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Il neonato era deforme, i suoi lineamenti erano una versione orrenda, alterata di quelli di Hharm, il labbro superiore era malformato, come quello di una lepre.
Hharm lo lasciò andare e quello, ancora legato alla madre dal cordone ombelicale, atterrò senza un vagito sul fondo sudicio della grotta; braccia e gambe si muovevano appena, la pelle era grigia e bluastra. Sarebbe morto, com’è giusto che sia per chi è nato contravvenendo alle regole della riproduzione e della natura – e non c’era motivo di indignarsi.
Lo era invece il fatto che lui fosse stato ingannato, pensò Hharm: aveva sprecato gli ultimi diciotto mesi, tutte quelle ore, quel momento di speranza e felicità per una mostruosità intollerabile. E non era colpa sua, questa era l’unica cosa che sapeva per certo.
«Che cosa hai fatto?» chiese perentorio alla femmina.
«Un figlio maschio!» rispose lei inarcando la schiena, quasi fosse nuovamente in preda a dolori atroci. «Ho partorito…»
«Un obbrobrio.» Hharm si erse in tutta la sua statura. «Il tuo ventre è immondo. Ha corrotto il dono del mio seme e ha prodotto quel…»
«Tuo figlio…»
«Guardalo tu stessa! Guardalo coi tuoi occhi! È un abominio!»
La femmina alzò faticosamente la testa. «È perfetto, è…»
Hharm spinse con lo stivale l’infante che, con un flebile vagito, contrasse le minuscole membra. «Nemmeno tu puoi negare l’evidenza.»
La femmina posò sul piccolo gli occhi iniettati di sangue, poi li sgranò. «È…»
«È colpa tua» sentenziò lui.
Lei non protestò; capitolazione inevitabile, poiché il difetto era innegabile. Poi gemette come se fosse ancora in travaglio, artigliando il terreno gelido con le dita insanguinate, spalancando ancora di più le gambe tremanti. Dopo altri contorcimenti espulse qualcosa e lui pensò che forse si trattava di un altro neonato. Con uno slancio di ottimismo pregò che il primo fosse il dhoble, il gemello maledetto.
Purtroppo no, sembravano frattaglie, lo stomaco, forse, o l’intestino.
Intanto il piccolo continuava a piangere, col petto che pompava su e giù a fatica.
«Morirai qui e così pure lui» disse spietato Hharm.
«No…»
«Ti stanno uscendo le viscere.»
«Il piccolo è…» farfugliò lei. «Il piccolo…»
«È un abominio della natura contrario al volere della Vergine Scriba.»
La femmina ammutolì e si accasciò inerte, come se il processo di espulsione fosse terminato. Hharm attese che la sua anima lasciasse il corpo con un parossismo finale. Ma lei continuò a respirare, a guardarlo negli occhi… e a vivere. Che scherzo era mai questo? Era un affronto che non finisse nel Dhunhd.
«Questa è opera tua» sibilò stizzito.
«Come fai a sapere che non è stato il tuo seme a…»
Hharm posò lo stivale sulla sua gola e premette, mozzandole il fiato. Una rabbia cieca lo spingeva a un gesto fatale; solo il sospetto che quel parto potesse essere un castigo per i suoi precedenti misfatti lo trattenne dallo spezzarle il collo.
Lei però doveva pagare, pensò d’un tratto. Sì, era colpa sua, e doveva espiare la colpa per la delusione che gli aveva procurato.
Scoprì le zanne, soffiando come un felino. «Ti lascerò vivere in modo che tu possa crescere questo mostro e che tutti ti vedano con lui. Questa sarà la tua maledizione per avermi ingannato – ce l’avrai sempre al collo, come un amuleto di dannazione, e se scopro che è morto ti darò la caccia e ti infliggerò una morte lenta. Poi ucciderò tua sorella, tutta la sua progenie e i vostri genitori.»
«Cosa dici!»
Hharm si chinò su di lei, paonazzo di rabbia, come gli accadeva sovente. «Mi hai sentito. Ora conosci il mio volere. Prova a disobbedirmi e te ne pentirai.»
Lei si ritrasse, spaventata; lui indietreggiò e guardò lo scempio del parto, il sangue e le viscere, quella femmina patetica, quell’orrido neonato… e con un brusco gesto della mano li spazzò via per sempre dalla sua vita. Mentre la tormenta ululava e il fuoco si spegneva a poco a poco, andò a prendere il pesante mantello di pelliccia.
«Tu hai rovinato mio figlio» disse, gettandoselo sulle spalle. «La tua punizione sarà crescere quell’orrore a riprova del tuo fallimento.»
«Tu non sei il Re» ribatté debolmente lei. «Non puoi dare ordini.»
«Rendo un servizio agli altri maschi.» Così dicendo, puntò l’indice verso il neonato piangente. «Con quello in braccio nessun altro ti monterà, col rischio di soffrire com’è toccato a me.»
«Non puoi costringermi a farlo!»
«Oh, sì che posso, e lo farò.»
Era una femmina viziata e ribelle per natura, cosa che inizialmente lo aveva attratto: aveva dovuto insegnarle dove sbagliava e per qualche tempo lo aveva trovato piuttosto intrigante. In una sola occasione lei aveva tentato di dominarlo. Una volta sola e mai più.
«Non mettermi alla prova, femmina. L’hai già fatto una volta e sai com’è finita.»
Vedendola impallidire, annuì. «Esatto. Vedo che lo rammenti.»
L’aveva quasi ammazzata la notte che aveva dovuto mostrarle che, mentre lui poteva andare a letto con chi gli pareva, quando e dove gli pareva, lei non poteva assolutamente mai giacere con un altro. Poco dopo lei aveva deciso che l’unica possibilità di imbrigliarlo era dargli il figlio che lui desiderava, e nel contempo lui aveva cominciato a pensare alla sua discendenza.
Disgraziatamente, lei aveva fallito.
«Ti odio» gemette lei.
Hharm sorrise. «Il sentimento è reciproco. Ripeto, farai meglio ad assicurarti che quell’aborto viva. Se scopro che l’hai ucciso, lo vendicherò uccidendo te e tutta la tua stirpe.»
Ciò detto, sputò due volte per terra ai piedi della femmina, una volta per lei e una per il neonato. Poi se ne andò, tra le invocazioni della femmina e i pianti dell’infante abbandonato lì al freddo.
Fuori la tormenta infuriava ancora; i fiocchi di neve turbinavano, accecandolo, per poi diradarsi, simili agli uccelli di uno stormo che si apre a tratti, rivelando il paesaggio. Nella vallata sottostante le montagne si ergevano dalle sponde di un bacino lacustre; i cumuli di neve sull’acqua ghiacciata facevano pensare alle onde che l’agitavano nei mesi più caldi. Tutto era immerso nell’oscurità, gelido e senza vita, ma lui si rifiutò di leggervi un presagio di sventura.
Con la mano che in battaglia brandiva il pugnale impaziente di colpire e il malanimo che ribolliva dentro di lui come un fiume in piena, raccomandò a se stesso di non badare a quel parto sciagurato.
Avrebbe trovato un altro grembo.
Da qualche parte c’era una femmina in grado di dargli la prole che meritava e che gli serviva. E lui l’avrebbe trovata e ingravidata col suo seme.
Avrebbe avuto un figlio perfetto. Ogni altro esito era inaccettabile.
iTalia