LII

La donna si è accorta che la bambina, invece di tenere gli occhi sul mare e sulla cesura tra il cielo e l’acqua, ha spostato il volto verso la città. Ben due volte, nel ciclo della stella.

Per cui ha chiamato il furgone, che è arrivato puntuale e silenzioso, benché sia Natale; ha fatto caricare la carrozzina a bordo, mentre la bambina fingeva di lasciarsi prendere per un secondo tra le sue braccia per poi essere deposta sul sedile; ha sussurrato una destinazione all’autista, che è partito immediatamente.

Ora sono sul piazzale della collina, sotto la Certosa, circondate da coppie innamorate e ragazzi che fumano erba e bevono birra, mentre l’ininterrotta massa di edifici si stende sotto di loro a perdita d’occhio, accendendosi nel pomeriggio di luci e di ombre.

La donna aspetta. La bambina continua a fissare la città dietro gli occhiali scuri, il cappello di lana calato sulla fronte, il volto pallidissimo e glabro, il collo sottile affondato nella sciarpa, la pesante coperta fino alle scarpe nere. La donna coglie in lei una tensione raramente conosciuta. Una tensione espressa dalla assoluta mancanza di movimento, quasi si trattasse di un gracile manichino, un simulacro senza vita da portare in giro come fosse vero.

A un tratto sente insopportabile il peso e dice: «Ricordi, Madre mia, quando non c’era questo castello? Quando le costruzioni erano pochissime, e giungevamo qui col carro trainato da un asino?».

La bambina sembra emergere lentamente da un sonno profondo. «Ricordo anche prima, quando tu non eri nemmeno un frammento di calcolo sulla Mappa. E non c’erano costruzioni, e nemmeno il mare. Ricordo quando animali di cui oggi si ignora l’esistenza si aggiravano tra alberi ora estinti, e anche la stella si muoveva seguendo un’altra orbita. Ricordo le urla degli uccelli, e la morte di esseri che avrebbero potuto dominare questo pianeta. Se io non avessi deciso diversamente. Il peso di quelle estinzioni, di tutte quelle morti non mi opprime. Ma il calcolo, le variabili mi divertono ancora. Non ora, però. Non ora.»

Dal basso arrivano i clacson e le musiche della festa. Due ragazzi cominciano a litigare, alzano la voce e poi si mettono a ridere. Troppa birra, pensa la donna.

La bambina chiede, all’improvviso: «Sono già scesi, gli altri?».

La donna scuote il capo, continuando a tenere d’occhio i ragazzi e valutandone la distanza dalla bambina. L’esplosione di rabbia è una variabile di cui la Mappa non sempre tiene conto. Non c’è rischio, ovviamente, ma in caso di pericolo la bambina dovrebbe manifestarsi, e con tutti quei cellulari in giro il rischio sarebbe grave.

«No, Madre. Ma stanno per farlo, lo sai. Questione di giorni, forse di ore.»

Un altro silenzio. I ragazzi salgono su uno scooter e si allontanano. La donna sente sciogliersi la tensione dai muscoli del collo.

«E della ragazza sappiamo qualcosa?»

La donna è sorpresa: «Ma, Madre, non l’avevi data per perduta? Non c’è… Ce l’hanno loro, lo sai».

La bambina tace per un po’. Poi dice: «Quante persone. Quanti incroci, quante variabili qui sotto. Non vedi? Ci sono i vicoli ciechi, quelli che non avranno impatti sul futuro, e tante opportunità nuove. La Mappa si rinnova, come ho prescritto che sia. La ragazza non è un discorso chiuso. Non lo è adesso, e nemmeno lo sarà. Lo sai, mancano trent’anni. Mantieni alta la sorveglianza, figlia mia. Non perdere di vista la traccia, finché si sviluppa in continuità. È quello che ti ho insegnato, da quando la Certosa e il castello non esistevano né era nata la linea che ha portato alla famiglia di quelli che li hanno costruiti. Non dimenticare».

La donna, presa da una nuova felice inquietudine, fa un cenno all’autista che le attende vicino al furgone a cinquanta metri di distanza. È ora di rientrare.

Rudy ritorna nell’ufficio del direttore, pallidissimo e agitato.

«L’ho lasciata fuori dalla seconda porta, direttore. Non ero mai arrivato così vicino, è stato… Lo sentivo, capisce? C’era qualcosa, nell’aria, che… Come se qualcuno mi avesse preso per il braccio, e portato via.»

La vecchia annuisce, sbrigativa: «E le hai spiegato come fare, vero? L’accesso non è semplice…».

«Ma sì, certo che sì. Le ho detto di mettere il dito sulla tastiera, di avvicinarsi allo schermo. Come mi ha spiegato lei… Insomma, direttore, io non ci sono mai… Non ho mai visto. Finora, almeno, no? Perché c’è sempre la speranza che io possa…»

«C’è, come no, certo che c’è. E io stessa, purtroppo, non sono eterna. Ci sarà bisogno di qualcuno che… che prenda quel ruolo, e se tu…»

«Io, direttore? Proprio io? Quanto sarebbe bello anche solo poterlo guardare, poterci discutere, ho tante cose da chiedere che…»

«Questo lo vedremo. Il tempo non manca, lo sai. Dobbiamo solo superare questa crisi, che è la più grave di sempre. Basterebbe così poco, per risolverla; l’hai vista, no? È tanto… fragile.»

«Sì. Sì, lo è. Ma lui ha prescritto, no? Noi non possiamo. Noi non uccidiamo le persone.»

«No. A questo purtroppo non si sfugge. Ricordo che, tempo fa, accadde una cosa qui al Centro. Una questione stupida, gelosia, invidia. Uno di biologia fece fuori uno di telecomunicazioni. C’era questa ricercatrice, lavorava alle Mappe, addirittura. Tanto tempo è passato, ma ce li ho ancora impressi. Lui ci volle parlare, pochi secondi; l’assassino uscì coi capelli bianchi, sai? Completamente bianchi. E morì due giorni dopo, sbavando e ridendo, senza più dire una parola. Ho i brividi al solo pensiero.»

«Sì, direttore, ma… lui che le dirà? Forse la farà impazzire, forse ridurrà anche lei a…»

«Non lo so. Nessuno può immaginare. Lui, sai, ha altre linee di pensiero. Quando sono davanti a lui non riesco a dire che “sì, Maestro” o “no, Maestro”. Non so come ragiona. Non so di cosa le voglia parlare, non so perché l’abbia voluta qui. So solo che lei è il più grande pericolo che mai il genere umano abbia conosciuto.»

«Ma davvero è così, direttore? Non può esserci un’errata lettura, un’anomalia nella Mappa?»

«No, Rudy. Tutto è chiaro, più di quanto sia mai stato. Hitler, Stalin, Cristo, Maometto, Galileo non sono niente a confronto. I numeri sono chiarissimi.»

«E allora non possiamo lasciarla andare, direttore. Anche se lui…»

«Noi non uccidiamo le persone, Rudy. Non lo fac-
ciamo.»

«Quindi che cosa ha in mente, lei? Perché l’ottica del Maestro può essere diversa dalla nostra, no? In fondo lui stava altrove, e aspettava. Per lui cinque o sei secoli non fanno differenza.»

«Infatti. È così. Ma noi non uccidiamo le persone.»

Rudy tace, afflitto. Ma all’improvviso la vecchia sorride, e tutto il volto le si accartoccia attorno agli occhi. «Il che però non significa che non possiamo lasciarla morire, no? C’è tanta neve, fuori. E tanto freddo.»

Il ragazzo spalanca gli occhi: «Lei dice, direttore? Davvero? Possiamo farlo? E lui? Cosa dirà se…».

La donna si alza e percorre faticosamente qualche metro, reggendosi con la mano al bordo. «Lui vedrà solo un numero sulla linea della Mappa. Sarà una cosa quasi senza significato, è già successa. E riprenderà a guardare il suo schermo, e a guidarci nel cammino. Magari dentro sarà felice che il caso, il semplice vecchio caso, abbia offerto una soluzione più rapida e indolore.»

Rudy, lentamente, comincia a sorridere.

Lisi entra dalla porta dove Rudy l’ha lasciata. Sente qualcosa, e crede l’abbia sentita anche il ragazzo che è diventato pallido e ha lanciato occhiate frenetiche al di là del battente. Sembrava terrorizzato.

Lei invece percepisce nel cuore una strana, incongruente calma. La sua inquietudine, quella alla quale si è da tempo immemorabile abituata, che la spinge a cercare e a cercare senza sosta, si è all’improvviso placata, le è sceso dentro un silenzio dolce, attutito. Non ha aspettative, ma neppure paura. Si sente, assurdamente, al proprio posto.

Si trova in un ambiente stretto, una piccola anticamera che ha solo due porte: una è quella dalla quale è appena entrata.

C’è silenzio. Lisi si accorge che la musica che suona in ogni ambiente del Centro là tace.

Si avvicina sicura all’altra porta e appoggia le dita sullo strumento vicino allo stipite.

La porta si apre.

Da una finestra che prende quasi tutta una parete, il pae-
saggio esterno, neve, la pallida luce del freddo sole, qualche cima di albero che freme nel vento. Un tavolo. In penombra, al lato opposto della stanza, una figura informe.

Lisi entra, e si chiude la porta alle spalle.