LI
Marco si era alzato dal tavolino, dopo aver visto il proprio smarrimento anche negli occhi degli altri due, che si erano passati il telefono con l’audio della breve conversazione con la nipote, e si era avviato deciso.
Brazo era quello che si era riscosso per primo, e arrancando nella folla lo aveva raggiunto. «Dove vai adesso, prof? Che facciamo?»
Anche Ingrid era arrivata porgendogli il telefono: «Be’, almeno sappiamo che sta bene, no? Ha detto che torna presto, quindi ti puoi tranquillizzare».
L’uomo camminava svelto, gli occhi fissi davanti a sé. «No. Tutt’altro. È nelle mani di qualcuno, e ora lo so per certo.» Lanciò uno sguardo attorno, la ressa era enorme. All’improvviso Marco sembrava aver paura di chiunque.
Brazo chiese, incerto: «Ma… ma come fai a saperlo, scusa? L’hai sentita, era lei, ne sono sicuro».
Marco si fermò e si voltò verso di lui. Ingrid gli andò perfino a sbattere addosso.
«Se io ti parlassi per metafore, se facessi riferimento a qualcosa che sappiamo solo noi due, adesso, qui, che cosa penseresti? Per esempio di me e di lei?» e indicò la giornalista.
Brazo fece una faccia perplessa: «Be’, penserei che… che c’è un significato diverso da… Che non vuoi far capire a Ingrid quello che mi stai dicendo, ma che hai urgenza che… lo sappia io». Le ultime parole le aveva pronunciate in un soffio di improvvisa comprensione. Marco si era voltato e aveva ricominciato a fendere la folla con decisione.
Ingrid chiese: «Ma dove stiamo andando, si può sapere? Che hai deciso di fare?».
Marco rispose intervallando brevi frasi a sguardi circospetti: «Non è sicuro. Non è più sicuro parlare all’aperto, in luoghi pubblici, in mezzo alla gente… Non è sicuro per Lisi, e nemmeno per tutti noi. Corriamo rischi, siamo in pericolo… Adesso è chiaro, e se non fossi stato un deficiente ottuso, se non mi fossi messo il prosciutto davanti agli occhi, lo avrei capito da tempo. Ma avevi ragione, Ingrid, e di nuovo ti chiedo scusa. Non ha senso partire, non ha senso andare da nessuna parte».
Arrivarono alla macchina di Brazo, e Marco fece cenno di entrare. Una volta dentro, chiuse i finestrini e riprese a parlare: «Adesso siamo al riparo, credo. Ci hanno sempre tenuto d’occhio, anticipano le nostre mosse… Perché ci sorvegliano».
Brazo sussurrò: «Capo, adesso mi fai paura. Se ci spieghi, per favore…».
«Il cielo. Lisi ha detto: apri la mente e guarda il cielo. È una vecchia cosa, una specie di scherzo di quando era più piccola e già studiava le religioni. Io le dicevo: “Alla fine, tutto è sotto il cielo. Guardano tutti al cielo: Iside, Mithra, Odino. Se vuoi trovare quello che hanno in comune, trova quello che guarda più in alto e vai un po’ più su”. È, diciamo, un metodo, un modo di appropriarsi degli strumenti per considerare le cose scientificamente.»
Ingrid scosse il capo: «Non ti seguo. Scusami ma non ti seguo. Che c’entra questo con Lisi, e perché dovrebbe far capire che si trova sotto sorveglianza?».
Marco fece un sorriso amaro e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Era profondamente commosso e la sua emozione si trasferì agli altri due.
«Ha detto sottoterra. Il cielo, ma sottoterra. I Luoghi sacri, quelli che indaga sempre, quelli di cui sostiene che i sacerdoti esistano ancora, sono tutti sottoterra. Nessuno di essi è rimasto all’aperto, nessuno ha il cielo sopra. È così brava, sapete. È così… intelligente.»
Brazo si portò una mano alla bocca: «Vuoi dire che…?».
«Voglio dire che se per trovare gli elementi comuni dei culti bisogna andare più su, per trovare quello che hanno in comune i riti e i luoghi di culto antichi, bisogna andare più giù. Bisogna trovare una mappa, una struttura tra essi, e andare sotto, più sotto ancora. Perché il cielo esiste, ma mi riferisco al cielo sottoterra. L’elemento comune è solo qui, in questa città: il che rende inutile partire, cercarla altrove.»
Ingrid spostò lo sguardo dall’uno all’altro, spaventata. «Così mi mettete paura, accidenti. Volete spiegarmi che cosa è successo? Dov’è Lisi, e come facciamo noi a cercarla? È sottoterra, qui in città? Come ci è arrivata, chi ce l’ha portata?»
Marco scosse il capo. «Questo non lo so. Non lo so. Ma so quello che lei, Lisi, vuole che facciamo. Dobbiamo aprire la mente, non farci fregare dai pregiudizi.»
Brazo annuì, aggiungendo sottovoce: «Aprire la mente, quindi forse, nel caso nostro, unire le due teorie scientifiche, superando gli attriti e le barriere. Perché Lisi ci ha sempre rimproverati di questo, di non voler vedere i collegamenti, no? Quindi dobbiamo legare quello che sostiene lei, che ci sia una stretta e attuale relazione tra i culti delle antiche religioni, con la teoria che studiamo di nascosto da quando…». Si fermò, imbarazzato.
Marco concluse per lui, con un sorriso amaro: «Da quando ho pubblicato il mio articolo, subendo l’ostracismo e il ridicolo della comunità scientifica. Sì, ormai è inutile nasconderlo a Ingrid. Abbiamo continuato, io e Brazo, a raccogliere elementi e dati. Il cielo sottoterra esiste, ed esiste solo qui. Dobbiamo avvicinarci al cielo, nel punto giusto».
Ingrid chiese: «Ma… quale sarebbe, questo punto giusto? E come facciamo a trovarlo?».
Marco disse a Brazo: «Metti in moto. Dobbiamo andare in camera di Lisi, è là che lo capiremo».
Poi dal sedile davanti si voltò indietro verso Ingrid mentre la macchina partiva con un sobbalzo: «Il cielo sottoterra è quello che c’è qui: il magma. Il vulcano che unisce i Campi Flegrei al Vesuvio, un unico mare di lava che aspetta il momento di esplodere. Quello stesso cielo che dà energia e forza, come il sole le dà alla terra. È uno specchio, capisci? Un mondo rovesciato. Troviamo i luoghi che Lisi ha individuato come ancora attivi, ne tiriamo fuori il centro. E ci andiamo. Solo che dobbiamo scendere più giù. Dobbiamo scendere ancora».
Ingrid, sentendosi stringere in gola, si chiese se non fossero tutti pazzi. Lei inclusa.