XIII

Il traffico s’ingolfò non lontano dalla loro meta, per cui scelsero di parcheggiare un po’ prima e di percorrere un tratto a piedi.

Si trovavano nel centro nobile della città, quello dei negozi d’alta moda e delle gioiellerie di grido. La prossimità del Natale e il tempo grigio mettevano in risalto luci e addobbi, e tutto trasudava ricchezza e benessere. Ingrid si guardava attorno un po’ sorpresa, pensando che non era quello il luogo in cui si aspettava di trovare i segni di un passato così antico.

Proprio di fianco a un’enorme libreria, all’esterno della quale alcuni giovani stavano impacchettando regali per raccogliere offerte, partiva una lunga via laterale. Lisi, che conduceva il gruppo, la imboccò decisa. Dopo qualche metro le venne incontro un ragazzo alto e magro, dall’aria concitata.

Lisi lo salutò: «Ciao, Giampi… che cosa ci fai qui a quest’ora?».

Il nominato Giampi la prese per un braccio e la accostò al muro, guardandosi attorno.

«Che ci faccio qui a quest’ora? Te lo spiego io, che ci faccio. Ti ho detto di ieri, no?»

Lisi annuì, sorpresa: «Certo che me l’hai detto».

Ingrid chiese: «Parla del cane?».

Il ragazzo sbatté le palpebre: «Le hai detto del cane?».

«Sì, ma sta’ tranquillo, sono fidàti. Lei è Ingrid, loro sono Marco e Brazo. Lui è Giampiero, detto Giampi. È mio amico, abita…»

Il ragazzo la interruppe, vivacemente, senza mollarle il braccio: «Non dire niente di me, cazzo! Nessuno deve sapere, ricordi il patto? Nessuno!».

Lisi sbuffò. «Giampi, non essere paranoico, per favore, mi spaventi. Ti ho detto che ti puoi fidare, loro sono persone mie, è come se parlassi solo con me. Davvero.»

«Non capisci! Qui le cose vanno evolvendo di minuto in minuto! Dove state andando?»

Brazo si accostò a Lisi con fare protettivo. Quel ragazzo gli metteva agitazione. «Senti, come ti chiami, adesso lasciala andare. E non mi pare che dobbiamo dire a te dove stiamo andando, né perché.»

Lisi lo allontanò, decisa: «Non preoccuparti, ci penso io. Che sta succedendo, Giampi? In che senso le cose evolvono di minuto in minuto? Circa il cane…».

Il giovane spalancò gli occhi, allucinato. «Il cane, sì. Il cane. Era dissanguato, capisci? Loro non hanno il toro, ma il cane era grosso e nero, quindi non ci sono dubbi. E adesso, adesso… Io non ci credo che sia naturale, non ci credo! Lo conoscevo, Pasquale, e ti posso assicurare che stava benissimo.»

Marco e Ingrid si guardarono, perplessi. Brazo chiese: «E chi è Pasquale? Il cane?».

Giampi agitò la mano verso l’assistente, parlando a voce bassa in faccia a Lisi: «Ecco, lo vedi? Il cane! Ci sfottono anche, come tutti! Ma è mai possibile che siano così ciechi da non capire, da non rendersi conto? Se sapranno chi siamo, verranno a prenderci, te lo dico io! Perché noi abbiamo ragione, abbiamo. E nessuno ci crede!».

Lisi annuì e rispose, conciliante: «Giampi, fa’ una cosa: vattene a casa, adesso. Sei stanco, e sconvolto. Hai le mani gelate, chissà quanto freddo ti sei preso. Vattene a casa, qui me la vedo io. Ti do il cambio».

Il ragazzo lanciò un’occhiata diffidente agli altri e disse: «E se loro sono… loro? Se queste persone sono d’accordo con chi ha sgozzato il cane e… fatto questa cosa a Pasquale? Io non credo che…».

Brazo replicò, duro: «Ma come si permette, questo? Chi dovremmo essere noi? Adesso basta con gli insulti, bello: Lisi è più al sicuro con noi che con te».

La ragazza lo tacitò con un gesto e ripeté al ragazzo: «Tranquillo, va’ pure. Oltretutto lo sai, meglio non restare a lungo nello stesso luogo. Potrebbero notarti».

Dopo un’esitazione Giampi annuì.

«Ma se hai bisogno di me mandami un messaggio e in due minuti sono qui. Lo sai, abito… Voglio dire, posso raggiungerti velocemente.»

Si allontanò costeggiando il muro, al riparo dalla vista di eventuali inquilini affacciati al balcone, che comunque non c’erano.

Marco commentò, acido: «Vedo che la situazione è ancora più grave di quello che pensavo… Adesso te la fai con gli psicopatici all’ultimo stadio. E questo sarebbe il tizio che ha trovato il cane? Nero e grosso, in mancanza di un toro? E come lo hanno travestito, povera bestia, con un paio di corna finte come a carnevale?».

Lisi non gli rispose nemmeno e si rivolse a Ingrid: «Io vado a vedere che è successo. Giampiero in genere è tra i più freddi e controllati, ed era sconvolto».

«Io non ti lascio andare da sola» disse Brazo, deciso.

Ingrid soggiunse: «Andiamo tutti, credo. No?».

Marco alzò le spalle, ma si avviò con loro.

La strada continuava per qualche decina di metri e, poco prima della fine, contro un muro di contenimento c’era uno slargo sulla sinistra, dal quale si accedeva a un parcheggio. L’ingresso era un’ampia apertura nel tufo, da cui si intravedeva un viottolo che si inabissava sottoterra. Nello slargo c’era una specie di guardiola, attorno alla quale un gruppo di persone sostava nei pressi di un’ambulanza.

I quattro si scambiarono un’occhiata. Lisi fece per andare, ma Marco la trattenne posandole una mano sul braccio.

«Meglio che vada io. Aspettatemi qui.»

Brazo lo seguì comunque. Ingrid chiese a Lisi: «Mi dici che sta succedendo? Potresti farmi capire qualcosa?».

La ragazza la fissò intensamente. «Posso fidarmi di te? Io non ti conosco. Qui non si tratta di fare un po’ di turismo esoterico. Te l’ho detto, sta succedendo qualcosa.»

«Sì, ma che cosa? Tanto puoi giurarci: io non sono una che molla e se ne va per rispettare la privacy e la riservatezza. Mio padre è tedesco, d’accordo, ma mia madre era italiana e meridionale, quindi rassegnati.»

Suo malgrado Lisi sorrise.

«Questo mio… gruppo di amici… Non siamo pazzi, sai. Né visionari né psicopatici come dice Marco. Quando si avvicina uno strano, e ce ne sono, lo sbattiamo fuori.»

«E chi siete, allora?»

«In giro per il mondo ci sono certi posti, sai. Luoghi in cui si sono alternate le religioni e le dominazioni, man mano che passavano le epoche, ma sono sempre rimasti luoghi di culto, i riti continuavano a celebrarsi là. Non sono molti, e non in tutti ci sono le stesse caratteristiche, perché spesso era solo il rispetto della tradizione che portava la gente a recarcisi. Ma in alcuni non avrebbe avuto senso; anche le religioni perseguitate, quelle che mettevano i fedeli e i sacerdoti a rischio della pelle, invece di cercarsi posti appartati restavano dove i fedeli potevano essere catturati e uccisi, e a volte succedeva. Conosci la ricerca di mio zio, quella per cui… quella, insomma.»

Ingrid annuì, rivolgendo uno sguardo a Marco e Brazo, che chiedevano informazioni a un paramedico.

«Certo che la conosco. Sono venuta proprio per quella ricerca, geniale e innovativa, anche se carente di supporti. Ancora ne parliamo, nell’ambiente.»

Lisi fece una smorfia. «Ha sofferto molto, sai. Davvero molto. Ed è comprensibile che abbia così paura anche solo a parlarne o a far vedere che continua a pensarci. Ricordi? Lui sosteneva che fino al Medioevo e dalla più remota antichità ci fosse un rapporto tra la natura geofisica dei siti e i luoghi permanenti di culto, quelli appunto che hanno ospitato diversi riti.»

Ingrid annuì di nuovo. «Lo so. Ho letto.»

«In realtà, e ne sono certa, aveva ragione. E sarebbe bastato poco per trovare le prove, con le attuali possibilità di connessione. Io, sai, per un periodo ho lavorato con lui. Poi ho continuato per conto mio.»

«Davvero? E come mai?»

Lisi distolse lo sguardo dal volto di Ingrid e abbassò la voce. «Lasciamo perdere, questa è un’altra questione. Diciamo che… ho perso qualcosa. Ho perso qualcuno. E non mi è andato più di lavorare, per un po’.»

«Capisco. Ma allora se stai proseguendo le sue ricerche, perché voi… Non mi pare che andiate d’accordo, insomma.»

Lisi riportò gli occhi su Marco e Brazo, che stavano tornando lentamente verso di loro. «C’è una differenza fondamentale. Non solo di metodo.»

«E quale?»

Lisi sussurrò, come parlando a se stessa: «Marco pensa a un collegamento tra i luoghi a livello essenzialmente locale, e fino alle ultime risultanze in letteratura storica, quindi al basso Medioevo».

Ingrid la fissava: «E tu?».

Lisi restituì lo sguardo, rispondendole con assoluta certezza: «Noi crediamo che la cosa sia più vasta, e che copra tutto il pianeta. E siamo certi che i culti siano celebrati ancora, di nascosto. Secondo i riti antichi. Compresi i sacrifici».

Ingrid si accorse che stava trattenendo il fiato: «Sacrifici? Intendi anche…».

Marco e Brazo sopraggiunsero. Il professore si succhiava i baffi, perplesso. L’assistente disse, incerto: «Il custode del parcheggio. L’hanno trovato stamattina. Quello notturno, intendo».

«“L’hanno trovato”? Che vuoi dire?» chiese Ingrid.

Marco rispose, senza guardare Lisi: «È morto. Arresto cardiaco. Morte naturale, ha detto l’infermiere».

Nessuno si accorse del fatto che qualcuno li osservava da una finestra buia, dal secondo piano del palazzo di fronte.