XXXVI
L’università era pressoché deserta, e d’altra parte era la vigilia di Natale. Presi dagli eventi delle ultime ore, la scomparsa di Lisi e l’incidente dell’auto nera, Ingrid, Marco e Brazo non avevano tenuto presente la data.
Quando si ritrovarono nell’androne, si guardarono attorno un po’ sconcertati, poi l’assistente mormorò: «Caspita. Per aver interrotto le vacanze di Natale, Fusco deve avere davvero qualcosa di importantissimo da dire».
Marco non aveva intenzione di lasciarsi distrarre. Più passavano le ore, maggiore era la sua preoccupazione per la nipote; e la tensione era stata acuita dalle misteriose parole pronunciate dalla donna che per poco non li aveva uccisi.
«Me ne frego di Fusco. Andiamo in fretta a sentire che vuole, poi ho bisogno di cercare il passo di un testo che dovremmo avere già in visione. Ho letto una cosa, di recente… Insomma, andiamo da questo deficiente e poi torniamo subito al lavoro.»
Brazo annuì, deciso. «Certo. Io proporrei che mentre noi sbrighiamo questa rogna, Ingrid vada in ufficio, nel caso Lisi si metta in contatto.»
Erano tutti d’accordo. La tedesca si avviò, e loro due si recarono nello studio di Fusco.
Il direttore camminava frenetico avanti e indietro, con una rivista in mano. Era vestito in maniera assurda, lui in genere così formale, e questo acuiva evidentemente il suo disagio dando nel contempo la chiara immagine dell’agitazione di cui era in preda. Portava un maglione rosso, con al centro ricamata una renna dalle ampie corna.
Brazo e Marco si guardarono sconcertati.
«Ah, eccovi, finalmente. Stavolta, Di Giacomo, hai chiuso per sempre. Questo è il colmo dei colmi, questo è davvero il punto d’arrivo. Io l’avevo detto che bisognava cacciarti allora, quando è venuta fuori la faccenda di questa ricerca inutile e controproducente che ti ostini a portare avanti, ma come un idiota mi sono fatto convincere che forse ti saresti in qualche maniera ricreduto, che avresti ripreso a fare il tuo lavoro senza insistere su quelle assurde teorie… Ma niente, chi nasce tondo non muore quadrato, se sei un pazzo, pazzo rimani.»
Marco aveva ascoltato a bocca aperta la tirata di Fusco. Quel nanerottolo vestito in maniera surreale che strillava stridulo saltellando e agitando la rivista gli pareva sempre di più una inutile perdita di tempo.
Fu Brazo a interrompere l’uomo, a bassa voce: «Direttore, possiamo chiederle che cosa è successo?».
Come vedendolo per la prima volta, Fusco si voltò dalla sua parte: «E anche tu, Moscati. Tu, che appartieni alla famiglia alla quale appartieni, che mi parevi un ragazzo solido, coi piedi per terra, destinato a una carriera decente ti fai influenzare da questo maniaco e ti rovini anche tu. Bravo, Moscati. Bravo».
Marco si riscosse: «Senti, Fusco, io ho cose importanti da sbrigare. Se tu pensi di potermi far perdere tempo con queste fesserie, io…».
Il direttore esplose letteralmente: «Fesserie? Fesserie? Ancora non ti rendi conto, allora! Tu sei rovinato, Di Giacomo! Sei ro-vi-na-to, capisci? Sei finito, sei sospeso a tempo indeterminato, io ti faccio fuori, appena rientra al lavoro qualcuno al ministero ti faccio revocare tutto: incarico, cattedra, titoli, tutto!».
Brazo insistette: «Direttore, se almeno ci dicesse cosa…».
L’ometto sbatté con violenza il giornale che aveva in mano sul ripiano della scrivania. «Ecco, che succede! Guardate voi stessi, giacché evidentemente vi fottono sotto i vostri occhi e nemmeno ve ne accorgete!»
Marco allungò la mano e prese il giornale, mentre Brazo si accostava per guardare. Era il “Kultur Zeitung”, il giornale tedesco sul quale scriveva Ingrid. In copertina c’era il montaggio di una sfinge in mezzo a un vicolo della città, ai piedi della quale si vedevano alcune streghe impegnate in una specie di danza. Il titolo diceva, in tedesco: Il crocevia dei misteri.
Con le dita tremanti, Marco sfogliò il giornale fino alla pagina centrale. Neanche la scarsa conoscenza della lingua gli impedì di cogliere il tono pesantemente ironico. Si metteva in ridicolo l’attività di questo strano don Chisciotte che inseguiva strampalate teorie misteriche, sospeso tra riti antichi ed esorcismi, in una città votata alla superstizione. C’era perfino una sua vecchissima fotografia, con un sorriso ebete che confermava l’impressione di idiozia che veniva dal testo.
Il professore scorse alla ricerca della firma. Con un dolore simile a un attacco violento di gastrite lesse: “Ingrid Schultz”.
Brazo, al suo fianco, disse: «Cazzarola…».
Fusco batté le mani, e la renna sul torace increspò il sorriso.
«Esatto: cazzarola. Proprio così, non avrei saputo dire meglio. Mi è arrivato a casa, mentre me ne stavo coi miei nipotini ad aspettare il Natale in santa pace, come credevo di meritare. E non vi dico come e quanto abbiano cominciato a chiamarmi tutti gli avvoltoi del mondo accademico del pianeta, all’improvviso desiderosi di farmi gli auguri. “Ciao, Fusco, come stai? Ma davvero nel tuo dipartimento si celebrano riti antichi? Ma davvero hai istituito un manipolo di cacciatori di fantasmi? Ma davvero faranno un film comico sui tuoi professori?”»
Man mano che riportava le frasi, diventava sempre più intonato al colore del maglione. Brazo pensò che stesse per avere un infarto.
«Direttore, ci dev’essere un equivoco, noi ci siamo messi a disposizione della signorina Schultz come lei stesso ci aveva ordinato e…»
«Io vi avevo ordinato di stare attenti, di dare una buona impressione, non di informare questa spia stronza delle vostre assurdità!»
Marco era impallidito mortalmente. Continuava ad annuire, come se tutto quadrasse nella sua mente. «Va bene. Va bene, so io cosa fare. Adesso ci parlo e…»
Fusco strillò: «Tu non devi fare niente! Devi solo prendere le tue carte e andartene a casa, e non mettere mai più piede qui dentro. Sei sospeso con effetto immediato, e se Moscati resta al suo posto, è solo perché provvisoriamente non posso lasciare la cattedra scoperta! Appena gli altri rientrano dalle feste, verrà sostituito anche lui. Avete messo la vergogna in faccia all’intero dipartimento, e vi posso assicurare che saranno tutti ben contenti di prendervi a calci nel culo! E ora, fuori di qui!».
Marco si girò, rigido, e uscì a passo svelto dalla stanza.
Brazo lo seguì, molto preoccupato. Ma prima si voltò a salutare Fusco: «Buon Natale, direttore. Bel maglione, complimenti».