33
Xcor era nella doccia nella casa sicura della
confraternita, la faccia rivolta verso il getto d’acqua, il corpo
rinvigorito ogni minuto di più. Al calar della sera aveva lasciato
Layla addormentata nel letto che avevano condiviso ed era salito in
cucina, dove aveva localizzato ogni sorta di calorie che poi aveva
consumato con appetito. Poco importava che le combinazioni fossero
tutt’altro che invitanti: stracciatella alla menta con succo
d’arancia, chili – direttamente dal barattolo, senza neanche
scaldarlo – una pagnotta integrale con un panetto di burro, tutti i
salumi e il formaggio a fette e tutte e due le pizze nel
freezer.
Che
aveva dovuto cuocere in forno perché surgelate non riusciva a
morderle.
Avrebbe
dovuto reintegrare le provviste, ma non sapeva come. Non aveva mai
gestito il denaro del suo gruppo e dunque non aveva accesso ad
alcun conto bancario o altra risorsa finanziaria. E non era più un
ladro.
Era
stato sempre Throe ad amministrare i loro fondi: tra tutti loro,
lui era la faccia migliore da esibire quando bisognava entrare in
contatto col mondo umano…
Avvertì
la presenza di Layla nell’attimo stesso in cui lei comparve sulla
soglia del bagno, e quando si spostò per guardarla quasi cadde in
ginocchio. Era meravigliosamente nuda, i seni alti sormontati dai
capezzoli rosa, i magnifici fianchi, le lunghe gambe e il sesso
perfetto offerti al suo sguardo.
Il suo
membro si irrigidì all’istante.
Ma lui
glielo nascose. Anche se avevano fatto l’amore per tutto il giorno,
lo piegò contro il ventre, tenendocelo con entrambe le
mani.
Lei
avanzò in silenzio sul pavimento di marmo, aprì lo sportello di
vetro e lo raggiunse nella doccia.
Abbassò
un attimo gli occhi sulle sue mani, premute contro l’inguine.
«Perché non ti spogli anche tu?»
In
effetti era rimasto vestito tutta la notte, abbassando i calzoni
per penetrarla e tirandoli su subito dopo, quando la stringeva a
sé.
«Xcor?»
sussurrò lei, avvolta dal vapore, la pelle lucida di goccioline.
«Perché non vuoi che ti veda?»
Lui
scosse la testa, preferendo non parlare. Era troppo difficile
esprimere a parole quanto era dura sentire il suo sguardo su di sé.
Lei non era mai parsa infastidita dal suo difetto, sembrava non
farci neanche caso e non glielo aveva mai fatto pesare…
ciononostante, i vestiti erano una maschera che preferiva portare
in sua presenza. Era stato diverso quando aveva voluto
allontanarla, disgustandola, quando aveva cercato di sfidarla con
la propria bruttezza nella speranza che lei gli voltasse le spalle,
ponendo fine alla tortura per entrambi. Ma ora…
Era
stato rifiutato tutta la vita. Nulla di tutto ciò avrebbe avuto la
minima importanza, tuttavia, se lei lo avesse
lasciato…
Layla
si mise in ginocchio con la grazia di un raggio di luna che scende
dai cieli. Il suo primo impulso fu di aiutarla a tirarsi di nuovo
su, perché non gli andava di vederla sul duro pavimento di marmo.
Ma quando fece per chinarsi, lei lo fermò.
Si
protese verso le sue mani.
Tirò
fuori la lingua…
… e,
lentamente, gli leccò il medio della mano destra.
La sua
lingua era liscia, liscia come l’acqua, e morbida, morbida come
velluto. E lui si accasciò contro la parete della
doccia.
Layla
fece scorrere lo sguardo sul suo corpo ripetendo il gesto… poi
risucchiò in bocca il dito. Vi passò intorno la lingua, ora più
calda, proprio come il suo sesso…
«Layla»
implorò lui.
Uno
dopo l’altro, gli succhiò tutte le dita, costringendolo ad
allentare la presa sull’erezione, indebolendolo al punto da fargli
abbassare le mani, non perché volesse scoprirsi, ma perché non
aveva più forza nelle braccia.
Libero
da costrizioni, il pene si protese fieramente in avanti, bagnato,
lucido. Misericordia, voleva che lei facesse quello che stava per
fare, smaniava di sentire le sue labbra sul glande, su tutto il
membro, voleva che lo succhiasse e…
«Cazzo»
gemette, quando lei lo prese in bocca.
Non
tutto, però. Si concentrò sulla punta, titillandolo, ritraendosi
per poi riprenderlo in bocca un pochino… e proprio quando lui già
temeva di impazzire tirò fuori la lingua e la fece scorrere intorno
al glande, lentamente, molto lentamente. E per tutto il tempo tenne
gli occhi verdi fissi su di lui; l’acqua che le cadeva addosso
gocciolava giù dai capezzoli, scivolando sullo stomaco e sparendo
tra le cosce aperte.
Lui
dovette aggrapparsi per non cadere; le mani scivolarono, stridendo
sul vetro, ma trovarono un appiglio sulla parete di
marmo.
«Oddio,
Layla…» gemette, chiudendo gli occhi. «Così è troppo…»
Ma lei
non si fermò. Alla fine lo prese tutto in bocca, anche se di sicuro
le arrivava fin giù in gola.
Lui non
poté fare a meno di guardare. E appena vide le sue labbra
spalancate intorno al grosso membro cominciò a venire.
«Sto…
oh, cazzo…»
Provò a
spingerla indietro, caso mai lei ignorasse cosa stava per accadere,
ma lei non volle saperne. Senza smettere di succhiare accolse il
suo orgasmo in bocca, infilandogli le mani tra le gambe per
stringere i testicoli.
Lui
finì col culo per terra. Letteralmente.
I
muscoli delle cosce cedettero di schianto e per un pelo non le
crollò addosso, schiacciandola. Eppure lei continuò a farlo godere,
cambiando posizione, regalandogli un altro orgasmo subito dopo il
primo; lui spalancò le gambe per farle posto, le mani sui suoi
capelli, la testa e il collo incastrati nell’angolo della
doccia.
Alla
fine lei si tirò su leccandosi le labbra. Lui non riuscì a fare
altro che contemplarla col fiato sospeso, la testa ciondoloni, le
braccia abbandonate lungo i fianchi, inerti, la doccia che lo
bagnava con la sua pioggia calda, come una roccia nella
foresta.
«Voglio
fare lo stesso anche a te» disse con voce gutturale.
Lei si
accovacciò sui talloni e gli sorrise. «Davvero?»
Lui
fece di sì con la testa. Come uno scemo.
«Hai
l’aria un po’ stanca, guerriero» mormorò lei. «Non ce la fai
più?»
Stava
per negare quando lei si tirò indietro, appoggiando le spalle
nell’angolo come lui. Socchiuse le palpebre, tirò su le ginocchia…
e poi le spalancò, offrendogli una vista stupefacente.
«Cosa
vorresti farmi?» chiese, languida. «Ti piacerebbe baciarmi
qui?»
Così
dicendo fece scivolare elegantemente la mano giù per il collo. E
quando lui annuì come un idiota, sorrise. «Qui…?»
Ora le
dita erano scivolate sulla spalla, e lui annuì di
nuovo.
«E…
qui?»
Si
sfiorò uno dei capezzoli e lui serrò i molari, talmente forte che
la mascella fece crac.
«E qui,
guerriero? Ti piacerebbe baciarmi qui?»
Si
stuzzicò il capezzolo, stringendolo fino a farsi male e poi
sfregandolo come per alleviare il dolore. Poi l’altra mano scivolò
sopra l’addome.
«E…
qui?» sussurrò, accarezzandosi… fino alla sommità della
vulva.
«Sì»
mormorò di slancio lui con un grugnito. «Proprio lì.»
«Cosa
faresti con la bocca?» chiese Layla, facendo scorrere un dito lungo
l’esterno del sesso. «Oppure… no, tu useresti la lingua, vero,
guerriero? La lingua…»
Continuò a toccarsi, ansimando, gli occhi puntati nei
suoi, finché, sopraffatta dalle sensazioni, piegò la testa di
lato.
«Passeresti la lingua qui…»
Senza
neanche rendersene conto Xcor si lanciò su di lei. E senza troppi
complimenti tolse di mezzo la sua mano e posò la bocca sul suo
sesso, prendendo ciò che bramava, ciò che lei aveva usato per
stuzzicarlo.
Ora fu
lei ad allargare le braccia cercando di tenersi più o meno diritta.
Ma lui non volle saperne. La tirò giù, lunga distesa sul pavimento,
l’agguantò per l’interno delle cosce e gliele spalancò, affondando
la lingua dentro di lei. Layla venne violentemente contro la sua
faccia, infilandogli le dita tra i capelli umidi, tirandoli fino a
fargli male. Non che gli importasse. Gli importava solo di
penetrarla, di sentirle dire il suo nome, di marchiarla con le
labbra e con la lingua.
Ma
ancora non gli bastava.
Travolta da un altro orgasmo, lei inarcò la schiena di
scatto spingendo in alto i seni, con l’acqua che le faceva
luccicare la pelle nella penombra. Ma neanche questo gli
bastò.
Le
montò sopra e si spinse fino in fondo dentro di lei, affondandole
le dita nelle anche per tenerla ferma mentre cominciava a pompare
vigorosamente. I seni ballavano di qua e di là, i denti di sotto
battevano contro quelli di sopra e le braccia sbattevano, inerti.
Ma i suoi occhi erano di brace, mentre l’animale in lui soggiogava
l’animale in lei.
All’ultimo momento si sfilò, sollevandosi sopra di lei,
bloccando con le spalle il getto della doccia. Afferrò l’erezione
e, ancora più brutale con se stesso di quanto era stato con lei, si
masturbò fino a venire.
Per
poterla inondare col proprio seme.
È così
che i vampiri marchiano l’amata, in modo che tutti gli altri maschi
siano avvisati. Chiunque l’avesse avvicinata, l’avrebbe fatto a suo
rischio e pericolo.
Quella
femmina apparteneva a lui.
Non
come un oggetto di sua proprietà, ma come qualcosa di gran lunga
troppo prezioso perché altri potessero usarla come un
giocattolo.
Xcor
stava ancora finendo con lei quando l’acqua della doccia cominciò a
raffreddarsi – non che le importasse. Aveva il suo guerriero tra le
gambe e lui stava facendo ciò che ogni vampiro maschio fa quando
rivendica il possesso su una femmina; un istinto antichissimo,
sviluppatosi con la specie per garantirne la sopravvivenza. Era una
pratica brutale e bellissima, primordiale eppure graditissima nel
mondo moderno.
Per lo
meno nel suo mondo moderno.
Quando
alla fine Xcor le crollò addosso, lei strinse le braccia intorno
alle sue spalle scivolose e chiuse gli occhi con un
sorriso.
«Sono
troppo pesante» farfugliò lui contro il suo collo.
Prima
che potesse fermarlo, dicendogli che non le importava se anche il
coccige le faceva male e prevedeva di avere un paio di lividi, lui
la prese in braccio e si alzò in piedi stringendola con
delicatezza, quasi fosse di vetro.
Uscito
dalla doccia l’avvolse in un morbido asciugamano di spugna bianco.
Poi ne prese un secondo e le tamponò il viso, prima di spostarsi
alle sue spalle; le passò il telo di spugna sui lunghi capelli,
dall’alto verso il basso, strizzando con delicatezza, torcendo bene
le punte fino a liberarli quasi del tutto dall’acqua.
Per
tutto il tempo lei lo guardò nello specchio, memorizzando i
dettagli della sua espressione, il suo corpo, i capelli ancora
bagnati e la sua forza trattenuta. Il suo viso le era
particolarmente caro: i tratti marcati si erano ammorbiditi e aveva
la sensazione che lui non avrebbe gradito mostrarsi nella sua
vulnerabilità.
«Sarai
al sicuro, stanotte?» chiese a bassa voce Xcor. «Quando andrai in
quella casa? E poi al Santuario?»
«Sì. Te
lo garantisco. Nessuno mi farà del male.»
«E
nessun altro può entrare liberamente lassù, dico bene? Nessuno può
aggredirti.»
«No, a
parte le Elette, tutti devono ottenere l’autorizzazione
all’accesso. Non so bene come funzioni, ma è sempre stato così.
Solo io, le mie sorelle e il Primale possiamo andare e
venire a nostro piacimento.»
«Bene.
Molto bene.»
«Tu
dove pensi di andare?»
Attese
una risposta col cuore che batteva più forte perché non le piaceva
saperlo in giro per Caldwell da solo – e anche perché temeva lo
scorrere del tempo: prima Xcor trovava i suoi compagni, prima
l’avrebbe lasciata.
Lui non
rispose e il silenzio tra loro divenne palpabile.
«Io mi
fermerò lassù anche durante il giorno» disse lei, anche se glielo
aveva già detto. «Ma appena farà buio tornerò in questa
casa.»
«E io
sarò qui ad accoglierti.»
Quando
lei sospirò sollevata, Xcor mise da parte l’asciugamano e prese una
spazzola. Partendo dalle punte continuò a prendersi cura dei suoi
capelli, districando con attenzione i nodi.
«Mi
mancherai» sussurrò lei alla sua testa china.
Era
incongruo che un soldato temprato dalla guerra come lui la
accudisse in quel modo; la spazzola sembrava minuscola nelle sue
mani, le spalle apparivano enormi, dietro di lei, il volto duro era
addolcito da un’espressione incredibilmente tenera.
«È solo
un giorno e una notte» disse lui, passando a spazzolare la radice
dei capelli, apparentemente stregato dal modo in cui le setole nere
scivolavano tra le ciocche dorate. «Prima di accorgercene saremo di
nuovo insieme.»
Layla
annuì solo perché sentiva che il suo equilibrio emotivo era di
vitale importanza per lui, e nel suo interesse voleva fingere di
stare bene. Non era la separazione di ventiquattr’ore a
tormentarla, tuttavia, bensì quella che sarebbe durata per il resto
della loro vita.
Chiuse
gli occhi cercando di non pensarci. Il suo cuore aveva appena
trovato un po’ di sollievo, non c’era motivo di affrettare il
ritorno della tristezza.
«Ti
amo» disse.
Xcor
smise di spazzolarla e, nello specchio, spostò gli occhi di scatto
verso i suoi. «Cosa?»
Lei si
girò e lo guardò. Beata Vergine Scriba, non si sarebbe mai stancata
del suo viso, del suo odore, del suo corpo.
Alzandosi in punta di piedi gli mise le braccia al collo,
e quando premette i seni contro il suo petto sentì accendersi tra
le gambe un fuoco ormai familiare.
«Ti
amo» ripeté.
Lui
chiuse le palpebre e parve barcollare.
Ma poi
le staccò le mani dal collo e le abbassò le braccia. «Shh…» la
baciò una volta, e poi un’altra. «Devo andare, e anche
tu.»