LVI
Nonostante il tempo immemorabile di servizio e di assoluta, ininterrotta devozione, la donna non è mai stata in grado di comprendere lo stato d’animo della bambina.
Come tutte le Prime Servitrici che si sono alternate in passato e che lei non ha conosciuto, non ha mai lasciato trasparire altro che la completa disposizione a recepirne ogni minima necessità, e il livello di esteriorità delle manifestazioni ha potuto progressivamente diminuire fino a ridursi a minuscoli, impercettibili movimenti di quel corpo alieno che mai ha potuto vedere con completezza; ma le linee dei pensieri, le disposizioni dello spirito sono rimaste un territorio del tutto ignoto.
A lungo ha addirittura immaginato, la Prima Servitrice, che non ci fosse anima in quella struttura leggera e mobile quanto quella di un uccellino o di una medusa. E si è anche interrogata, nel silenzio profondo del cuore in cui, ne è certa, la bambina è perfettamente in grado di leggere, su come uno spirito si possa levigare in tutte quelle ere, simile a uno scoglio consumato dalle onde.
Ma la donna sa, sente che quel misto di familiarità profonda e alienità insopportabile che compone la bambina possiede invece complessi sentimenti e sconosciute emozioni. E che l’esplosione fredda e silenziosa di esse è la più pericolosa delle deflagrazioni.
Oggi sono in cima alla collina, uno dei luoghi preferiti della bambina. La donna, al sorgere del sole, appena dispone della certezza dei movimenti delle nuvole, propone i posti alla bambina, che determina con un secco cenno del capo. Non è detto che voglia l’aria limpida e la vista che si spande senza limite: a volte la preferenza va al vento, che agita le cime dei radi alberi e dipinge macchie sul mare; o perfino alla pioggia, che batte le facciate dei palazzi. Oggi invece l’aria è tersa, e i colori quasi assurdi nella loro brillantezza lucida.
La donna ha passato la notte sulle Mappe. La complessità del calcolo, il groviglio di possibilità l’hanno lasciata incerta e prostrata. A un occhio esterno nulla in lei è cambiato, seduta sulla panchina subito dietro la carrozzina, le mani lungo le cosce, il capo appena chino; ma oggi la bambina parla.
E le parla.
«Figlia mia, sento la tua angoscia e provo tenerezza, perché il tempo non ti ha insegnato ancora. Apriti e dimmi di questo tremito.»
La donna sospira a lungo, prima di rispondere: «Perdonami, Madre. È che… abbiamo lavorato così tanto su questa linea delle Mappe. Io mi ero… mi ero affezionata all’idea che funzionasse. Che fosse vicino il tempo dell’interpretazione, che la prossima emissione potesse… Invece no. Mi dispiace».
La bambina tace, mentre gli occhiali scuri seguono il volteggio di un gabbiano a poche decine di metri. Poi risponde: «Il calcolo. Se fossi stata con me quando il calcolo addirittura si fermò, tanto era rimasta infinitesimale la possibilità che tutto funzionasse. Se avessi dovuto decidere tu se affidare il futuro e la vita senziente, l’unica che vale la pena di essere vissuta, a una bestia laida e violenta. Se avessi dovuto assistere a eoni di barbarie, a genocidi infiniti. Il calcolo è più profondo e vasto di quanto si possa immaginare o prevedere, figlia mia».
La donna ha paura di muovere un muscolo, di non fermare quell’insolito, straordinario flusso di confidenza della bambina. Pensa che anche quello rappresenti l’eccezionalità del momento. «Quindi, Madre, tu dici che non è ancora conclusa la linea? Che forse c’è speranza per loro, che non li abbiamo perduti? Perché, sai, due sono sotto e…»
Qualcosa si muove veloce sotto la coperta, con uno scatto. «Le linee si completano articolandosi, lo sai. Non è il luogo in cui si trovano le componenti, ma l’interazione degli elementi. Quello di sotto non ha piene consapevolezze, vede parzialmente. Difende i Luoghi, pensando di poter fermare la ricezione; e spera forse, tra sé, che qualcuno dei suoi, di questi Guardiani, sia più belva di quanto lui stesso osi immaginare. Invece quello di sopra vede di più e meglio, credo. Ma è lontano, e deve restare lontano. Le uniche che vedono tutto, e che sono qui, siamo noi.»
La donna annuisce: «Lo so, Madre mia. Ma allora cosa è della linea? Che soluzione posso dare al calcolo? I nostri, sai… è difficile, per loro».
La bambina fissa il gabbiano, che ora si è posato su un tetto a pochi metri in linea d’aria. L’uccello si volta all’improvviso, come sostenendo lo sguardo degli occhiali scuri.
«La ragazza chiude il cerchio. È l’unica cosa che importi. La sua fine, la sua morte interromperebbe la linea e dovremmo passare oltre. Ricordi la giovane ebrea?»
Davanti alla mente della donna passa una serie di immagini: una ragazza allegra, che corre su un prato; una mano nella mano; un tavolo con dei bicchieri e una bottiglia, risate e musica; filo spinato sotto la neve; una fila di camicioni di tela di sacco verso una porta. L’ultima operazione sul campo che ha fatto. L’ultimo fallimento.
Con una fitta di dolore sospira: «Ricordo, Madre mia».
La bambina riprende, piano: «Magari, se la ragazza dovesse tornare, ti manderò a osservare da vicino. Magari, se la linea non si chiude, sarà quella giusta e comincerà l’ultima fase del cammino».
Il gabbiano spiega un’ala e non si alza in volo. Si volta inquieto ancora verso di loro.
Sulla strada, a qualche decina di metri, un furgone arranca. La donna ha un lieve brivido.
«Non ti deluderei stavolta, Madre. Stavolta la terrei in vita, qualsiasi possa essere il contesto delle Mappe.»
La bambina sorride, impercettibilmente: «Lo so, figlia mia. Lo so».
Il gabbiano apre l’altra ala, e cade morto.