XLIII
Il viaggio di Lisi con Rudy dura tutto il resto della notte.
È un viaggio strano, su un mezzo silenzioso a metà tra un’auto e un gatto delle nevi, con un unico faro al centro, che si muove a velocità incostante, a volte spedita e a volte quasi a passo d’uomo. Anche se conoscesse bene la zona, Lisi non sarebbe in grado di capire da che parte stanno andando, a causa delle numerose deviazioni.
Rudy se ne sta in silenzio, concentrato sulla guida, le labbra serrate, il busto un po’ sporto in avanti. Lisi è stanchissima e si assopisce, senza nemmeno accorgersene; nel sonno sogna, e nel sogno chiacchiera con sua madre che stranamente, invece di starsene in ginocchio nella sua stanza a cantare a bocca chiusa, sta seduta vicino al suo letto e le accarezza piano la fronte. La rassicura, più col sorriso che con le parole, come a dirle: sei tranquilla, tesoro, lo so che sei tranquilla. E sorridi, mi raccomando. Così lo sapranno anche loro, che sei tranquilla.
Lisi cerca di chiederle chi sono “loro”, ma la madre continua ad accarezzarla e non risponde.
Si sveglia di soprassalto, forse per una buca, senza capire quanto sia durato il sogno.
Rudy, senza voltarsi verso di lei, dice: «Non manca tanto, siamo quasi arrivati. Forse sentirai la testa un po’ leggera, siamo molto in alto. Ma non ti preoccupare: quando saremo dentro, la pressione si stabilizzerà e sarà tutto di nuovo normale».
Lisi, senza molte speranze di ricevere una risposta, chiede: «Ma dentro dove, si può sapere? Dove stiamo andando?».
Rudy guarda veloce il polso con l’orologio, come se la possibilità di risponderle dipendesse dall’ora. Ed evidentemente così è, perché annuisce e le spiega: «Qualcosa adesso te la posso dire, in effetti. Il posto noi lo chiamiamo “il Centro”. In realtà non è che lo nominiamo spesso, perché non ce n’è bisogno. Ma quando ne parliamo, per noi è il Centro».
Lisi sbatte le palpebre. «Il Centro? Ma il Centro di che?»
Rudy si stringe nelle spalle: «Il Centro e basta. Esiste da molto tempo, sai. Credo da più di un secolo e mezzo. Certo, all’inizio non era così, anche perché non c’era bisogno di… Era visibile all’esterno, insomma. Ora invece è integralmente sottoterra, e continua ad allargarsi, lo sanno in pochissimi quanto sia grosso davvero. Io ne conosco solo una parte».
La ragazza chiede: «Ma tu ci lavori da molto?».
Rudy sorride. «Io ci sono nato. E sono uscito pochissime volte. È da là dentro che comunico con te.»
Lisi dice, sorpresa: «Ma… ma non hai detto che è sottoterra? Tu hai una finestra, io vedo la neve cadere…».
Il ragazzo scuote piano la testa. «Ci sono molti aspetti che… Qualche volta, per dare l’idea di essere da un’altra parte… quelli di noi che comunicano con l’esterno mostrano degli scenari alle loro spalle, per rassicurare gli interlocutori.»
Lisi tace, perplessa. Le pare che sia tutta un’enorme menzogna. Continua a non aver paura, ma non le piace essere presa in giro. Poi domanda: «E le cose che dici, anche quelle sono bugie?».
Rudy le lancia un rapido sguardo. «No. È proprio il contrario, è per confermare la verità delle notizie che uno esprime uno scenario rassicurante. Che avresti pensato, se ti avessi parlato da una specie di bunker militare?»
«È questo che è, il tuo Centro? Un bunker militare?»
Rudy ride, inaspettatamente: «No, no! Proprio il contrario! È un’istituzione scientifica, segreta proprio per sfuggire agli interessi governativi. È un’associazione di scienziati di diverso tipo, che studiano, costruiscono, inventano cose. È così che ci manteniamo, proprio vendendo le invenzioni che di volta in volta i nostri scoprono, collateralmente alla ricerca principale. Sai come funziona, no? Mentre tu fai un lavoro, scopri cose che non cercavi. Un altro reparto le perfeziona, poi con molta attenzione si immettono sul mercato attraverso qualche società commerciale. Tutto assolutamente innocente».
A Lisi sembra di stare ancora sognando. «Scusa ma continuo a non capire. Perché il segreto? E cos’è questa che chiami “la ricerca principale”? E soprattutto, che c’entro io e come fai a sapere quello che mi ha detto Gio’ prima di sparire?»
Rudy scuote la testa: «Le risposte, ti ripeto, te le darà qualcun altro. Io ti posso dire solo questo. E ti assicuro che ti dico la verità, al cento per cento: il Centro è un’associazione di scienziati, coperti da un segreto assoluto. Siamo pacifici, non teniamo armi, non dipendiamo da nessun governo né da istituzioni internazionali di alcun genere, che ci costringerebbero a lavorare a progetti militari contrari ai nostri principi. Tutto qui».
Lisi ribatte, incerta: «Scusa ma non mi quadra. Se l’associazione e il Centro stesso sono segreti, perché mi stai portando là? Non temete che io, quando esco, spifferi ai quattro venti la vostra esistenza? Oppure…». Si volta verso di lui, gli occhi spalancati. «Non avete intenzione di farmi uscire, vero? Mi terrete rinchiusa per sempre. O peggio ancora… Volete…»
Rudy scoppia a ridere. «Ma sei pazza? Guarda che noi siamo scienziati, mica ammazziamo la gente. Non abbiamo nemmeno un servizio di sicurezza! Nel Centro non è mai entrata un’arma, figurati. È vero, non vi accede spesso gente estranea, per carità: ma mi dici chi ti crederebbe, se tu raccontassi una cosa del genere? E poi, sapresti indicare la strada? Stiamo viaggiando da quasi quattro ore in mezzo alla neve, tenendo un percorso in direzioni diverse, siamo a tremila metri sottoterra e invisibili dall’alto. Come pensi che ci possano rintracciare, se anche riuscissi a farti credere?»
Lisi tace, colpita, guardando dal finestrino l’esterno immerso nel buio più profondo. È vero, non ha idea di dove siano; non saprebbe dire nemmeno in quale nazione: Francia, Svizzera, Italia.
Si volta di nuovo verso Rudy. «E chi mi darà le risposte che voglio?»
Lui stringe la mascella, come se la domanda non fosse ovvia ma molto, molto difficile. Alla fine dice: «Il direttore. Credo che sarà il direttore a risponderti».