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Al volante del suo nuovo Hummer, Qhuinn aveva
l’impressione di metterci un’eternità a tornare nel punto in cui la
Volvo si era suicidata buttandosi giù dall’autostrada. Ma poteva
già dire grazie di essere riuscito ad arrivare fin lì, rifletté,
quando il segnale di progressiva chilometrica che aspettava da una
vita finalmente si decise a farsi vedere. D’altronde il suo secondo
SUV era una potenza: gli pneumatici
tassellati rinforzati da mostruose catene da neve, il generoso
interasse e la chilometrica altezza da terra erano proprio quello
che ci voleva in una serata come quella.
Quando
dovevi portare in salvo l’amore della tua vita e i suoi genitori
nel bel mezzo di una bufera di neve.
Ma se
il fuoristrada era fenomenale, la visibilità era schifosa. Appena
aveva acquistato velocità sulla Northway aveva dovuto spegnere i
fari anteriori in favore delle luci di posizione: col suo occhio di
falco bastava e avanzava anche così, e in più annullava l’effetto
bianchetto creato da quei cazzo di Xenon sparati su quella valanga
di fiocchi di neve.
Appena
superato il segnale sterzò verso la spalletta. Strizzando gli
occhi, anche se non servì a migliorare la sua acuità visiva, cercò
di localizzare sulla carreggiata opposta il punto esatto in cui
Blay e i suoi erano usciti di strada.
’Fanculo, si disse a un certo punto, non riuscendo a
vedere neanche a un metro di distanza.
Sterzò
tutto a sinistra, superò la linea di mezzeria, tagliò la strada al
traffico – inesistente, almeno al momento – in arrivo dalla parte
opposta e risalì la Northway contromano. Accese il faro laterale e
orientò il potente fascio di luce verso il bordo
dell’autostrada.
Trovò
la Volvo all’incirca trecentocinquanta metri più avanti. Alla vista
della station wagon piombata giù dall’autostrada, un paio di metri
sotto il guardrail sfondato, gli venne da vomitare. Ma invece di
abbandonarsi alla nausea, frenò, mise in folle e aprì la
portiera.
La
Volvo aveva perso aderenza ai piedi di un dosso finendo col muso
nella neve, così da bloccare la portiera del conducente. Blay e la
sua famiglia però si erano spostati sull’altro lato e adesso lui e
suo padre erano scesi e stavano aiutando Lyric a uscire dal sedile
posteriore. Durante quelle manovre la mahmen di Blay non riusciva
a trattenere smorfie di dolore, ma non si lamentava. Stava
addirittura cercando di sorridere.
«Ciao,
Qhuinn» gridò nella tormenta, vedendolo scendere verso di
loro.
Non
andò più in là di così con i convenevoli. Quello spostamento
evidentemente la stava facendo soffrire da maledetto e lui avrebbe
tanto voluto poterla aiutare.
Nel
frattempo era arrivato anche Tohr; se ne stava in disparte, con in
mano la coperta che aveva portato e un thermos. Qhuinn era rimasto
esterrefatto nel vederlo comparire e… Dio che bello era sapere che
era lì a tenere tutto sotto controllo mentre lui andava a prendere
l’Hummer.
«La
tiro su io» dichiarò il padre di Blay, da bravo hellren.
Per
rispetto nei suoi confronti tutti si fecero da parte mentre
prendeva in braccio la sua shellan. Blay seguì subito
suo padre, spingendo i suoi su per il declivio fino all’Hummer,
mentre Tohr si guardava in giro in cerca di eventuali nemici e
Qhuinn correva avanti, girava il SUV e apriva lo sportello
posteriore.
Dio, ti
prego, non far passare nessun umano. Specialmente a bordo di
un’auto della polizia municipale o statale.
Anche
in questo caso ci volle un’eternità prima di riuscire a caricare
Lyric al sicuro sul sedile di dietro. Alla fine Qhuinn tirò un gran
sospiro di sollievo.
Ma
dovevano ancora arrivare al palazzo tutti interi.
Mentre
Blay saliva davanti, accanto a lui, e suo padre faceva il giro
dall’altra parte per stare vicino a Lyric, Tohr si
avvicinò.
Qhuinn
abbassò il finestrino. «Grazie… grazie infinite.»
Il
Fratello gli passò la coperta e il thermos. «È pieno di cioccolata
calda. Pare che Fritz ce l’abbia sempre pronta in serate come
questa.»
«Torni
giù in centro?»
Tohr
guardò la bufera che infuriava. «No, ci andremo insieme, gli
accordi erano questi.»
Qhuinn
tese la mano. «Ben detto, fratello.»
Si
strinsero la mano, dopodiché Tohr si fece da parte. «Vi seguo fino
a casa.»
«Non ce
n’è bisogno. Però mi fa piacere se lo fai.»
Tohr
annuì reciso, poi batté il pugno sul cofano. «Guida con
prudenza.»
Qhuinn
tirò su il finestrino e premette con cautela sull’acceleratore.
L’Hummer era concepito per affrontare ogni tipo di terreno,
Vagonate di Neve del Cazzo comprese, ma non voleva correre rischi
col suo prezioso carico – senza contare che, appena il
SUV partì
sobbalzando, la mamma di Blay soffocò un gemito di
dolore.
Da
dietro giungevano mormorii intimi e affettuosi; i genitori di Blay
parlavano piano, offrendo e accettando supporto
morale.
Tutto
il contrario di quello che succedeva sui sedili davanti, in
sostanza.
Qhuinn
lanciò un’occhiata a Blay. Guardava fisso fuori dal parabrezza,
impassibile.
«Allora, adesso vi porto dritti al centro di
addestramento» disse Qhuinn.
Era una
precisazione idiota, naturalmente. Mica poteva calarli giù dalla
cappa del camino in stile Babbo Natale, no?
«Fantastico.» Blay si schiarì la gola e tirò giù la
cerniera del parka. «La confraternita era fuori sul campo,
stasera?»
«Cosa?»
«Wrath
ha spedito fuori tutti anche con questa bufera?» Di fronte alla
persistente confusione di Qhuinn, Blay disse: «Tu e Tohr non
stavate dicendo che eravate sul campo?».
«Ah,
sì. No. Siamo tutti in libera uscita.»
«Allora
cosa ci facevate voi due giù in centro?»
«Oh,
niente.»
Blay si
girò di nuovo verso il parabrezza. «Questioni private della
confraternita, eh. Be’, puzzi di polvere da sparo, si sente anche
da qui.»
Quando
l’Hummer arrivò al centro di addestramento, fermandosi davanti alla
porta rinforzata all’ingresso del parcheggio, Blay fu il primo a
scendere dal SUV.
Il
tragitto fino al quartier generale della confraternita era stato
caratterizzato da una imbarazzata conversazione a singhiozzo tra
lui e Qhuinn, al punto che era dura decidere se fosse meglio il
silenzio carico di tensione o tutti quei raschiamenti di gola. E
nel frattempo, di dietro, i suoi genitori ascoltavano tutto, anche
se facevano finta di chiacchierare tra loro.
Cosa
c’è di meglio che mettere a nudo il punto più basso del proprio
rapporto di coppia davanti a mamma e papà?
È
divertente quasi quanto una caviglia rotta.
Proprio
mentre stava aprendo la portiera di sua madre, il dottor Manello
uscì con una lettiga; l’umano sorrideva cordiale, ma aveva l’occhio
vigile che tutti i medici e i chirurghi mettono in campo appena si
trovavano davanti un paziente.
«Come
andiamo, gente?» disse quando Lyric riuscì faticosamente a scendere
dal sedile posteriore dell’Hummer. «Sono contento di vedere che ce
l’avete fatta ad arrivare tutti interi.»
La mahmen
di Blay inclinò la testa e gli sorrise,
appoggiandosi al suo hellren. «Oh, ho fatto una
stupidaggine.»
«Non ha
messo il tutore ortopedico.»
«No,
infatti» confermò lei, roteando gli occhi. «Stavo cercando di
preparare il Primo Pasto. Ed ecco il risultato.»
Il
dottor Manello strinse la mano al papà di Blay e poi posò il palmo
sulla spalla di Lyric. «Be’, non si preoccupi, mi prenderò cura di
lei nel migliore dei modi.»
Per
qualche motivo quella semplice affermazione, insieme alla assoluta
sicurezza che il medico ostentava come un’aura concessa da Dio in
persona, spinse Blay a distogliere lo sguardo battendo
freneticamente le palpebre.
«Stai
bene?» gli chiese piano Qhuinn.
Lui si
ricompose e ignorò la domanda mentre sua madre veniva adagiata con
cautela sulla barella e il dottor Manello procedeva a una rapida
visita, come se non potesse proprio farne a meno.
«Quando
torni a casa?» sussurrò Qhuinn. «Ti prego… torna» insistette,
quando lui non rispose.
Blay si
avvicinò alla barella. «Mahmen, vuoi una coperta?
No? Okay, apro la porta.»
Tenne
aperta la porta, facendosi da parte mentre tutti entravano in fila
indiana nel centro di addestramento. Dopo essersi assicurato di
aver chiuso bene l’uscio alle sue spalle, imboccò a sua volta il
lungo corridoio di cemento, passando davanti alle aule e alla
saletta ristoro utilizzata dalla nuova classe di
reclute.
Anche
lì, come nel resto di Caldwell, quella sera era tutto chiuso, non
c’erano studenti in giro, erano tutti al calduccio da qualche
parte.
Meglio
così, viste le urla… urla raccapriccianti, beata Vergine non più
Scriba.
«Cosa
sono questi strilli?» chiese sua madre. «Sta morendo
qualcuno?»
Il
dottor Manello scosse la testa in silenzio. Anche se tra i vampiri
gli operatori sanitari non erano tenuti a rispettare precise norme
di riservatezza, lui non parlava mai dei suoi pazienti, neanche se
l’informazione era da Fratello a Fratello – e Blay lo aveva sempre
ammirato per questo. E lo stesso valeva per la dottoressa Jane. Al
palazzo tutti tendevano a sapere gli affari degli altri, che
cavolo. Quando le cose andavano bene, okay, nessun problema. Ma
quando andavano male?
L’interessamento premuroso e sboccato di tutti quelli che
vivevano lì poteva risultare davvero insopportabile.
«Allora, quando possiamo vedere quei frugoletti?» chiese
suo padre, lanciando un’occhiata a Qhuinn da sopra la spalla. «Sono
dieci notti che non tengo in braccio i miei nipotini. È un sacco di
tempo. E sono sicuro che alla loro grandmahmen farebbe bene
tirarsi un po’ su di morale, giusto, amore mio?»
Blay
soffocò un’imprecazione, attento a non guardare verso Qhuinn. Ma
almeno sapeva di poter contare sul fatto che lui avrebbe declinato
l’in…
«Assolutamente. Possiamo aspettare fino a domani sera,
però? Perché mi piacerebbe molto portarli a casa vostra a farveli
vedere come si deve.»
No,
scusa, pensò Blay. Mi prendi per il culo?
Mentre
lanciava un’occhiataccia a Qhuinn, sua madre ruppe il silenzio con
un’esclamazione di felicità.
«Veramente?» disse, torcendosi sulla lettiga per guardare
Qhuinn.
Il
Fratello ignorò ostentatamente Blay mentre tutti quanti entravano
in una sala visite. «Ma certo. Volevate che venissimo a trovarvi,
lo so, e penso che questo sia proprio il momento più
adatto.»
Incredibile. Incredibile, cazzo.
Però
doveva ammettere che Qhuinn aveva giocato bene le sue carte. Da un
bel pezzo Lyric voleva infornare qualche leccornia, coccolare e
scattare fotografie ai gemelli a casa sua, anche se non lo aveva
mai detto apertamente perché non voleva essere invadente. La sua
campagna era stata molto più sottile, solo qualche accenno buttato
lì come per caso sull’eventualità di tenerli lì a dormire qualche
volta, quando fossero stati molto, molto più grandi, di visite
durante le festività, quando fossero stati molto, molto più grandi,
e di serate cinema, sempre quando fossero stati molto, molto più
grandi.
Ma la
sua voce tradiva chiaramente la smania che la
divorava.
Sua
madre strinse con forza il braccio di Qhuinn, e Assail scelse
proprio quel momento per urlare di nuovo – il che, in effetti, era
proprio quello che, dentro di sé, stava facendo anche
Blay.
«Okay,
vediamo un po’ cosa abbiamo qui» disse il dottor
Manello.
Cosa
cavolo stava farneticando, si chiese Blay… ma poi ricordò, ah,
giusto, erano in una sala visite. Dopo essere usciti di strada. Nel
bel mezzo della peggiore bufera di neve mai registrata ai primi di
dicembre.
Aveva
una gran voglia di menare Qhuinn, cazzo, tirargli addosso qualcosa.
Un armadietto pieno di scorte medicinali, o magari quella scrivania
laggiù in fondo.
«Dobbiamo fare una radiografia. E poi…»
Mentre
il medico parlava, Blay notò che suo padre ascoltava tutto serio e
concentrato. Anche lui avrebbe voluto farlo, ma invece aspettava
che Qhuinn lo guardasse.
E
quando finalmente accadde, mosse le labbra in silenzio per
intimare: Fuori in corridoio.
Subito.
Una
volta inviato il messaggio, guardò i suoi genitori. «Noi due
andiamo fuori un secondo a parlare, torniamo subito.»
Detestava l’occhiata di approvazione che gli lanciò sua
madre, come se si aspettasse che – qualunque fosse il problema –
sarebbe svanito in tempo per quando la famiglia si sarebbe riunita
felicemente, l’indomani sera, come in una copertina sdolcinata di
Norman Rockwell.
Ma
questo era un regalo che non le avrebbe fatto per
Natale.
Appena
Qhuinn lo raggiunse fuori in corridoio, Blay chiuse la porta dietro
di sé e, dopo aver controllato che non ci fosse in giro nessun
altro, sfoderò gli artigli.
«Mi
prendi per il culo?» sbottò sottovoce. «Tu non ci vieni a casa dei
miei, domani sera.»
Qhuinn
si limitò a scrollare le spalle. «I tuoi genitori vogliono
vedere…»
«Già,
vogliono vedere i due piccoli che, come hai messo bene in chiaro,
non sono figli miei. Per cui no, non porterai tuo figlio e tua
figlia a casa dei miei come scusa per vedermi. Non te lo
permetterò.»
«Blay,
stai esagerando…»
«Disse
lo stronzo che voleva piantare una pallottola in testa alla madre
dei suoi figli. Mentre lei era china sulle loro culle.» Alzò le
mani di scatto. «Ma come fai a essere così spaventosamente
egocentrico, Qhuinn?»
Qhuinn
piegò il busto in avanti. «Non so quante volte devo ripeterti che
mi dispiace.»
«Non lo
so neanch’io, ma le scuse non miglioreranno le cose.»
Dopo
qualche secondo di silenzio, Qhuinn si raddrizzò con un’espressione
distante.
«Allora
è così» disse. «Vuoi buttare via tutto il nostro rapporto per colpa
di un commento.»
«Non
era un commento. Era una rivelazione.»
Una
rivelazione che in pratica lo aveva freddato seduta stante. Avrebbe
avuto più probabilità di sopravvivere se fosse stato il bersaglio
degli spari di Qhuinn.
Qhuinn
incrociò le braccia sul petto; i bicipiti si gonfiarono al punto da
tirare perfino le ampie maniche del parka bianco.
«Ti
ricordi…» s’interruppe per schiarirsi la gola. «Ti ricordi, un
milione di anni fa, tipo, quando sei venuto a casa mia dopo che mio
padre… sì, insomma, dopo che mi era saltato in testa?»
Blay
abbassò gli occhi sul pavimento di cemento in mezzo a loro. «Ci
sono state parecchie serate così. A quale ti
riferisci?»
«Giusto. Ma tu mi sei sempre stato vicino. Sgattaiolavi
dentro di nascosto e giocavamo con la PlayStation, ci rilassavamo.
Eri la mia salvezza. Sei l’unico motivo per cui sono ancora vivo.
Per cui quei due neonati esistono.»
Blay
cominciò a scuotere la testa. «Non provarci. Non usare il passato
per cercare di farmi sentire in colpa.»
«Mi hai
sempre detto che mio padre sbagliava a odiarmi. Dicevi che non
riuscivi a capire perché lui…»
«Senti,
ho fatto tutto quello che dovevo. Non ti devo più niente» sbottò
Blay. «Okay? Io non ti devo più niente, cazzo. Sono stato il tuo
leccapiedi, il tuo palliativo, la tua coperta di Linus. E vuoi
sapere perché? Mica perché eri così speciale, ma perché eri un
porco che non potevo avere… e perché ho confuso la tua promiscuità
con la mia inadeguatezza… credevo di non essere all’altezza e
questo mi ha spinto a mettermi continuamente alla prova per
dimostrarti quanto valevo. Ma adesso basta, non voglio più farlo.
Mi hai respinto per tutto quel tempo, quando ti scopavi cani e
porci, ma questo te lo abbuono perché all’epoca non avevo le palle
per fare coming out e dirti cosa provavo. Ma quando mi hai respinto
su nella stanza di Layla…? Sapevi quanto ti amo. Questo non te lo
perdonerò mai…»
«Quello
che stavo per dire» sbraitò Qhuinn, «è che mi hai sempre detto che
ti dispiaceva che mio padre non riuscisse a perdonarmi per qualcosa
che non potevo cambiare…»
«Esatto… non hai nessuna colpa per il tuo
DNA. Ma questo
cosa cavolo c’entra con noi due? Stai dicendo che non sei
responsabile di quello che ti esce di bocca?» Blay scosse la testa,
camminando avanti e indietro. «O, meglio ancora, che non è colpa
tua se mi hai tagliato fuori dalla vita di quei
piccoli?»
«Mi
sono appena autoinvitato per domani sera a casa dei tuoi insieme a
quei piccoli te ne sei scordato? Quindi evidentemente non ti sto
tagliando fuori.» Qhuinn alzò il mento di scatto. «Quello che
volevo dire è che non capisco come uno che sottolineava
l’importanza del perdono possa rifiutarsi di accettare le mie
scuse.»
Soprappensiero, Blay infilò la mano dentro il giubbotto e
tirò fuori il pacchetto di Dunhill. «Sì, ho ricominciato a fumare»
bofonchiò, accendendone una. «No, tu non c’entri niente. E quando
parlavo di tuo padre mi riferivo al colore dei tuoi occhi, per
l’amor del cielo. Mica ti stavo chiedendo di farti da parte,
mollando quelli che pensavi fossero i tuoi figli. Quella era la mia
vita, Qhuinn. Quei gemelli… erano il mio futuro. Quello che doveva
restare di me quando sarò morto e sepolto. Dovevano essere…» gli si
incrinò la voce e diede un lungo tiro alla sigaretta. «Dovevano
portare avanti le tradizioni dei miei genitori. Erano pietre
miliari e felicità e un senso di completezza che neanche tu puoi
darmi. Ma tutto questo evidentemente non è niente in confronto a un
incidente genetico sfociato nel fatto che hai un occhio azzurro e
l’altro verde.»
«Di’
quello che vuoi, Blay» disse cupo Qhuinn, indicando il proprio
viso. «Ma questo difetto era tutta la mia vita, e tu lo sai. Il mio
difetto, a casa dei miei genitori, era tutta la mia cazzo di vita.
Io ero tagliato fuori da tutto…»
«Okay,
allora sai come mi sento.»
Si
guardarono in cagnesco. Qhuinn scosse la testa. «Sei pessimo come
mio padre, lo sai? Senza scherzi.»
Blay
gli puntò contro la sigaretta accesa. «Vaffanculo. Dico sul
serio.»
Qhuinn
lo guardò un attimo attraverso l’aria carica di tensione. Poi
disse: «Che cosa sta succedendo. Cioè, davvero, vuoi che ci
lasciamo? Vuoi tornare da Saxton o magari scoparti qualcun altro?
Vuoi comportarti come facevo io una volta? È per questo che fai
così?»
«Perché
faccio… aspetta un momento, credi che abbia preso questa posizione
per scaricarti? O che mi stia lamentando giusto per averla vinta?
Credi sinceramente che stia giocando?» scosse la testa, talmente
incredulo da avere il capogiro. «E, no, non voglio essere come te.
Noi due non siamo uguali e non lo siamo mai stati.»
«Proprio per questo stiamo bene insieme.» Tutt’a un
tratto la voce di Qhuinn divenne acuta. «Tu sei la mia famiglia,
Blay. Lo sei sempre stato. Anche con Lyric e Rhamp nella mia vita,
senza di te sono perduto… sì, potrò pure incazzarmi nel bel mezzo
di una discussione come questa, ma sono ancora abbastanza uomo da
ammettere che io non sono niente se non stiamo insieme.» Si schiarì
la gola. «E per tua informazione, lotterò per te, per noi. Per cui
te lo chiedo un’altra volta: cos’è che vuoi? Sangue? Perché
qualunque cosa serva per riaverti, la farò.»
Assail
lanciò un altro urlo e Blay chiuse gli occhi; la stanchezza gli
calò addosso come un sudario. «Sì, proprio» bofonchiò. «Sangue.
Dovrai sputare sangue. Adesso, se non ti spiace, vado a occuparmi
di mia madre.»
«Domani
sera mi presenterò a casa dei tuoi con i gemelli.»
«Io non
ci sarò.»
«È una
tua decisione. E io la rispetterò. Ma non sto scherzando: qualunque
cosa serva, dimostrerò che ti amo, che ho bisogno di te e che ti
voglio… e che quei piccoli sono anche tuoi.»
Ciò
detto si voltò e si allontanò deciso lungo il corridoio di cemento,
testa alta, schiena diritta, andatura regolare…
«Figliolo?»
Trasalendo, Blay si girò verso suo padre. «Come sta la
mamma? Hanno già fatto la radiografia?»
«Chiede
di te. Il dottor Manello dice che forse devono
operarla.»
Merda.
«Arrivo.» Mise un braccio intorno alle spalle di suo padre. «Dai,
vieni, vediamo di capire come stanno le cose…»
«È
tutto a posto tra te e Qhuinn?»
«Sì,
assolutamente. A postissimo» disse lui, aprendo la porta della sala
visite. «Niente di cui preoccuparsi. Concentriamoci sulla mamma,
okay?»