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Quando Qhuinn rinvenne, per un minuto, pensò di
essere ripiombato all’inizio dell’incubo, con quella fantasia di
Blay seduto di fronte a lui in una stanza d’ospedale.
«Oh,
grazie al cielo.»
«Cosa?»
biascicò Qhuinn.
Blay
balzò su dalla sedia e si fiondò da lui, malgrado avesse un braccio
al collo e zoppicasse come se gli avessero mollato sul piede una
cassetta degli attrezzi.
Qhuinn
stava per chiedergli se stava bene, quando sentì sulla bocca quelle
bellissime labbra e nelle narici il ben noto odore di maschio
innamorato… oh, cazzo, altro che fantasia,
questo era un casino meglio…
«Ahia!»
gridò, lasciando ricadere il braccio sul letto, mentre un dolore
profondo come un oceano e incandescente gli infiammava tutto il
fianco destro.
Blay si
scostò e sorrise. «Vedila così: finalmente ti hanno messo a posto
la spalla. Quando ti hanno ricucito la ferita da taglio hanno
pensato bene di sistemare anche la tua borsite.»
Appena
ci riuscì, Qhuinn ricambiò il sorriso. «Due al prezzo di
uno.»
«Esatto, offerta speciale: paghi uno prendi
due.»
Subito
dopo, però, Qhuinn, tornò serio. «Abbiamo perso
qualcuno?»
«No,
nessuno dei nostri, ma ce ne vorrà prima che ci rimettiamo in
sesto. È stato un bagno di sangue.»
«E
loro? I Bastardi?»
Blay
distolse lo sguardo. «Xcor è messo maluccio. E se hai da dire
qualcosa ti conviene tenertelo per te: è stato lui a tirare fuori
di là Tohr e Wrath. E Layla è fuori in corridoio a nutrire i
feriti, per tua informazione… e anche in questo caso non voglio
sentire neanche una parola. È un’emergenza.»
Qhuinn
chiuse gli occhi.
«Meno
male che ce l’hai fatta» sussurrò Blay. «Altrimenti sarei morto
anch’io.»
«Mi
dispiace» disse d’impulso Qhuinn, aprendo le palpebre di
scatto.
«Per
cosa?»
«Non lo
so.» Annuì in direzione di un’apparecchiatura accanto al letto. «Mi
sta pompando dentro morfina?»
«Sì.»
«Allora
mi sa che sto vaneggiando.»
«Fa
niente. Vaneggia pure quanto ti pare.»
Blay si
sedette con cautela sulla sponda del letto e quando Qhuinn si sentì
prendere la mano ricambiò la stretta con forza.
Rimasero così per tantissimo tempo, a guardarsi in
silenzio. E, sì, avevano gli occhi lucidi e un groppo in gola… ma i
cuori erano traboccanti di gioia… di commozione…
d’amore.
«Non
voglio mai più stare senza di te» disse Qhuinn. «Non c’è niente di
più importante.»
«Non
potrei essere più d’accordo» disse Blay, con un sorriso
assolutamente adorabile.
Si
chinò di nuovo e si diedero un bacio. Due.
«Mmmm.
Sai cosa non vedo l’ora di fare?» mormorò Qhuinn.
«Fare
pipì senza catetere?»
«Fare
la pace con un po’ di sesso selvaggio.» Qhuinn socchiuse le
palpebre. «Avrei voglia di stare subito dentro di te, a dire il
vero.»
Il
rossore che imporporò il viso di Blay era un afrodisiaco a dir poco
criminale… visto che lui era attaccato a un erogatore di
oppiacei.
«Allora
riposati bene» mormorò sensuale Blay. «E assumi tutti i fluidi che
puoi. Ne avrai bisogno.»
* * *
Vishous
aprì le palpebre e per un attimo si chiese dov’era. Il soffitto
bianco sopra di lui non gli disse granché e…
Il viso
di Jane, proprio sopra il suo, fu una tale sorpresa che V si
ritrasse contro i cuscini.
«Ciao»
disse lei con voce incerta. «Sei tornato.»
«Perché, dov’ero andato…» accidenti che mal di gola.
L’avevano intubato? «Cos’è successo?»
Ma
mentre lo chiedeva gli tornò in mente la scena al magazzino… lui
che cadeva, batteva la testa e poi restava lì, lungo disteso,
paralizzato, mentre le pistole continuavano a sparare. In base alla
distribuzione del dolore su tutto il corpo giunse a un paio di
conclusioni: primo, in realtà non era paralizzato; secondo, era
stato colpito in un paio di punti, vittima evidentemente del fuoco
incrociato, e terzo…
«Ti
abbiamo quasi perso» disse Jane, gli occhi verde bosco lucidi.
«Sono in questa stanza da due ore a pregare di vederti
rinvenire.»
«Due
ore?»
Lei
annuì. «Appena ho finito di operare sono venuta qui…» d’un tratto
si accigliò. «Cosa c’è? Ti fa male? Ti serve più
morfina?»
«Perché…»
Solo
quando Jane gli asciugò gli occhi lui si accorse che stava
piangendo – e appena se ne rese conto soffocò le emozioni
riducendole all’obbedienza. No. Niente pianti. Nella maniera più
assoluta.
«Vado a
chiamare Ehlena.»
Jane
corse alla porta e si sporse fuori in corridoio in un batter
d’occhio – più veloce del suo battito cardiaco – il che, visto
com’era conciato, non significava granché. Appena la sentì chiedere
altri farmaci per lui e poi rispondere alle domande su altri
pazienti, tutti i suoi dolori svanirono.
Salvo
quello allo sterno.
Era
quello che, sì, non avrebbe risposto a nessuna
medicina.
Jane si
sporse ancora di più fuori dalla porta annuendo a qualcuno, e poi
uscì del tutto. Mentre la porta si chiudeva a poco a poco, lo
guardò da sopra la spalla, gli occhi colmi di
preoccupazione.
«Torno
subito.»
No,
pensò lui, non credo proprio.
Cinque
minuti dopo Ehlena entrò trafelata con una fialetta e un ago
cannula per la flebo… come volevasi dimostrare.
«Ciao»
disse con un sorriso cordiale. «Jane sta controllando alcune
medicazioni. Non voleva farti aspettare.»
«Non fa
niente, e quella roba non mi serve.»
«Jane
ha detto che hai un dolore episodico intenso.»
Lui si
tirò su a sedere con un grugnito e buttò le gambe giù dal letto.
Quando cominciò a staccare la flebo, Ehlena trasalì.
«Cosa
fai?»
«Mi sto
dimettendo. Ma non preoccuparti, non è una dimissione contro il
parere dei sanitari o roba simile perché ormai sono parecchio
esperto in materia. Adesso gradirei un po’ di privacy, se non ti
dispiace. A meno che tu voglia stare a guardarmi mentre mi sfilo il
Foley.»
«Vado a
chiamare Jane, cosa dici?»
«Là
fuori ci sono tanti di quei pazienti che non riuscite a stargli
dietro» ribatté lui mentre Ehlena si avviava alla porta, «quindi
immagino che questo letto possa farvi comodo. E poi i miei
parametri vitali sono stabili, sto già guarendo, per cui qualche
Eletta deve avermi nutrito. Penso proprio che dovresti utilizzare
meglio il tuo tempo invece di sprecarlo cercando di convincermi a
restare… o disturbando Jane, che deve seguire pazienti più
importanti.»
Neanche
a farlo apposta, Manny infilò dentro la testa. «Ehi! Ma guardalo, è
già in piedi. Senti, Ehlena, mi servi, subito.»
V le
scoccò un’occhiata della serie “te-l’avevo-detto”. Dopodiché, da
come lei sparì imprecando, dedusse che si era arresa alla sua
logica inattaccabile.
Sfilare
il catetere fu tutt’altro che piacevole. Il suo uccello negli
ultimi tempi era stato parecchio trascurato, e non apprezzò per
niente quello sgarbo quando finalmente lui ricominciò a
toccarlo.
V
scivolò giù dal letto e uscì, tenendo ben chiuso sulla schiena il
camice da ospedale.
I
Bastardi erano tutti quanti in corridoio e tutti quanti feriti. Non
vide nessuno dei suoi fratelli, ma fiutò nell’aria l’odore del loro
sangue, dal che dedusse che erano saliti su al palazzo a
riprendersi.
Quelli
che non erano ancora stesi in un letto d’ospedale, per lo
meno.
Di Jane
neanche l’ombra.
Avviandosi, salutò i Bastardi con un cenno del capo,
stringendo le mani che gli venivano offerte o battendo le nocche;
la battaglia che avevano condiviso li aveva uniti più di quanto
qualunque giuramento formale o roba in ginocchio avrebbe mai potuto
fare.
È così
che si fa l’acciaio, rifletté con una certa sorpresa: si prende il
ferro e lo si sottopone a un calore spaventoso per eliminare tutte
le impurità, e ciò che resta è un concentrato di forza allo stato
puro.
Come
quando due gruppi di guerrieri, eliminati i conflitti inutili, si
alleano contro il nemico comune, in una unione in grado di produrre
molti più risultati di quanti ne avrebbero mai potuti conseguire
separatamente.
A un
certo punto gli parve di sentire alle sue spalle la voce di Jane.
Era così, infatti. Stava parlando con Manny, scambiando
informazioni col collega.
Per un
attimo pensò che, accorgendosi che se ne stava andando, gli sarebbe
corsa dietro. Ma così non fu.
Nessuna
sorpresa, pensò, una volta di più, zoppicando fino all’ufficio e
imboccando il tunnel da solo.