».

Rennie indicò il basso muretto a secco sul retro della casa. «Rompiamo una finestra con una di quelle pietre ed entriamo in stile Sweeney?».

Idiota.

La Sim alzò gli occhi al cielo. «Sfondi la porta con un calcio. Ci sarà pure un motivo per cui è considerato un classico».

«Oppure potremmo agire in modo meno drammatico e suonare il campanello».

Lei gli fece ondeggiare il tubo di plastica davanti al naso. «O forse proviamo prima ad aprire la porta?». Ci vollero un paio di tentativi, ma alla fine riuscì a incastrare un’estremità del tubo sul pomolo della porta e a girarlo.

Con uno scatto, la porta si aprì di qualche centimetro.

La Sim sorrise. «Visto, ragazzi? È questo il modo in cui lavorano i professionisti». Spinse sul tubo. «Mai mandare un uomo a fare il…».

Un’esplosione devastò la porta di legno, con una miriade di schegge che volarono nell’aria come i frammenti di una granata. La Sim fu proiettata all’indietro, con le braccia e le gambe tese in avanti, e piombò sull’erba incolta del giardino posteriore, dove restò distesa, scossa da una serie di sussulti.