XXV

Uno degli ultimi soli di dicembre è ormai calato, lasciando una luce discreta sulla città e sul golfo. La bambina sulla sedia a rotelle guarda il mare, e sembra stia contando le onde lievi ancora illuminate che vengono verso terra mentre le case si accendono, una lampada alla volta, un lampione dopo l’altro. L’ultima bava di sole si riflette sulla montatura degli occhiali.

La bambina mormora. Il suono della sua voce è sempre bassissimo, come se non parlasse attraverso i polmoni ma solo con l’aria che ospita in bocca. Eppure la donna, in ginocchio alle sue spalle sul tappeto ai piedi del letto intatto, mai più vicina di un metro, la sente perfettamente come se urlasse.

«La sera. La sera e l’alba. La lunghezza di queste fasi, la sospensione, l’incertezza. È tutto qua. Tutto dentro questa sospensione. Quando si mischiano, quando cambiano le percentuali di partecipazione. Quello che è stato difficile da capire, all’inizio, quando c’era quell’acqua e c’era la terra. Prima che capissimo che ci doveva essere anche il fuoco.»

La donna rimane in silenzio, il capo chino, le mani allungate sulle cosce, senza tradire alcun pensiero o sentimento. Passa il tempo e, quando la bambina parla di nuovo, è notte.

«Dimmi di ieri.»

La donna alza piano il capo. Gli occhi fissano la parete, adesso. Non si posano sulla bambina né sulle luci che punteggiano il buio dietro il vetro della finestra.

«Si sono riuniti. Non succedeva da tanto, Madre. Da tanto, naturalmente sulla scala degli avvenimenti, non della Mappa. Però si sono riuniti.»

Passa altro tempo. Sotto la coperta che va dal collo ai piedi della bambina si muove qualcosa, come una lieve onda. La donna incassa impercettibilmente la testa nelle spalle.

«Lo sanno, quindi. È evidente.»

La donna protesta debole: «Può essere un caso, Madre. Può essere solo una… conseguenza».

Una lieve increspatura sul labbro superiore della bambina, nel buio della stanza ferito solo dalle luci della città attraverso il vetro.

«Davvero, figlia mia? Una conseguenza? E dimmi, una conseguenza di che?» Il sussurro sembra pieno di divertita ironia, come se la bambina sia sul punto di scoppiare a ridere.

La donna si muove a disagio. «Voglio dire, Madre, che c’è stato il vagabondo morto. E il custode del parcheggio. Tutte cose che sono contro la linea delle Mappe, e che non rientrano nelle modalità di… Insomma, c’era un motivo, no? È qualcosa di grave, due morti ammazzati che…»

La bambina resta impassibile, e le parole della donna si spengono in un mormorio indistinto. Sul fianco della coperta appare secca una protuberanza che rientra immediatamente. La donna trattiene il respiro.

Il sussurro risponde, ancora sarcastico: «Due morti ammazzati, dici. L’altra volta per interrompere la linea sbagliata della Mappa ce ne sono stati quasi settanta milioni. E non devo certo farti il conto dell’altro continente, quello verso l’alba, no? E tu mi vieni a raccontare di due morti ammazzati».

La donna ribatte, fiacca: «Madre, non è la stessa cosa. Ci sono i Luoghi, adesso. Direttamente coinvolti, e non era mai stato così. E il tempo è cambiato, adesso loro… È difficile fare in modo che i Luoghi siano sempre intatti, raggiungibili solo da chi… Lo sai, Madre, sono sempre animali, no? Solo animali».

La bambina muove lievemente il capo, con grazia. Come se non comprendesse bene le parole che ha ascoltato.

«Sono…? Ah, sì, animali, hai detto. Ma gli animali mica ammazzano per divertimento, no? Mica ammazzano solo perché un custode di parcheggio fa il suo lavoro, o perché un vagabondo si ritira in un posto al coperto per dormire. Ricordo male, o gli animali ammazzano per mangiare?»

«Ma io mi riferivo a… Loro proteggono un territorio, Madre. Sono i Guardiani. Almeno si sentono questo, e…»

La bambina muove qualcosa sotto la coperta, nel punto dove dovrebbe essere la caviglia sinistra. La punta della scarpetta, che sbuca dall’orlo inferiore, rimane però immobile.

«Sono animali, dici. Un po’, sì, è vero. E un altro po’ sono qualcos’altro, no? È come l’alba, come il tramonto. Si mescolano la notte e il giorno, in parti sempre diverse, e alla fine c’è l’uno o c’è l’altra. Ma il punto, figlia mia, è che nell’alba e nel tramonto il giorno e la notte non sono mai se stessi. Sono sempre qualcosa d’altro.»

«Madre, io non volevo…»

«E anche tu, figlia mia, hai un po’ di notte dentro. E certe volte viene fuori, la notte. Tutto qui.»

La donna si piega, come se fosse stata picchiata sul capo: «Perdonami, Madre. Perdonami».

Il labbro superiore della bambina s’increspa di nuovo. «Dimmi di loro, adesso. Che stanno facendo?»

«Li sorvegliano. Non riusciamo a sapere cosa si siano detti là sotto, Madre, ma il ricalcolo della Mappa principale mostra la sorveglianza. Solo questo, per ora.»

La bambina tace. Sulle lenti degli occhiali scuri le luci della città si accendono e si spengono, intermittenti e incerte.

«Lui lo sa. Lo sento. Lo sa. E cercherà di evitare, per quanto possibile. Proverà a non sporcarsi le mani, perché ha orrore della soluzione e ci proverà in tutti i modi a portarli altrove, a deviarne l’attenzione. Ma siccome lo sa, non riuscirà a trattenere fino in fondo la sua natura.»

La donna sussurra: «Madre, la Mappa mostra chiaramente che…».

La testa della bambina si muove con uno scatto laterale, restando dritta e non cambiando posizione. La cosa è talmente improvvisa che la donna rimane senza fiato, e la frase si interrompe in una specie di gemito.

«Lui della Mappa ha un lieve barlume. Come se io ti lasciassi guardare questa città da qui e ti chiedessi di darmi conto di quello che succederà domani, in ogni singola abitazione, dopo un solo sguardo. Non può operare sulle linee.» Il tono del sussurro è sereno e un po’ stanco, come se dovesse dare una spiegazione a un’allieva tarda.

La donna dice: «Certo, Madre mia. Certo. E questo ci rassicura, no?».

Un sordo brontolio inizia e cessa, lasciando il dubbio che ci sia mai stato. La donna si porta le mani alla testa, ma subito le abbassa di nuovo sulle gambe.

«No, figlia. Non ci rassicura. Perché quando non vedi chiaramente, quando non hai il modo di capire bene, allora hai paura. E se hai paura, reagisci cancellando. Non conto gli esempi che ti potrei dare, su questo. Lui cercherà di dominare la notte, perché ha più giorno dentro di quanto immagini, ma alla fine non potrà fare altro che lasciar tagliare la linea.»

La donna, senza accorgersene, comincia a piangere. Lacrime calde le scorrono sulle guance, ma il tono della voce rimane sommesso.

«Ma possiamo proteggerli, no, Madre mia? Possiamo fare qualcosa, in fondo sappiamo chi li sorveglia, conosciamo le facce, soprattutto conosciamo i Luoghi perché è là che andranno, no, Madre mia? Se mi lasci provare, io posso…»

Di nuovo il brontolio, per una frazione di secondo in più.

Poi di nuovo il mormorio, che assomiglia alle onde che nove piani più sotto accarezzano le pietre.

«No, figlia. No. Se lui sa, se conosce, è molto peggio. E non possiamo consentire che tu ti lasci vedere. Aspettiamo, certo: ma comincia a studiare la Mappa per cercare di capire quale è l’alternativa più breve. Magari siamo fortunate, e si tratterà di un paio di migliaia di cicli del pianeta attorno alla stella; magari siamo meno fortunate, e il cammino dovrà essere più lungo. In quel caso bisognerà studiare perché non finisca tutto prima. Comincia, figlia mia. Continuiamo a guardare la ragazza, ma tu comincia.»

La donna si rannicchia sul tappeto. La bambina inizia a salmodiare una melodia monotona attraverso le labbra strette.

Oltre le lastre, la città con luci e rumori affronta la sera come fosse tutto il futuro che ha.