XVI

Riuscirono a trovare riparo dalla folla in un piccolo caffè alle spalle della piazza con l’obelisco al centro, in una saletta angusta con due tavolini. Ne occuparono uno, ordinarono dei caffè e subito Ingrid chiese agli altri: «Qualcuno mi può spiegare per favore che sta succedendo, una volta per tutte? Mi sembra una caccia al tesoro al buio».

Lisi continuava a digitare furiosamente sul display del cellulare, e sembrava fuori dal mondo. Marco si succhiava i baffi dubbioso, e Brazo faceva passare gli occhi spaventati dall’uno all’altra, come aspettandosi una qualche esplosione.

Alla fine fu proprio l’assistente che rispose: «Lisi pensa che… Quello che abbiamo visto sotto la friggitoria, insomma, è… era il tempio di Iside. Almeno uno dei luoghi in cui, fino al III secolo dopo Cristo, il culto era ancora presente in città. E il fatto che ieri notte, proprio in corrispondenza del solstizio, qualcuno sia entrato… Se davvero qualcuno è entrato…».

Lisi alzò velenosa lo sguardo dal telefono e disse, secca: «Se? Se? E allora diciamo che il catenaccio, stanco di vivere, si è suicidato. E come per magia un pennello rosso, di quelli che si vendono in ogni ferramenta, è volato, di notte e non visto, fino alla parete della nicchia dove si trovava presumibilmente la statua della dea, e…».

Marco cercò, senza convinzione, di interrompere la nipote: «Lisi, per favore, abbassa la voce…».

La ragazza non se ne dette per inteso: «… e proprio su uno dei pilastri in tufo, guarda caso, quello che simboleggia il ritorno alla vita tramite l’immissione di energia e calore…».

Brazo provò a difendersi dalla veemenza: «Lisi, lo sai che non sarò mai io a mettere in discussione quello che tu…».

«… perché l’altro, quello della materia e della terra, nessuno l’ha toccato. E il simbolo che il pennello animato ha disegnato qual è? Dài, rispondi, ortodosso e serio professorino dello squallore e dell’ovvio.»

Brazo abbassò lo sguardo, ferito.

Marco reagì per lui.

«Senti, adesso sei veramente ingiusta. Brazo, qui, è l’unico che ha sempre sostenuto te e le cose che fai, e tu per tutta risposta…»

Lisi scattò, serrando gli occhi a fessura e sporgendosi in avanti. «Stai zitto, per favore. Tu lo sai che significa quel simbolo. Lo sai bene. E fai finta di niente, solo per paura.»

Ingrid chiese: «Perché, che significa quel simbolo?».

Lisi non rispose e si alzò. «Qui internet non prende. Ho bisogno di alcune notizie, e ne ho bisogno subito. Ci sentiamo più tardi, vado a casa.»

Dopo che la ragazza fu uscita, calò il silenzio. Brazo sospirò profondamente e si alzò anche lui.

«Prof, oggi è l’ultimo giorno del ricevimento degli studenti prima di Natale. Passo in facoltà, almeno l’ufficio sarà aperto per qualche ora. Se succede qualcosa, o se hai bisogno di me, chiamami al volo. Tanto lei…» Indicò genericamente la porta dalla quale Lisi era appena uscita. «Vabbe’, ci vorrà qualche tempo perché si calmi. A dopo, Ingrid.»

E uscì anche lui.

Marco bevve lentamente il suo caffè ormai freddo, facendo una smorfia e mormorando una parolaccia. Ingrid continuava a osservarlo.

«Allora, che significa quel simbolo?»

Marco scosse il capo, poi chiese: «Mi spieghi che ci fai qui, tu? Perché sei venuta, in realtà? Questa storia del reportage, della richiesta nominativa… mi pare davvero assurda. Non è meglio essere sinceri?».

Ingrid continuò a fissarlo, poi disse, come declamando una poesia: «Se si decide di uscire dalla convenzionalità delle teorie classiche e di attenersi alla mera consequenzialità dei dati e degli eventi, non si può non concludere che esiste uno stretto contatto tra alcuni luoghi, adibiti a tempio, chiesa o santuario in ogni tempo da quando si trova memoria, e che il legame tra questi luoghi sia fisico, strettamente connesso alla loro natura».

Marco la fissò a lungo di rimando, sorpreso. «Sono impressionato. Davvero. E dove l’hai trovata questa roba? In qualche mercatino delle pulci?»

«Temevo addirittura che te ne fossi dimenticato. Roba tua. Di quanto, quindici anni fa?»

«Sedici. E no, non me ne sono dimenticato.»

«Io l’ho letta dieci anni fa, subito dopo la laurea. Non l’ho nemmeno trovata tradotta in tedesco, fortuna che capisco l’italiano. Mi ha aperto la mente, un approccio profondamente diverso a tutta la materia. Tu, proprio tu, hai spostato l’obiettivo dagli uomini ai luoghi. È rivoluzionario.»

Marco, suo malgrado, sentiva una punta di gratificazione. Quella donna era andata fin là per quello che lui aveva incautamente scritto in una vita precedente. Meraviglioso, ma strano. Troppo strano. «Questa roba, proprio questa, mi ha cambiato la vita. In peggio, ma me l’ha cambiata. E ha contribuito – non è l’unica ragione, sia chiaro – a rendere mia nipote, l’affetto più grande che ho, così com’è adesso.»

Ingrid spalancò gli occhi. «Perché, come sarebbe Lisi? Io la trovo straordinariamente intelligente e acuta, piena di passione e…»

Marco la interruppe, secco: «È pazza. Lei e i suoi amici coltivano una teoria che non avrà mai risvolti accademici, che non potrà mai essere pubblicata se non da qualche giornalaccio… Senza offesa, ma chiunque per una nipote brillante e, come dici tu stessa, molto intelligente, vorrebbe una vita un po’ diversa».

Ingrid non sembrò risentirsi.

«Mi sa che sottovaluti quello che posso fare per te e, a questo punto, anche per Lisi. I giornalacci, come li chiami tu, hanno una diffusione importante e gettano le premesse anche per le trasmissioni televisive. I canali tematici, come quello che stiamo per lanciare in Germania, possono convogliare su certe ricerche, diciamo così, un po’ borderline interesse e investimenti economici. Ben quattro scavi archeologici costosissimi hanno aperto negli ultimi cinque anni proprio grazie al giornalaccio di cui parli.»

«Senti, mi dispiace di aver…»

«No, no, capisco benissimo. Ma quando il direttore mi ha dato finalmente lo spazio per scegliermi e trovare qualcosa di interessante, io mi sono ricordata del tuo saggio e me lo sono andata a rileggere. E sai una cosa, professore? È perfetto. Ha il giusto mix di visionarietà, coerenza ideologica e conoscenza dei dati. È equilibrato ma innovativo. L’ideale, davvero l’ideale per costruirci attorno una bella serie di articoli.»

Marco si strinse nelle spalle: «Ma io non ci lavoro più, a quella roba. È acqua passata».

Ingrid gli sorrise, imprevedibilmente; e Marco rimase abbagliato.

«Non prendermi in giro, professore. Credi che non si capisca benissimo il motivo per cui resti inviso ai tuoi colleghi? E perché affidi al tuo assistente quasi tutta l’attività della cattedra? Quelli come te non mollano. Tu stai preparando la tua rivincita, io lo so. E Lisi, che è ancora più avanti di te, sta facendo qualcosa di altrettanto interessante. Ora – ed è la risposta alla domanda che mi hai fatto – io voglio esserci. Sento che qualcosa si sta allineando, che i pezzi del tuo puzzle e di quello di Lisi, che magari coincidono, si vanno mettendo a posto.»

Marco sbuffò. «E tutto questo ti è così chiaro dopo poche ore di permanenza? Beata te. Comunque io e Lisi siamo su posizioni molto diverse, sappilo. Non credo proprio che potranno mai coincidere.»

Ingrid si appoggiò comodamente allo schienale della sedia. «Dici, eh? Be’, staremo a vedere. Nel frattempo io ho avvertito il giornale che forse dovrò trattenermi un po’ di più, perché credo di aver trovato qualcosa di interessante.»

«Ah, sei libera di scegliere quello che vuoi, ma io non penso proprio di poter…»

«Sai, professore, credo ti convenga fare buon viso a cattivo gioco. Perché, e lo dice chiaramente il tuo silenzio accademico, più avanti di così con le tue sole forze non ci puoi andare. E io, proprio io, sono la tua grande occasione. Si può avere un altro di questi meravigliosi caffè?»