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«Be’, tutto sistemato, direi.»
Fermo accanto al letto insanguinato, Throe guardò il suo palloncino, come ormai chiamava l’ombra, e sorrise.
«Sei un tipo efficiente, eh.»
L’ombra ondeggiò lievemente dal punto in cui era ancorata, sopra al tappeto, ed era lecito supporre fosse lusingata del complimento. O forse no. Ma che importanza aveva? Non si era ribellata quando Throe le aveva ordinato di uccidere l’hellren della sua amante e aveva portato a termine l’incarico con grande competenza.
Aveva preso prontamente il pugnale che Throe le aveva fornito, lo aveva seguito fino in fondo al corridoio, come un cagnolino dietro al suo padrone, e quando lui aveva aperto la porta indicando il vecchio seduto contro la testata del letto, la morte era sopraggiunta più rapida di un battito di cuore.
Cosa ormai negata al padrone di casa.
«Che cos’hai fatto!» strillò qualcuno alle sue spalle.
Throe ruotò sulle pantofole di velluto. «Oh, ciao, cara. Ti sei alzata presto.»
Prima che la sua amante avesse il tempo di dire alcunché, balzò in avanti e la prese per il collo. Appena cominciò a stringere con forza, lei sgranò gli occhi e spalancò quella sua bocca tanto talentuosa in un urlo muto.
Mentre cercava disperatamente di liberarsi dalla sua stretta, boccheggiando come un pesce, lui la trascinò dentro la stanza e chiuse la porta con un calcio.
L’entità si avvicinò, quasi chiedendogli il permesso di intervenire, e lui le sorrise di nuovo. «Oh, molto gentile da parte tua. Ma ci penso io.»
Spostò la stretta sul viso della sua amante e con una torsione decisa le spezzò il collo. Poi, per evitare di fare rumore, la adagiò delicatamente sul tappeto.
Ritto sopra di lei, notò che indossava quel baby-doll che gli piaceva tanto, quello col corpetto di pizzo e il gonnellino a balze che le arrivava appena sotto le mutandine.
«Che peccato. Sul serio. Era un tipino spassoso.»
Così dicendo si raddrizzò la vestaglia di seta. Aveva perso una pantofola; risolse il problema scavalcando il cadavere della femmina, che già cominciava a raffreddarsi, e infilandosela di nuovo.
«Be’, tutto a posto.» Si guardò intorno nella suite arredata con molto gusto. «Sai, penso che mi trasferirò qui. Dopo che ci saremo liberati di quel materasso.»
Poi però pensò ai doggen. Ce n’erano almeno quattordici, in casa.
Eliminarli tutti avrebbe richiesto parecchio tempo, e oltretutto gli pareva uno spreco: era così difficile trovare domestici validi.
Inoltre c’erano questioni di sicurezza e finanziarie che andavano affrontate. Per fortuna già da settimane aveva avviato il furto di identità: era entrato nel computer del padrone di casa, giù da basso, ottenendo a poco a poco l’accesso a conti, dati e nulla osta.
Valutò brevemente se offrire alla servitù la possibilità di restare, ma poi guardò il macello sul letto. Se la sua amica ombra sapeva uccidere così…
… di sicuro sapeva anche usare straccio e spazzolone.
Un solo aiutante non bastava, però. Aveva controllato Il Libro per vedere se si potevano riprodurre le ombre in serie ma, a quanto pareva, se voleva un intero esercito doveva fabbricarle una per una. Pugnalandosi tutte le volte.
Bella seccatura. La mano stava ancora guarendo dalla ferita.
Gli sarebbero serviti altri ingredienti. E altro tempo. E…
Lamentarsi gli sembrava ingeneroso, tuttavia. Doveva essere grato, invece: ora disponeva di molto denaro, di una casa che gli piaceva e di un’arma migliore di qualunque pistola, coltello o pugno.
«Il mio destino» mormorò, nella stanza silenziosa, «è a portata di mano.»
Stava quasi per stropicciarsi le mani ma si bloccò. Non era il caso di tramutarsi nella caricatura del cattivo: troppo indecoroso.
«Vieni» disse al suo palloncino. «Devo vestirmi e tu mi aiuterai. E dopo dobbiamo uscire.»
Testare il suo giocattolo contro un lesser era importante e non c’era motivo di aspettare. Poco prima si era comportato in maniera ammirevole, certo, ma contro un vegliardo semiinvalido; se doveva affrontare i Fratelli e le truppe dell’Omega, o persino la Banda dei Bastardi, doveva essere in grado di cimentarsi ad altissimo livello.
Uscendo in corridoio sentì il rumore della lucidatrice al piano di sotto. Se qualche domestico trovava i cadaveri sarebbe scoppiato il finimondo. E visto che adesso il Re dava udienza, la confraternita poteva piombare lì prima che lui fosse pronto ad affrontarli, mandando all’aria tutti i suoi piani.
Quanto odiava questi ritardi, maledizione. Ma uno stratega degno di tal nome sa di dover procedere in maniera graduale, secondo una precisa sequenza logica.
Bisognava fare una mossa alla volta, come negli scacchi.
«Coraggio» disse all’ombra con voce annoiata. «Prima dobbiamo fare le pulizie. E stavolta devo chiederti di agire con una certa cautela: non voglio rovinare niente, oggetti d’arte, tessuti o altro. E se metti in disordine qualcosa poi dovrai riordinare.»
Con ciò uscirono dalla suite, avviandosi insieme verso le scale e verso il o la doggen che stava facendo il suo lavoro al piano di sotto.
Il benservito che stavano per ricevere tutti quanti sarebbe stato doloroso.