XIV

Contrariamente a quello che si poteva immaginare, Lisi, una volta appresa la notizia della morte del custode, non si avviò verso il parcheggio ma si voltò e s’incamminò lentamente in direzione opposta.

Brazo e Marco furono colti di sorpresa, perché, nel breve scambio di battute che avevano avuto tornando, si erano preparati a convincere la ragazza a evitare di mettersi in mostra con una serie di domande alle quali, peraltro, nessuno avrebbe potuto dare risposte.

Ingrid fu la prima ad affiancare Lisi, per chiederle: «Scusa, ma dove stai andando, ora?».

La ragazza aveva l’aria concentrata e decisa. «In una friggitoria. Ovviamente.»

Brazo e Marco le avevano raggiunte. Il professore disse: «Senti, Lisi, ascoltami un attimo. Uno lo può pure avere un infarto nel giorno del solstizio, no? O è proibito? Non puoi trarre conclusioni a vanvera, e soprattutto non mi pare il caso adesso di precipitarsi…».

Ingrid chiese, perplessa: «In una friggitoria? E perché in una friggitoria?».

Nessuno si curò di risponderle.

«E comunque, anche ammettendo che… E sia chiaro, non lo ammettiamo, ma anche ammettendolo, credi sia il caso di esporsi così? Che cosa pensi di trovare, là?»

Ingrid insistette, cercando di tenere il passo della ragazza che aveva accelerato l’andatura: «Qualcuno mi dice che c’entra la friggitoria?».

Marco affiancò la nipote. «Se anche il tizio, il tuo amico lì, avesse ragione – immaginiamo per assurdo, perché basta guardarlo per capire che è solo un ragazzino fanatico – allora sarebbe qualcuno che opera qui al mithreo, no? Magari qualche fesso che ha letto un vecchio libro, o trovato qualche dannata indicazione su internet, un tutorial sul sacrificio del toro, e ha ammazzato un povero cane. Ma che c’entra l’infarto del custode, me lo vuoi dire? Non l’hanno mica sgozzato. È morto d’infarto,
cacchio!»

Lisi si fermò di botto, facendo quasi cadere Brazo, che per evitare di andarle addosso si produsse in una specie di passo di danza. Fissò lo zio e disse: «Continui a fingere di non capire, eppure sei tu che hai gettato le basi della teoria. Questo è l’inizio. È solo l’inizio. Se devi entrare in un posto custodito per fare qualcosa d’insolito, come sgozzare un cane non disponendo di un toro, devi togliere di mezzo il custode. Non è un infarto, quello».

Marco reagì con voce stridula: «Ma se ti dico che non c’era traccia di violenza! È la prima cosa che ho chiesto, maledizione!».

Lisi rise, beffarda. «E tu pensi che questa sia gente che deve ricorrere alla violenza fisica, per togliere di mezzo qualcuno? È esattamente come trent’anni fa. Io l’avevo previsto, i dati erano univoci, e così è successo. E adesso parte la verifica, e la verifica parte dalla friggitoria.»

Si girò e riprese a camminare svelta.

Brazo e Marco si guardarono, sconfitti, poi la segui-
rono.

Ingrid chiese ancora, senza convinzione: «Ma che c’entra una friggitoria?».

A qualche metro di distanza, un uomo bruno e magro li seguiva, attento a non farsi vedere.

Malgrado la debole protesta di Brazo, che lamentava il precario parcheggio della preziosa Mini, il piccolo corteo si addentrò nel dedalo di strade che da via Toledo si ramificava verso il centro. La mattina ormai si era avventurata nel pieno del giorno, e una marea umana si andava riversando nelle vie alla ricerca dell’ultimo sospiro di shopping natalizio.

Ingrid, curiosissima di capire cosa c’entrasse una friggitoria con le teorie di Lisi, non poté fare a meno di riflettere su quanto fosse stretta quella città in rapporto alla gente che ospitava. Sembrava un liquido, un flusso inarrestabile che brulicava attorno a quei palazzi incoerenti fra loro, tutti diversi e belli allo stesso modo, che se ne stavano un po’ in bilico come giganti benevoli in attesa di crollare rovinosamente.

Proprio quando il muro di gente andava facendosi impenetrabile, dopo un quarto d’ora di faticoso cammino si trovarono davanti alla statua del dio Nilo. Ingrid ovviamente conosceva bene il posto, il centro del Triangolo egizio, uno dei luoghi di maggior interesse esoterico non solo della città ma forse del mondo. Lisi però non degnò la statua di uno sguardo, virando senza incertezze in una bottega di fronte, all’esterno della quale un gruppo di ragazze e ragazzi mangiavano pizzette e bevevano birra ridendo rumorosamente. Lisi si fece largo con decisione – urtando una delle giovani che si versò addosso un po’ di birra e la guardò storta – ed entrò nel locale. Con difficoltà, prima Brazo e poi Ingrid e Marco la seguirono.

Al banco c’era un ragazzo sonnacchioso che distribuiva alimenti man mano che una donna dalle enormi braccia e con una cuffietta sulla testa estraeva le fritture da una pentola d’olio bollente con un grosso mestolo bucherellato.

La terza figura che completava l’organico era un uomo di mezza età con la faccia arrossata, che incassava soldi e distribuiva le bevande come un croupier.

Lisi si avvicinò all’uomo. «Mi scusi, c’è un bagno?»

L’uomo, senza voltarsi, rispose sgarbato: «È guasto».

Lisi insistette: «Guardi che ne ho davvero bisogno, se può farmi la cortesia…».

Il cassiere si voltò verso di lei: «Signori’, vi ho detto che è rotto. Provate al bar più avanti, io qua tengo da fare».

Brazo si avvicinò, togliendo una banconota dal portafoglio.

«Allora facciamo così, qua stanno venti euro e ve li tenete per il disturbo, e lasciate che accompagni la signorina in bagno. D’accordo?»

L’uomo fece un sorriso lascivo d’intesa, cambiando espressione da arcigna a complice.

«Ah, ho capito, vi serve un poco d’intimità urgente. Ma come, a prima mattina? Però il bagno non lo potete usare, è veramente guasto. Abbiamo avuto una visita l’altra notte, e hanno rotto la serratura.»

Marco si fece vigile: «Come sarebbe? I ladri? E che hanno preso?».

L’uomo si strinse nelle spalle.

«Niente. Proprio niente. Eppure potevano arrivare qua alla cassa, non avrebbero trovato molto ma qualcosa sì. Sono solo entrati e hanno rotto il catenaccio della porta del bagno. Prego, accomodatevi. Andate a vedere.»

I quattro girarono attorno al bancone e arrivarono sul retro, dove c’era una porticina a soffietto. Da quella si accedeva a una rampa di scale che portava a un vano adibito a deposito. In fondo al deposito c’era una porta dalla quale pendeva un chiavistello spaccato. Brazo lo prese in mano, verificando che era chiuso: l’unico modo di accedere era rompere il sostegno, e così avevano fatto. Lisi aprì con cautela e sparì all’interno.

Ingrid si affacciò e si accorse che nel minuscolo bagno la ragazza non c’era. Si voltò e chiese a Marco e Brazo: «Ma dov’è andata?».

Brazo, preoccupatissimo, la spostò di lato e sparì a sua volta all’interno. La tedesca si accorse che si era abbassato e aveva spostato una tenda a metà muro, che pareva coprire solo il contatore dell’acqua. Lo seguì, e con riluttanza Marco fece lo stesso.

Dietro la mezza tenda si apriva un cunicolo che si inabissava nel buio. A qualche metro di distanza, Ingrid sentì la voce concitata di Brazo che diceva: «Lisi, Lisi… ti prego, non fare pazzie, non si vede niente… Fermati, dove sei?».

Marco sbatté addosso a Ingrid, che a causa del buio pesto si era fermata. Il professore mormorò: «Accidenti alla testaccia dura delle donne. Dove cavolo sei, si può sapere?».

Ingrid sibilò: «Pure sessista, adesso. Non si vede niente, ci sono dei gradini, aspetta».

Accese la torcia del telefonino e la luce improvvisa mostrò alcuni gradini irregolari che svoltavano verso destra. Appena girato l’angolo, la giornalista e il professore si trovarono in un piccolo slargo con una nicchia scavata con precisione nella parete. Lisi era all’interno, accovacciata a terra, con Brazo in piedi dietro di lei.

Rivolgendosi a Ingrid disse con tono sarcastico: «Cara signorina, ti presento l’ingresso, uno degli ingressi per essere precisi, ma il più facile da percorrere, del tempio di Iside. Anche Iside, cioè, perché probabilmente il posto era un tempio da prima degli alessandrini nel I secolo».

Marco cercò di arginarla: «Lisi, stammi a sentire…».

La ragazza continuò imperterrita: «Questa parte potrebbe essere stata anche il luogo dove veniva adorata Lilith, detta la Luna Nera, la dea mesopotamica della tempesta e in senso lato della morte e della disgrazia. Sbaglio, zietto?».

Marco sospirò, scuotendo il capo. La luce bianca del telefono di Ingrid contrastava nettamente col buio profondo del cunicolo.

Lisi riprese: «Siamo appena fuori dal Triangolo. Il centro geometrico della chiesa di San Domenico, il baricentro del Palazzo di Sangro e il basamento della statua del Nilo, proprio qui di fronte. Il Triangolo dell’Energia Sacra, quello che apre il canale di comunicazione tra il cielo e la terra».

Marco cercò di nuovo di intervenire: «Lisi, queste sono cose che sappiamo tutti, mi dici che ci sarebbe di nuovo?».

La ragazza indicò qualcosa davanti a lei.

«Questo mi pare abbastanza nuovo.»

Poi avvicinò la mano di Ingrid col telefono alla nicchia, evidenziando un segno irregolare sulla parete interna. La giornalista si fece ancora più avanti e vide un ferro di cavallo di colore rosso, evidentemente tracciato con un pennello, con i bracci verso l’alto e un cerchio al centro.

Con un sospiro, Lisi disse: «Guarda qua. I segni sono ancora freschi…».

Brazo sussurrò, alzando gli occhi sul viso di Marco: «È recente. È molto recente».

Lisi disse, con tono malignamente trionfante: «Non recente. È di stanotte. Ed è il motivo per cui la porta è stata forzata e forse anche la causa della morte del custode del parcheggio. Ve lo dico io».

Quando uscirono dalla friggitoria, l’uomo alla cassa non alzò nemmeno lo sguardo. All’aperto, la folla era ancora aumentata e a stento si riusciva a parlare dato il frastuono.

Marco urlò: «Cerchiamo un posto dove scambiare due chiacchiere».

Brazo annuì e riferì a Lisi e Ingrid. Cercando di risalire il flusso delle persone dirette alla via dei Pastori in senso contrario, i quattro si avviarono verso il centro.

Davanti a una bottega di souvenir, un uomo dalla pelle bruna di circa quarant’anni depose un pulcinella di stoffa e terracotta che stava fingendo di osservare da vicino e li vide andarsene. Dopo neppure un minuto si voltò in direzione opposta e si avviò, di fretta.