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Ingrid si era cambiata. Niente più giacca a vento ma un giubbotto nero piuttosto leggero e un paio di jeans, con una macchina fotografica al collo.

Brazo la squadrò ammirato, e per giustificare lo sguardo disse: «Non sta un po’ freschetta, signorina? È dicembre».

La ragazza sorrise.

«Ingrid, per favore. Diamoci del tu. Sai, io sono tedesca. Quando veniamo in Italia, per noi è estate per principio. Dove andiamo?»

Marco rispose guardando la strada dal finestrino: «In un posto magico, nell’incanto del suono stereofonico e con un sacco di effetti speciali da raccontare agli attoniti lettori tedeschi».

Brazo sospirò, continuando a guidare. Ingrid, come se avesse previsto quel tono ironico, annuì senza replicare.

Il parcheggio fu laborioso perché Brazo non voleva correre rischi di graffi o rimozioni, ma alla fine riuscirono a posteggiare e si addentrarono nel dedalo dei vicoli della città antica. Marco camminando svelto raccontava, indicando di volta in volta i riferimenti di quello che diceva.

Parlò del tracciato ortogonale della città greca, ideata dall’architetto Ippodamo da Mileto, allievo di Pitagora. Datò l’arrivo da Rodi di alcune navi mercantili sull’isolotto di Megaride nel IX secolo prima che Cristo nascesse. Parlò del fiume Sebeto, del culto della Sirena.

Ingrid ascoltava, curiosa. Nessuna delle notizie che uscivano dalla bocca del professore le era ignota, era molto divertente rilevare quanto la sua preparazione fosse sottostimata dall’uomo. Quello che la intrigava era il tono: come una malinconia sottile, una gelosia antica e incancrenita. Argomenti delicati, amati e coltivati dati in pasto a grossolane ignoranze, a fameliche, superficiali passioni pronte a passare oltre in cerca di una nuova sensazione, di un nuovo brivido. Marco aveva il tono stanco di una vecchia, triste guida turistica.

Le divinità femminili scorsero una dopo l’altra nelle parole del professore, mentre percorreva una lunga strada infreddolita carica di bancarelle e di botteghe che esponevano decorazioni natalizie. Ingrid faticava ad ascoltarlo, perché lui camminava svelto senza curarsi che i suoi racconti giungessero a destinazione. Sembrava recitare una litania, una preghiera rituale.

Demetra, Persefone ed Ecate, i Misteri Eleusini celebrati per secoli. Iside, sfiorata e accarezzata come una vecchia amica abbandonata al suo destino. Nulla che Ingrid non sapesse, ma la ragazza intuiva sotto quella frettolosa mano di vernice dedicata al suo uso e consumo una conoscenza profonda e perfino sofferente.

Non disse niente. Gli lasciò credere di ascoltare cose nuove, anche se l’assenza di un solo sguardo verso di lei le lasciava immaginare, con una punta di fastidio, che a Marco non interessava proprio che la donna lo stesse a sentire. Stava assolvendo a un incarico per il quale non aveva alcun trasporto, e voleva che si capisse bene.

Giunsero al luogo dove erano diretti, e Ingrid ancora una volta prese tristemente atto della bassa considerazione che quei due avevano di lei.

Marco disse: «Questa comunque è Cappella Sansevero. Non siamo nell’antichità e nei primi culti, ma immagino sia più interessante per i lettori di un giornale… di un giornale come il tuo. Se hai l’accredito per fare foto lo devi presentare, altrimenti compri le cartoline allo shop, vanno bene uguale. Noi abbiamo il tesserino dell’università, tu devi fare il biglietto. Là dove c’è la coda».

Brazo rivolse un’occhiata in tralice a Marco, e si offrì di andare a prendere il biglietto per la loro ospite. Restarono soli, senza guardarsi né parlarsi finché il giovane tornò.

Una volta entrati, Marco cominciò a parlare con tono da maestro elementare: «Fu costruita nel 1590, come ex voto per una malattia dalla quale era guarito, da Giovan Francesco di Sangro, antenato di Raimondo. Questo era allora il giardino del palazzo, che è quello di fronte, e serviva come cimitero di famiglia. Fino alla fine dell’Ottocento c’era un ponte che univa le costruzioni, con un orologio animato. Peccato, quello magari era bello da far vedere ai tuoi lettori, come un gigantesco cucù. Non esistono raffigurazioni, ma magari era abbastanza cafone».

Ingrid si morse il labbro inferiore e tacque.

Marco continuò: «È interessante, ai tuoi fini, il cornicione. Lo vedi? È continuo, lungo tutta la cappella. Pare sia stato realizzato con un mastice inventato dal principe Raimondo, un uomo notevole che…».

La donna non resistette più: «Il mastice, certo. E la colorazione del pavimento che non viene meno, e la continuità della riga bianca dall’ingresso, come un labirinto. E la leggenda del Cristo velato, col velo che entra in una narice a lasciar credere che sia ancora vivo dopo la morte, e il libro nella rientranza laterale dove dovrebbe essere la tomba di Raimondo e invece non c’è, che è chiuso a simboleggiare la fine del percorso iniziatico, con la squadra e il compasso dei massoni appoggiati sulla copertina. Vogliamo parlare dei colori degli affreschi, che non piacevano al principe e che fece rifare? O del significato del bassorilievo del cieco risanato, sotto la statua del Disinganno di Queirolo?».

Un gruppo di studenti in gita si voltò verso di loro, incuriosito dal tono aspro di Ingrid. Una ragazza ridacchiò dando di gomito a una compagna.

Brazo emise un profondo sospiro, scuotendo il capo. Marco si voltò lentamente.

«Notevole. Proprio notevole. La bambina ha fatto i compiti, vedo. Si può sapere che cosa vuoi da me, allora?»

Ingrid si avvicinò, minacciosa. La mente di Marco fu attraversata dal pensiero di quanto diventasse carina quando si arrabbiava, ma l’idea fu subito soffocata.

«Parlami di Iside, invece di perdere tempo con queste sciocchezze sulla massoneria. Dimmi della leggenda che vuole ci fosse un tempio proprio qui sotto, e di come probabilmente il fiume sotterraneo consentisse le ritualità che nel Seicento ancora si seguivano. Di come Iside in realtà sia proprio la statua della Pudicizia, invece che la madre del principe, come si vuole far credere. Di cosa significhi il velo, e perché l’idea del nascosto, del celato sia in quasi tutte le opere della Cappella: la rete del Disinganno, il guerriero che esce dalla cassa sul portale, lo stesso Cristo deposto. Parlami di questo, invece di fare la guida turistica di terz’ordine.»

Brazo e Marco si guardarono, a bocca aperta. Le due ragazzine si fissarono con gioiosa sorpresa per l’inattesa puntata di sit-com alla quale avevano assistito.

Ingrid si voltò: «Io me ne vado. Non posso permettermi queste perdite di tempo».

Uscì a passo svelto dalla Cappella. Brazo fu il primo a riscuotersi e a inseguirla: «Ingrid! Ingrid, scusa, il professore non… Noi non potevamo sapere che tu… che tu sapessi queste cose, il livello di…».

Marco li raggiunse all’aperto e disse, a muso duro: «Tu adesso mi spieghi per filo e per segno che sei venuta a fare qui. Altrimenti continuiamo a prenderci virtualmente a schiaffi, e questo non serve a nessuno, credo. Allora?».

La donna avvicinò il suo volto a quello del professore, che arretrò istintivamente di un passo.

«Allora, io sono qui per andare più a fondo. Molto più a fondo. Come anni fa hai provato a fare tu, prima di essere zittito da quelle vecchie galline del mondo accademico. Io voglio sapere che altro c’è, qui sotto: sotto queste chiese, sotto queste strade. Voglio sapere se sei andato avanti, che hai fatto nel frattempo, in questi quindici anni. Ecco cosa sono venuta a fare qui.»

Marco sbatté le palpebre. Brazo disse, sommesso: «Mamma mia…».

Il professore rispose: «Io non potevo immaginare che… Ma che ne sai tu dei miei studi e delle mie ricerche? Io non… io non sono pronto, non ancora. Quando lo sarò, stanne certa, lo sapranno tutti, dovunque. Perché pubblicherò, e… In ogni caso, non sarà su un giornale qualsiasi, con rispetto, eh».

Ingrid si andava calmando, ma stringeva ancora i
pugni.

«Lo capisco, io, questo. Lo capisco. Ma è utile a tutti alzare il livello, no? Io potrei preparare il terreno, concordando con te i termini per le successive pubblicazioni. Sarebbe sufficiente far comprendere alla gente che c’è ancora qualcosa di interessante da scoprire, proprio dove ogni cosa sembra già nota. Ci pensi? Fondi europei, attenzioni accademiche… Non dico nei dettagli, ovviamente, ma almeno qualche indicazione.»

Brazo mormorò: «Prof, forse…».

Marco lo tacitò alzando la mano, senza distogliere gli occhi da quelli di Ingrid.

«Potrebbe interessarmi. Forse potrebbe interessarmi. L’idea di quel fesso di Fusco costretto a darmi più spazio, in effetti, potrebbe davvero essere allettante. Ci devo riflettere.»

La donna scosse il capo, dura: «Devi riflettere in fretta, caro. Perché se non vengo a sapere niente di interessante, io me ne torno a casa, e passiamo oltre. O credi di essere l’unico che sta facendo qualcosa di segreto, degno di un articolo su un giornale vero, non di quel vecchiume che frequenti tu?».

Marco annuì, la fronte corrugata. «Forse ti presento una persona, domani mattina. Una persona che, chissà perché, mi ricorda te. Lei magari qualcosa da dirti ce l’ha, senza mettere a rischio il posto di lavoro.»

Brazo disse: «Prof, non starai pensando a…».

Marco sorrise, malizioso. «Ci vediamo domattina presto. Ti veniamo a prendere noi, in albergo.»