XLV

Lisi si guarda attorno. È curiosa, molto. Il suo occhio abituato ai luoghi antichi registra qualcosa che non ha mai visto né immaginato.

Perché è evidente che il posto non è affatto recente, almeno in questa prima serie di locali che hanno attraversato nel percorso, anzi. La manifattura degli oggetti, le pareti, le scarse suppellettili risalgono senza dubbio a più di un secolo fa; ma la concezione, la funzionalità, i materiali utilizzati sono modernissimi, in qualche caso addirittura più avanzati di quanto la ragazza riesca a immaginare.

L’automezzo si è fermato all’improvviso, in mezzo al nulla, e lei ha creduto che ci fosse un guasto. Rudy ha tolto le mani dal volante e ha incrociato le braccia, disponendosi in attesa. Dopo qualche attimo, e senza che apparentemente il ragazzo si fosse messo in contatto con qualcuno, la macchina ha cominciato a sprofondare lentamente, come inghiottita dalla neve, fino a scomparire sottoterra. Quando è terminata la discesa, Rudy ha fatto segno a Lisi di uscire dall’abitacolo e hanno iniziato a camminare. Un lungo corridoio scarsamente illuminato, una, due anticamere, un ascensore velocissimo e silenzioso, un altro corridoio. A un certo punto hanno incrociato due uomini in camice bianco, che nemmeno si sono voltati a guardarli, continuando a conversare fra loro in una lingua slava che Lisi non ha compreso.

Finalmente, dopo avere attraversato una specie di tunnel con alcune porte sui lati e una vetrata affacciata su una specie di laboratorio di fisica con macchinari in funzione, giungono a un altro ascensore. Rudy imprime il dito su una specie di lettore di impronte e la cabina parte ad altissima velocità verso il basso.

Il tragitto dura comunque molto. Una musica soffusa rende l’atmosfera ovattata. Rudy guarda fisso davanti a sé, ogni tanto si gira verso Lisi e le rivolge un sorriso nervoso. La ragazza continua a sentirsi invece stranamente calma, con qualcosa di più che non riesce a individuare, un sentimento di vaga aspettativa, come si sentiva da bambina la notte prima della Befana.

La cabina rallenta e poi si ferma. Escono in un’anticamera vuota, con una sola porta. Rudy si avvicina e picchietta con la mano, aprendo senza aspettare risposta. Si fa da parte e lascia passare la ragazza.

All’interno, in piedi davanti a una scrivania, una vecchietta in camice bianco. Lisi rimane sconcertata: l’età della donna è indefinibile, ma sicuramente sopra i novant’anni. La pelle rugosa e piena di macchie, i capelli bianchissimi raccolti in una crocchia, la schiena curva; ma due occhi azzurri, limpidi, intelligenti e freddi e un sorriso teso suggeriscono immediatamente alla ragazza di non fidarsi.

«Ciao, Lisi. Finalmente ti vedo. Sono molto, molto contenta che tu sia qui.»

Le due si squadrano. Poi Lisi chiede a Rudy: «La signora sa chi sono io, evidentemente. Posso mettermi in pari?».

Il ragazzo tossisce, nervoso. «Lei è… puoi chiamarla direttore. Così la chiamo io.»

La vecchia non ha distolto gli occhi gelidi dal volto di Lisi, e il sorriso non ha perso un millimetro.

«Sì, direi che direttore va bene. È tanto di quel tempo che nessuno mi chiama per nome che nemmeno me lo ricordo più. Hai fatto buon viaggio? Sei stanca?»

Lisi fa cenno di no con la testa. Chissà perché non ha voglia di convenevoli con quella donna. «Sto benissimo. Ho alcune domande, sono qui per questo. A quanto pare Rudy non ha le risposte, o non me le vuol dare. Vorrei sapere, e poi tornarmene a casa, se possibile.»

Il sorriso si appanna un po’. Poi la vecchia fa un cenno alla sedia e dice: «Prego, siediti pure. Vediamo se riesco a farti contenta, almeno per quanto posso. Rudy però deve lasciarci, vero? Ha molte cose da fare, gli si è accumulato un po’ di lavoro in queste ore».

Lui lancia un’occhiata alla ragazza. «Ma… direttore, io posso rimanere, se Lisi…»

La donna si ferma mentre con passo lento sta navigando attorno alla scrivania per raggiungere la sedia a schienale alto, e fissa inespressiva il giovane.

«Certo, se lei desidera che tu rimanga, puoi restare. Quello che dirò dovrà però rimanere all’interno del tuo livello di conoscenza, naturalmente. Lasciamo a lei la scelta, vuoi?»

Lisi fa una smorfia di indifferenza, seguita da un cenno deciso della vecchia. Rudy stringe le labbra, evidentemente contrariato, ed esce senza salutare. La vecchia sorride, accomodandosi sulla sedia.

«Rudy è un carissimo ragazzo, sai. È nato qui, in un certo senso, ed è molto utile soprattutto per la… comunicazione esterna, ma a volte è difficile fargli capire qual è il suo ruolo. Crescerà.»

Lisi dice, secca: «Mi spiega che cos’è questo posto, in realtà? Che cosa fate qui dentro?».

La donna annuisce, gentile: «Ma certo, anche se qualcosa te l’ha già detta Rudy, lo so perché eravamo in collegamento audio e video con voi per seguire il viaggio. Io aggiungerò che una delle nostre principali funzioni è mettere in collegamento le informazioni. Tutte le informazioni, dalle notizie minime a quelle importantissime. È per questo che il nostro archivio dispone di quei dati riferiti al passato che di volta in volta Rudy ti ha fornito, quando ti servivano. Noi seguiamo… seguiamo la Storia, man mano che si compone. L’analizziamo, ne tiriamo fuori le componenti secondo alcuni princìpi, che sarebbe troppo complicato spiegare».

Lisi corruga la fronte. «E a che serve, quest’analisi? Mi pare che facciate anche altro, però. Ho visto alcuni laboratori di fisica e chimica, c’erano persone che lavoravano a quello che mi è sembrato un acceleratore di particelle.»

La donna sorride, solo con la bocca. «Complimenti per lo spirito d’osservazione. Mi pare di capire che sia meglio che io ti racconti una storia, allora. Ti va di sentirla?»

«Senta, signora, io sono qui per capire. Rudy mi ha detto, in una videochiamata di ieri… no, ieri l’altro, comincio a confondere il tempo… mi ha detto una frase di… una frase che non poteva conoscere, non so se lei ne è al corrente. Voglio sapere come ne è al corrente. Se non mi crede, può mandarlo a chiamare e…»

La vecchina stringe gli occhi, come cercando di ricordare. Poi ripete: «“Va bene, polpetta. Ci vediamo dopo il tramonto. E buon vento a te”».

Lisi prova una vertigine, proprio come quando ha ascoltato quella frase da Rudy. Poi una rabbia cieca monta dentro di lei.

«Senti, vecchia: io non so chi tu sia, né che facciate qui dentro. Ma so che quella frase la conoscevamo in due, io e Giorgio, e che lui è scomparso subito dopo averla detta e non l’ho visto mai più. Ora mi dici come cacchio la sai, e perché me la ripetete come fosse una formula chimica.»

La donna spalanca gli occhi, fingendo meraviglia. «Oh oh, il cucciolo tira fuori le unghie. Mi piace che
siano finiti i convenevoli. Allora, ragazzina, ascoltami bene: qui dentro le regole le faccio io, non tu. Saprai le cose che vogliamo che tu sappia e credimi, non sono affatto poche. La volontà di portarti fin qui non è mia, almeno non solo mia; ma per farti capire bene come stanno le cose, c’è un antefatto e devi avere la pazienza di ascoltare. D’accordo?»

Lisi la fissa di rimando, dura. «Ho capito. Quindi sono stata rapita. Attirata da una frase carpita chissà come e chissà da chi, e intrappolata qui per chissà quale motivo oscuro da una banda di psicopatici che credono di essere la Spectre. Non capisco però perché proprio io, e che volete da me.»

La vecchia sorride, di nuovo senza gli occhi. «Tu, mia cara, sei infinitamente più importante di quanto immagini. Infinitamente. E lo sono le tue ricerche che, avrai piacere di saperlo, sono molto meno assurde di quanto ti dicano. Solo che sei arrivata a un punto, insieme a quella sgangherata compagnia, pericoloso per te e per loro, tanto che ti informo che hanno appena tentato di farli fuori, tutti e tre.»

Lisi balza in piedi. «Chi? Mio zio? E Brazo, Ingrid… Ma com’è successo? E stanno bene?»

La vecchia annuisce, quieta: «Stanno bene, è stato un tentativo maldestro, per fortuna. Un’iniziativa individuale, diciamo. Ma il pericolo c’è, ed è grave. Noi… non potevamo correre il rischio per te, ecco il motivo per cui si è scelto di farti venire qui».

Lisi si lascia cadere di nuovo sulla sedia. Si sente mancare. «Ma… ma che vuol dire? Prevedete il futuro, qui? E come potevate sapere che…»

La vecchia scuote il capo leggermente. «No. Purtroppo non prevediamo il futuro. Facciamo però delle ipotesi con buona approssimazione, e spesso indoviniamo. La verità è che, brancolando e non pianificando, avete toccato una specie di nervo scoperto, cara. E avete messo a rischio l’esistenza di… gente strana, un po’ particolare, la cui reazione non sempre è prevedibile. Tutto qui. Ora, noi al Centro crediamo di essere riusciti a definire questo rischio e di poterlo fronteggiare. Ma per riuscirci è necessario che tu sappia cosa fare e come muoverti. Allora, ci stai ad ascoltarmi?»

Lisi annuisce: «Sì. Ma prima devo sentire mio zio. Devo sapere che sta bene. Altrimenti non se ne parla».

Il direttore resta a fissarla per un lungo minuto, i piccoli occhi azzurri senza espressione in quelli neri e appassionati della ragazza che però sostiene fiera lo sguardo. Poi dice: «Va bene. Farai la tua telefonata. Dopo mi ascolterai, e alla fine incontrerai… una persona. Siamo d’accordo».