XXI

Una volta conclusa la conversazione e sparito il volto di Lisi dallo schermo, il ragazzo che si faceva chiamare Rudy tirò un profondo sospiro, stendendosi sullo schienale della poltrona e allungando le gambe. Pigramente si guardò attorno, dopo essersi strofinato gli occhi dietro le lenti.

L’ambiente in cui si trovava era piuttosto singolare. Si trattava di una stanza molto ampia, spoglia di tutto. Tre delle quattro pareti erano vuote, a parte una porta chiusa; sulla quarta, quella di fronte alla webcam del computer, era riprodotta la camera di un adolescente con un poster di Mr. Robot, alcune fotografie, una mensola sulla quale c’erano una fila di libri usati e una coppa di una gara di sci con appese un paio di medaglie, e una finestra stretta oltre la quale si intravedeva un paesaggio innevato. Quando si spense il computer, si spense anche la finestra, che ridiventò uno schermo nero.

Il ragazzo si alzò, diede un’ultima occhiata alle carte che aveva sul tavolo e che aveva mostrato a Lisi: riproduzioni di vecchi articoli di giornale e stampe prese da internet. Alcune erano vere, altre create ad arte.

Girò attorno al tavolo e si avviò verso la porta, che aprì digitando un codice su una tastiera nel muro. Percorse un lungo corridoio, illuminato da una luce soffusa della quale non si vedeva la fonte, immerso in una dolce melodia musicale. Alla fine del corridoio c’era un ascensore, che il ragazzo prenotò con un tasto. Quando le porte si aprirono c’erano due persone, un uomo e una donna di mezza età, che conversavano ridendo ma appena videro il ragazzo tacquero immediatamente, imbarazzati. Rudy gli sorrise e si voltò verso la porta dell’ascensore, senza selezionare il piano. La cabina si fermò e i due scesero con visibile sollievo. Solo allora il ragazzo premette l’ultimo pulsante in fondo, dopo aver bene impresso l’impronta del pollice destro sulla tastiera.

L’ascensore prese una velocità che non aveva tenuto nella prima parte del tragitto, decuplicandola e forse più; ciononostante il viaggio durò quasi tre minuti. Quando le porte si aprirono con un soffio, il giovane si ritrovò in una specie di anticamera che dava su un’unica porta al fianco della quale c’era un’altra tastiera. Digitò un lungo codice e di nuovo impresse il proprio pollice, stavolta il sinistro, sull’ultimo tasto. La porta scattò e Rudy entrò in un ufficio stretto, con una scrivania e quattro schermi in funzione. L’unico arredo, oltre alla poltrona sulla quale il ragazzo si lasciò cadere con un sospiro, era una libreria ingombra di volumi e documenti alle spalle della scrivania. Non c’erano finestre né altre aperture.

Alla poltrona con il lungo schienale dietro la scrivania era seduta una persona. Si trattava di una donna molto anziana, coi capelli bianchissimi raccolti in un’alta acconciatura e gli occhi azzurri, quasi trasparenti, incastonati in un reticolo di rughe. Stava sorridendo.

Disse, indicando uno schermo con un cenno del mento: «Ciao. Be’, niente da dire, sei stato bravo. Ci ho creduto pure io».

Il ragazzo sospirò di nuovo: «Dice, direttore? Non lo so. A me lei pare più in gamba di come vuole sembrare, e non sempre le linee della sua attività cerebrale rilevate dagli strumenti sono riconoscibili. È attenta, e… veloce. Ecco, direi veloce soprattutto».

La donna fece una smorfia, raggrinzendo ulteriormente il viso. «D’altra parte è quello che è, no? Le Mappe parlano chiaro, almeno per quanto possiamo vedere noialtri. Nessuno mai è stato come lei. È questo il punto.»

Rudy disse: «Già. È questo il punto. Comunque, è come camminare sulle uova. Va bene che la rete offre opportunità vastissime e lei, proiettata com’è a inseguire le prove della fondatezza della sua teoria, non si premura mai di verificare; ma un giorno o l’altro mi chiederà: “Dài, Rudy, dammi il sito su cui hai visto questa o quest’altra cosa…”».

La vecchia ridacchiò. «Ma lo sai che prima di metterti in gioco prepariamo noi stessi tutti i siti, con le notizie e le foto e il resto. Se ti chiedesse gli indirizzi, tu glieli daresti, e lei troverebbe perfettamente i riscontri che cerca.»

«Sì, direttore, certo che lo so. Ma lei è… intuitiva senza essere emotiva. È strano, ti attira in certe conversazioni apparentemente innocue e poi… Insomma, non è facile, ecco.»

Il direttore puntualizzò: «Nessuno ha mai detto che sia facile. Quello che abbiamo detto è che è necessario. Questo sì, l’abbiamo detto. Comunque non dovrebbe essere una cosa lunga, a quanto pare».

Il ragazzo si fece attento, sporgendosi in avanti. «Che? Allora le cose stanno per… Sta per succedere, finalmente? Ci siamo?»

La donna scosse il capo: «No, no, non ancora. Ma adesso la faccenda prenderà una piega diversa. Più veloce. Noi, qui al Centro, forse dovremo intervenire. Direttamente».

Rudy si sollevò dalla poltrona, il volto pallido atteggiato a un’estrema meraviglia. «Noi da qui? E come? Ci dovremo… Dovremo andare fin là? E chi ci andrà? Ma… siamo pronti a farlo, possiamo?»

Il direttore allungò una mano tremante sul ripiano della scrivania. Le dita adunche ghermirono un foglio. «Il barbone. La storia del barbone morto fornirà, a quanto pare, un’accelerazione. Sai che quando l’ambiente matematico si riduce tanto, i calcoli diventano meno attendibili, ma sembrerebbe proprio di sì.»

Rudy si lasciò cadere di nuovo sulla poltrona.

«Certo, conosco il calcolo, l’ho visto. Lei dovrebbe andare a fondo, no? C’è una decisa impennata dell’asse.»

«Il fattore decisivo nel sistema di equazioni a questo punto della curva è la giornalista, questa Schultz. Sia direttamente sia per l’impatto che ha sulla linea di condotta del professore.»

Il ragazzo sorrise, affascinato: «È evidente; perché gli cambia il segno, producendo l’effetto di renderlo un potente incremento di partecipazione. Geniale. Geniale».

Il direttore sorrise a sua volta: «Il che però non ci deve far abbassare la guardia, ed è per questo che i nostri hanno calcolato una sottolinea di eventi che potrà portare, e secondo me porterà, a un intervento diretto. Certo, bisognerà tararlo con la massima attenzione. Tu sai che si contano sulle dita di una mano…».

Il ragazzo rispose pronto: «Sette. Sette volte in tutto. E il calcolo coi nuovi strumenti ha mostrato che almeno due potrebbero essere stati superflui, lo so bene. Ma lei stessa sa, direttore, che qualcuno sostiene…».

«Non è assolutamente rilevante quello che qualcuno sostiene. Quello che rileva sono solo due elementi: ciò che emerge dai calcoli e quello che dispone Lui.»

L’ultima parola causò un sensibile abbassamento della temperatura della conversazione. Il ragazzo distolse lo sguardo dal volto della vecchia, come avesse ricevuto uno schiaffo, e arrossì fissandosi le scarpe. La donna stessa, come se si fosse lasciata prendere troppo la mano, cincischiò con alcuni documenti che aveva davanti.

Dopo una lunga pausa, Rudy mormorò: «E quindi Lui sa di tutto questo. Mi permetto perché… insomma, ne ha parlato lei stessa, no? E siccome conosco i calcoli, e c’è un’area che farebbe propendere per l’assenza di intervento, o per la limitazione dello stesso a… a me, in pratica vuol dire che Lui ha…».

La vecchia disse, con un tono dolcissimo: «Rudy, tu per noi sei speciale, lo sai. Sei nato qui, al Centro, e le tue facoltà sono state allineate con sapienza e grande cura. La funzione di interagire con la ragazza, in rapporto soprattutto a questa crisi, che come sai è cruciale per il futuro delle Mappe, non doveva necessariamente toccare a te. È stato un rischio enorme, la cui portata sfugge allo stesso calcolo. Secondo te, se Lui in persona non fosse intervenuto decidendo in questo senso, te lo avremmo lasciato fare?».

Il ragazzo arrossì ancora, stavolta per orgoglio, e sorridendo rispose: «È chiaro, direttore. È chiaro, e sono grato per questo. Ma mi chiedevo… So che Lui non ha schermi se non quello grande, e difficilmente segue questa parte della curva. Qualcuno, lei per esempio, lo informa? Glielo dice quello che facciamo? E se sì, Lui che ne pensa?».

Il volto della donna si accartocciò attorno allo sguardo azzurro, facendola sembrare il cartone animato della dolce nonna di Cappuccetto Rosso. «Certo che lo sa. Sa tutto. Ed è molto, molto orgoglioso di te.»

Il ragazzo sorrise di rimando e tirò un profondo respiro.