XLVII
«Per capire dove ti trovi, e soprattutto per capire bene chi incontrerai tra poco e quello che probabilmente ti dirà, devi per forza sapere alcune cose.
«Io, lo vedi, sono vecchia. Molto vecchia. Anche più vecchia di quanto tu possa immaginare, e penso che tu mi ritenga abbastanza anziana. Eppure sono giovane, molto giovane su altre scale.
«Questo concetto delle altre scale, tesoro, è fondamentale. Perché una delle ragioni per cui noi da un certo punto di vista andiamo avanti e da un altro non riusciamo a leggere gli eventi messi insieme, è proprio in questa specie di miopia: vediamo solo quello che abbiamo sotto il naso. Alla tua età vent’anni sono un tempo enorme, alla mia solo un altro po’ di vita; invece non sono niente.
Ora, ti chiedo uno sforzo. Immagina un uomo. Un uomo intelligente, dalla mentalità molto aperta per la sua epoca. Un viaggiatore, uno scienziato. Che seguiva la propria voglia di conoscenza, rincorrendo con immensa curiosità cose nuove. La chiave è questa, sai: non cercare solo conferme alle proprie teorie, portandosi dietro pregiudizi e schemi fissi, ma innovazioni. Con strumenti sempre più raffinati, ma con la stessa ingenua curiosità di un bambino.
«Quest’uomo era molto ricco. Una ricchezza antica, familiare, che non aveva paura di impiegare in nuovi progetti. Studiava la natura, studiava le stelle. Ma non aveva timore di guardare in faccia lo spirito, e tutte le sfaccettature che poteva avere, le profondità che poteva raggiungere.
«Un giorno, all’orecchio di quest’uomo arrivò una diceria che sembrava una leggenda, ma che gli accese la fantasia. Non era granché, anzi era quasi niente: ma c’era qualcosa, una… divergenza, un’incoerenza che rendeva la leggenda irresistibile. Allora si mise in viaggio. Un lungo, lunghissimo viaggio che durò parecchi mesi. L’ultimo tratto di questo viaggio, sulle tracce di una favola, fu una scalata. Una scalata che nessuno aveva mai compiuto. L’uomo si preparò a lungo, quando fu ai piedi della grande montagna. Il tempo che passò a prepararsi lo dedicò in parte a capire dalla gente del luogo qualcosa in più della leggenda che stava rincorrendo. Dovette apprendere la lingua, e non fu semplice, perché quella lingua era antica, molto antica. Fu ospitato in un monastero, imparò a pensare in quella lingua, che era l’unico modo per comprendere la vera portata della favola.
«Questo mi porta a dirti una cosa importante, che magari adesso ti sembrerà stupida ma che forse prima o poi ricorderai, e che riguarda proprio la materia alla quale ti sei dedicata per tutti questi anni: nelle religioni, in ogni singola religione o culto, c’è un frammento di verità. È il nucleo, il centro attorno al quale è stato elaborato tutto il resto. È stato… predisposto così. Tu hai avuto una bella intuizione, e un’altra bella intuizione l’ha avuta tuo zio, ma il quadro generale è decisamente più complesso. Diventerà chiaro, un giorno, ma adesso non può esserlo. Non ancora.
«Insomma, l’uomo dedicò tempo ed energie allo studio della leggenda che inseguiva. I fatti avrebbero dimostrato che aveva ragione, ma allora sembrò pazzo a chiunque, familiari e amici compresi. Le difficoltà di trasmissione della corrispondenza a un certo punto fecero credere che fosse addirittura morto, o che si fosse convertito a quella strana religione della montagna: ma le sue lettere ripresero ad arrivare, e tutti si tranquillizzarono, o si rassegnarono, se avevano delle mire sul suo sconfinato patrimonio. Alla fine si ritirò per trenta giorni in meditazione, e cancellò le parti della leggenda che erano frutto della fantasia popolare. Quello che restò valeva la pena, decise. E organizzò la spedizione.
«Furono poche le guide che accettarono di mettersi in marcia con lui; la metà di quelle che sarebbero state necessarie. Certe favole fanno molta paura. La scalata fu dura, la stagione non era la più propizia; alcune guide scapparono e tornarono al villaggio, altre morirono. Non esistevano mappe o carte geografiche, non esistevano GPS o rilevazioni aeree. C’era la salita, e c’erano le nuvole che circondavano e nascondevano il cammino.
«Arrivarono a un crepaccio, e le pochissime guide rimaste si rifiutarono di proseguire. Pregarono l’uomo di tornare indietro con loro, di rinunciare a quell’assurda ricerca; fu lui a rifiutarsi. Lo abbracciarono piangendo, gli voltarono le spalle sicuri che sarebbe morto, che le sue ossa sarebbero state inghiottite dalla neve e dal ghiaccio perenne, e che anche lui, l’uomo, sarebbe diventato una favola. Ma non fu così.
«Non fu così.
«Dai tuoi occhi capisco che sei impaziente, mia cara. Che ti stai chiedendo se queste parole siano solo le farneticazioni di una vecchia pazza, e a che serva questo racconto in relazione alle verità che cerchi. Be’, sappi che nemmeno una parola, una sola è di troppo. Anzi, ce ne sono molte che non è utile farti ascoltare, e che invece ti farebbero capire di più. Magari ci sarà chi te le dirà tra poco, o magari no. Non lo so e non ho elementi per prevederlo. Ti dico solo quello che mi è consentito, e ti garantisco, che tu mi creda o no, che è tutto vero. Tutto, fino all’ultima virgola.
«L’uomo rimase solo, davanti al crepaccio, con le nuvole sopra e le nuvole sotto. Senza le guide non avrebbe potuto scendere, e non aveva gli strumenti per salire ancora. Non aveva paura, altrimenti non sarebbe arrivato fin là, ma nemmeno sapeva cosa gli sarebbe successo.
«Si rannicchiò nella pelle di un animale morto chissà quanto tempo prima, della quale si era vestito sperando di tornare indietro. Il rumore del vento incessante, il freddo senza limiti lo cullarono in un sonno che poteva assomigliare a un passaggio tra un mondo e un altro. Ricordò le parole dei monaci coi quali aveva vissuto, e si convinse che aveva fatto bene ad andare là. Che quella scalata dava senso a tutta la sua vita, più del benessere e delle ricchezze e delle donne che aveva avuto.
«Si preparò a morire. Senza rimpianti e senza gioia, con l’anima leggera. Si può morire cercando una favola. Si può morire cercando la verità.
«Fu allora che dalle nuvole sopra di lui arrivò qualcuno.
«Qualcuno che è il motivo per il quale questo posto esiste, per il quale tu sei stata portata qui.
«Qualcuno per il quale, forse, l’umanità per come la conosciamo io e te ha ancora una speranza.
«Forse.»