IV

Il portiere in livrea vede arrivare la donna che spinge la sedia a rotelle e si affretta ad aprire l’ingresso di fianco alla porta girevole di cristallo. Mentre aspetta, si chiede come mai con quell’umidità che entra nelle ossa lei abbia accompagnato fuori la bambina; poi riflette sul fatto che comunque, qualsiasi siano le condizioni atmosferiche, ogni giorno da quando lui è in servizio, le due escono alle nove e rientrano alle dieci. Evidentemente, va bene così.

I ricchi, pensa, sono creature incomprensibili.

La donna gli fa un sorriso cortese mentre attraversa il varco con lui che tiene aperto il battente. È una signora gentile di mezza età, molto raffinata e riservata, di corporatura media ma abbastanza forte da spingere la carrozzina da sola, senza mai accettare l’offerta di aiuto del personale dell’albergo. Il portiere si affretta all’ascensore attraverso la hall, premendo il tasto e collocandosi di lato. La signora gli sorride ancora. Lui abbassa lo sguardo sulla bambina. Può avere una dozzina d’anni, pallidissima, due grandi occhiali da sole e un cappellino di lana calzato sulla testa. Una coperta rimboccata parte dalle spalle e arriva fino alle caviglie, due pesanti scarpe nere pulitissime appoggiate su una piccola pedana. Il corpo, gracile e sottile, si intravede appena. Sembra assopita, il capo su un cuscino morbido.

Il portiere chiede a bassa voce: «Come sta la signorina, oggi?».

La donna scuote il capo, continuando a sorridere. «Si stanca subito, ma abbastanza bene.»

«Mi scusi, signora, se mi permetto: ma è il caso di portarla fuori con quest’umidità? Mia figlia, che mangia come un maiale e pesa sessanta chili a dieci anni, se sta fuori un’ora in una giornata così, poi tira su col naso per il resto della settimana.»

La signora allunga una mano e sistema meglio un lato del plaid.

«Al di là della malattia, che è sotto controllo, non si raffredda facilmente. E se non la porto a fare la sua passeggiata quotidiana, si intristisce, ed è molto peggio. Poi la vede, è coperta benissimo. Stia tranquillo.»

Il portiere sorride e annuisce, aprendo il cancelletto dell’ascensore.

All’ultimo piano, dentro la suite, la luce è diversa. La donna spinge la carrozzina fino alla vetrata, dalla quale si può ammirare un panorama di incredibile bellezza. Il mare e il cielo, dello stesso grigio, si uniscono all’orizzonte come fossero una cosa sola.

La bambina si riscuote e drizza la testa, rivolgendo la faccia alla vista. La donna si colloca mezzo metro dietro, ferma, in attesa.

La bambina mormora: «Quasi due anni che siamo qui. Forse il tempo è finito. Abbiamo scelto dove andare?».

La donna bisbiglia di rimando: «Certo, Madre. Avremmo pensato a un appartamento sulla collina. Un posto riservato, tranquillo. Possiamo rimanerci almeno dieci anni, forse dodici».

La bambina tace. Poi dice: «La vista?».

La donna sorride: «Naturalmente. Come sempre».

Di nuovo silenzio. Un gabbiano urla all’esterno.

«Volano bassi. Pioverà.»

La donna china il capo, come se la notizia la deprimesse. «Sì, Madre. Pioverà.»

Restano così, ferme nella luce e nel silenzio.

Dopo qualche minuto, la donna si inginocchia, le mani sulle cosce e il volto verso terra. La bambina comincia a mormorare una monotona melodia.

All’improvviso si interrompe, e la donna solleva vigile la testa.

La bambina sussurra: «Dimmi della ragazza. Dimmi di quello che la Mappa mostra per lei».

La donna si alza di scatto e comincia a parlare.

Il gabbiano urla di nuovo.