12
Per vedere i suoi fratelli doveva guardare
attraverso delle sbarre di ferro – ottimo, rifletté Qhuinn… non che
volesse guardarli… però, sì, una separazione tra lui e loro,
contrassegnata da un antico cancello impenetrabile, sembrava la
cosa migliore in quei momenti di forzata inattività.
Non era
in vena di stare in compagnia di nessuno.
E
nemmeno loro erano contenti di lui, chiaramente.
Seduto
sul nudo pavimento di pietra della caverna, con la schiena
appoggiata a una sezione ancora intatta degli scaffali pieni di
vasi, guardava i fratelli ringhiare come belve in gabbia, al di là
di tutte quelle sbarre, andando avanti e indietro e scontrandosi
tra loro mentre inveivano contro di lui. La buona notizia – “buona”
solo marginalmente – era che le urla e gli strepiti erano diminuiti
notevolmente, il volume del mondo intorno a lui si era abbassato,
per qualche scherzo dell’universo o forse per la sua pressione
sanguigna in calo.
Meglio
così: era già un esperto in cazz-onomia. Neanche l’uso più creativo
della parola c**** da parte dei suoi fratelli poteva insegnargli
qualcosa di nuovo in materia di insulti.
Tanto
più che in tutti quegli improperi compariva il suo nome, per cui ne
faceva volentieri a meno. Si stava già autoflagellando mentalmente
più che abbastanza, grazie mille.
Chinò
la testa e chiuse gli occhi. Pessima idea. Il fianco gli faceva un
male cane e in assenza di distrazioni il dolore assunse proporzioni
letteralmente gigantesche. Doveva esserci qualcosa di rotto, lì
dentro. Il fegato, magari, oppure un rene o un…
Quando
un’ondata di nausea gli gonfiò lo stomaco, aprì di scatto le
palpebre voltandosi dalla parte opposta di quella gabbia di matti
pronti a crocifiggerlo. Che macello: la lettiga fracassata, le
apparecchiature mediche sfasciate, tutti vasi in frantumi e i cuori
viscidi e neri dei lesser
per terra… sembrava che fosse passato un
uragano.
Era il
secondo posto che distruggeva, contando la sparatoria nella stanza
di Layla.
Anche
se… di questo secondo disastro era pentito.
Di
quell’altro… sì, gli spiaceva anche di quello… ma non aveva
intenzione di mollare la linea dura riguardo all’Eletta e ai suoi
figli.
Con un
gemito allungò prima una gamba e poi l’altra. C’era del sangue sui
pantaloni di pelle. Sugli stivali. Sulle nocche di entrambe le
mani. Probabile che avesse bisogno di assistenza medica, ma non la
voleva…
Un
silenzio improvviso attirò la sua attenzione. Si voltò verso il
cancello. Ah, grandioso. Proprio fantastico, cazzo.
Fermo
davanti a quelle sbarre di ferro c’era il Re, schiumante di rabbia.
E a quanto pareva voleva un tête-à-tête ravvicinato: Vishous si era
fatto avanti e stava infilando la chiave nella toppa; i cilindri
cedettero con un rumore metallico, permettendogli di aprire il
cancello.
Wrath
fu l’unico a entrare, poi loro due vennero chiusi dentro insieme.
Per impedire agli altri fratelli di aggredire Qhuinn? O per
impedire a lui di scappare da quello che aveva in mente il
Re?
Mah,
chissà.
Quando
Wrath avanzò, fermandosi davanti a lui, Qhuinn abbassò gli occhi,
anche se il Re era cieco. «Stai per licenziarmi dalla
confraternita?»
Cacchio
se erano enormi quegli stivali, pensò di sfuggita. Dalla sua
postazione praticamente a-livello-stivale sembravano grossi come
due Subaru.
«Comincio a stufarmi di incontrarti così» sbottò
Wrath.
«Allora
siamo in due.»
«Vuoi
dirmi cos’è successo?»
«Non
particolarmente.»
«Allora
te la metterò in un altro modo, stronzo: o mi dici subito cos’è
successo o ti tengo chiuso qua dentro a digiuno finché non ti
riduci a uno scheletro.»
«Le
diete lampo non funzionano mai a lungo termine, sai.»
«Funzionano eccome, con un integratore al
piombo.»
Qhuinn
adocchiò la pistola infilata nella fondina sotto il ciclopico
braccio sinistro di Wrath. Anche con gli occhi fuori uso il Re era
capacissimo di piantare una pallottola dove voleva col solo ausilio
dell’udito.
«Sta’ a
sentire» disse Wrath. «Voglio venirti incontro. Ti risparmio di
spiegarmi perché hai pensato che fosse una buona idea venire qua ad
aggredire senza permesso un mio prigioniero. Fin qui ci arrivo
anche da solo. Perché invece non mi dici come ha fatto Xcor a
chiuderti dentro?»
Qhuinn
si stropicciò la faccia, ma non per molto perché quel movimento
peggiorava il voltastomaco… e adesso aveva anche mal di testa. Che
avesse una commozione cerebrale?
#paghiunoprendidue.
Si
schiarì la gola. «Prima di andarsene, Phury mi ha dato la chiave
per chiudermi dentro con Xcor. E io l’ho fatto.»
Che poi
era il nuovo protocollo. All’inizio, appena avevano fatto
prigioniero Xcor, chi era di guardia veniva chiuso dentro
dall’esterno. Col tempo, però, visti tutti i cambi di turno, i
controlli medici e la somministrazione di farmaci, per comodità
avevano cambiato procedura. E, sì, forse dopo un mese che il
bastardo era steso immobile sulla lettiga come un brutto pezzo di
arte moderna, avevano abbassato un po’ la guardia.
«Embè?»
ringhiò Wrath.
«Ero
distratto. Così ho dimenticato di tirare fuori quella cazzo di
chiave dalla serratura.»
«Eri…
distratto. Da cosa? Dall’idea di spaccare tutto quanto?» Quando il
Re indicò i vasi rotti tutto intorno come se potesse vederli, fu
chiaro che il tanfo di lesser
gli era arrivato alle narici. E oltretutto il
pubblico in platea si lamentava del casino. «Porca troia, Qhuinn.
Seriamente, sei ammattito, cazzo?»
«Mi sa
di sì.» O poco ci mancava. Eh eh eh. «O era una domanda retorica?
Senti, perché non la piantiamo di parlare di Xcor così puoi dirmi
come pensi di regolarti con quella sua femmina,
Layla.»
A
proposito di voglia di vomitare.
Nel
silenzio che seguì, Wrath incrociò le braccia sul petto; i bicipiti
si gonfiarono così tanto che, al suo confronto, The Rock sembrava
un mingherlino. «Ora come ora, non è la sua potestà genitoriale che
sto pensando di revocare.»
Qhuinn
alzò la testa di scatto. Dopodiché dovette soffocare un conato di
vomito per via dell’emicrania. «Aspetta, che cosa? Lei ci tradisce
aiutando un nostro nemico…»
«E tu
hai appena lasciato andare un prezioso prigioniero della
confraternita perché hai dato fuori di matto. Quindi lasciamo
perdere la storia del tradimento, okay? Servirebbe solo a
peggiorare ulteriormente la tua situazione, fidati.»
Difficile negare l’evidenza, in effetti, rifletté Qhuinn.
Meno male che le sue emozioni se ne fregavano altamente della
logica.
«Dimmi
che la caccerai di casa» disse. «E che i miei figli staranno con
me. Mi importa solo questo.»
Per
mezzo secondo gli tornarono in mente le cazzate che aveva sparato
Xcor appena prima di allontanarsi zoppicando. Fesserie su Layla.
L’amore. Il fatto che non voleva più fare del male a
Wrath.
Già,
come se potesse credergli.
Il Re
lo fulminò da dietro gli occhiali. «Quello che faccio o che non
faccio non sono affaracci tuoi.»
Alt… Un
momento… Possibile che…
«Vuoi
scherzare?» Qhuinn fece per tirarsi su: sì, buonanotte. Ma anche in
preda alla nausea, tra un grugnito e un conato di vomito, continuò
a parlare. «Quella ha rinunciato ai suoi diritti! Ha nutrito il
nemico!»
«Se
Xcor è un nemico tanto pericoloso perché ha lasciato lì la
chiave?»
«Cosa?»
Wrath
puntò l’indice in direzione del cancello. «Xcor ti ha chiuso
dentro, però ha lasciato per terra la chiave. Perché l’ha
fatto?»
«E io
cosa cazzo ne so?»
«Già,
peccato che adesso non possiamo più chiederglielo, ti pare?» sbottò
Wrath.
Qhuinn
scosse la testa. «È ancora nostro nemico. Sarà sempre nostro
nemico, che cazzo. Non me ne frega un cazzo di quello che
dice.»
Le
sopracciglia corvine del Re scesero di nuovo sotto il bordo degli
occhiali. «Cos’è che ti ha detto? Sentiamo.»
«Niente. Non ha detto un cazzo di niente.» Qhuinn scoprì
le zanne. «E non preoccuparti, lo riporterò indietro, quello
stronzo. Gli darò la caccia e…»
«Scordatelo. Ti sospendo dal servizio attivo con effetto
immediato.»
«Che
cosa!?» Adesso Qhuinn si alzò in piedi, anche se temeva di
innaffiare il Re di vomito verde pisello in stile
Esorcista. «Non
dire cazzate!»
«Stai
dando i numeri e non posso permetterlo. Adesso fai il bravo e
chiudi il becco mentre ti portiamo in clinica per farti medicare,
razza di sociopatico.»
Un
accesso di collera incontrollabile fece riemergere la rabbia cieca,
mandandogli di nuovo in tilt il cervello – e mentre la lucidità si
faceva da parte davanti a tanta furia, Qhuinn si rese vagamente
conto che stava muovendo la bocca come per inveire contro il Re. Ma
non aveva la più pallida idea di cosa stava dicendo.
«Sai
una cosa?» lo interruppe Wrath in tono annoiato. «È meglio se la
chiudiamo qui.»
Questa
fu l’ultima cosa che Qhuinn sentì.
L’ultima che vide? Il poderoso pugno di Wrath diretto
contro la sua mascella.
Altro
che fuochi d’artificio… Dopodiché calò il buio… il buio più totale,
le gambe cedettero di schianto e lui crollò per terra a peso
morto.
Il suo
ultimo pensiero prima di svenire a metà caduta?
Due
commozioni cerebrali una in fila all’altra avrebbero fatto miracoli
per la sua salute mentale. Eh, già, proprio quello che gli ci
voleva a quel punto.
Nella
sua stanza al primo piano del palazzo della confraternita, Layla
era ferma davanti alle culle, gli occhi che andavano avanti e
indietro tra i suoi due gemelli addormentati. I visi di Lyric e
Rhamp erano quelli di due angeli, tutti guanciotte e pelle rosea e
vellutata, le ciglia scure abbassate, le sopracciglia arcuate come
ali. Entrambi respiravano profondamente come se, anche nel sonno,
ce la stessero mettendo tutta per diventare più grandi, più forti e
più intelligenti.
Era la
procreazione al lavoro, la razza della Vergine Scriba che si
perpetuava. Un miracolo. L’immortalità per i mortali.
«Ti
conviene estrarre la pistola» disse aspra, a voce bassa, avvertendo
una presenza alle sue spalle.
«Perché?»
Lei si
girò e vide Vishous. Il Fratello, fermo appena oltre la soglia,
sembrava un araldo di sventura. Cosa che in effetti
era.
«Se
vuoi che lasci i miei piccoli dovrai spedirmi nel
Fado.»
Non
c’era da stupirsi che Wrath avesse mandato lui a portarla via. Con
Vishous era come avere a che fare con un iceberg. V era gelido,
intrattabile e irremovibile, sempre e comunque. Gli altri Fratelli,
in particolare quelli con figli, o anche Phury nella sua veste
di Primale, o Tohr, che aveva perso la compagna e un figlio mai
nato? Poteva sperare di dissuaderli, convincerli a farla restare o
a portare con sé i suoi piccoli.
Vishous
no.
E forse
neanche Tohr, a ben pensarci: lui voleva uccidere il bastardo con
cui lei aveva tradito la confraternita.
«Allora?» disse, guardando la pistola nella fondina
ascellare di V.
Vishous
scosse la testa. «Non sarà necessario. Dai, andiamo.»
Lei si
voltò di nuovo verso i suoi figli. «Qhuinn l’ha ucciso? Xcor? È
morto?»
«Fritz
è già qua davanti. È un viaggio piuttosto lungo. Dobbiamo partire
subito.»
«Neanche fossi un bagaglio da spostare.» Non aveva più
lacrime; l’orrore di ciò che stava accadendo era così grande che
era come pietrificata. «Xcor è morto?»
Vishous
era proprio dietro di lei, quando riprese a parlare; la sua voce la
fece rabbrividire. «Cerca di ragionare…»
Lei si
girò di scatto, socchiudendo gli occhi. «Non azzardarti a insinuare
che sono irragionevole perché non voglio lasciarli.»
«Allora
non dimenticare in che posizione ti trovi» ribatté lui,
accarezzandosi il pizzetto con la mano guantata. «Potresti finire
col perdere tutti i tuoi diritti verso di loro, anche se li hai
partoriti tu. Se invece vieni via subito con me ti garantisco –
ti garantisco – che li rivedrai presto, forse addirittura entro domani
sera.»
Layla
si strinse le braccia intorno al corpo. «Tu non hai un potere
simile.»
«Io
forse no, ma loro sì» disse lui, inarcando un sopracciglio, quello
con accanto i tatuaggi.
Così
dicendo si fece da parte indicando la porta e lei si tappò la bocca
con la mano. Una dopo l’altra, le femmine della casa sfilarono
nella stanza e si fermarono a semicerchio intorno a lei. Facevano
paura, anche a paragone di Vishous. C’era persino
Autumn.
Beth,
la Regina, prese la parola, sottovoce per non disturbare i gemelli.
«Parlerò io con Wrath. Appena torna dal centro di addestramento.
Troveremo una soluzione. Non mi importa un fico secco di quello che
è successo tra te e Xcor – da madre a madre, mi importa solo di te
e dei piccoli. E mio marito alla fine capirà il mio punto di vista.
Fidati.»
Layla
corse ad abbracciarla e, mentre Beth la stringeva forte, Bella andò
ad accarezzarle i capelli.
«Ci
prenderemo cura di loro, mentre sei via» disse la compagna di Z.
«Tutte quante noi. Non resteranno da soli neanche per un secondo,
quindi cerca di non preoccuparti.»
Si
avvicinò anche Cormia, l’altra Eletta, con gli occhi lucidi. «Starò
in questa stanza tutto il giorno» così dicendo indicò il letto,
vicino alle culle. «Non mi muoverò di qui.»
Ehlena,
la shellan di Rehv, annuì. «Nel mio lavoro di infermiera ho curato
centinaia di neonati. Li conosco come le mie tasche. A loro due non
succederà niente, te lo prometto.»
Dalle
altre femmine si levarono mormorii di approvazione; una di loro le
allungò un fazzoletto di carta, al che Layla si rese conto che
aveva ricominciato a piangere.
Scostandosi da Beth, cercò di soffocare il più possibile
i singhiozzi per non fare rumore. Voleva dire qualcosa, voleva
esprimere la sua paura e la sua gratitudine…
La
Regina le posò le mani sulle spalle. «I tuoi diritti di madre non
verranno revocati. Non succederà. E so con esattezza dove andrai a
stare. È una casa sicura, protetta nel migliore dei modi; V si è
occupato del sistema di sicurezza e io ho curato personalmente
l’arredamento dopo che la confraternita l’ha acquistata, un anno
fa.»
«È un
posto a prova di bomba come il caveau di una banca» dichiarò
Vishous. «E poi di giorno sarò il tuo coinquilino.»
«Quindi
sono sotto sorveglianza?» Layla si accigliò. «Sono
prigioniera?»
Il
Fratello fece spallucce. «Sarai sotto protezione. Tutto
qua.»
Sì, col
cavolo, pensò lei. Ma non poteva farci nulla. Quella era una
faccenda più grande di lei e conosceva anche troppo bene il perché
di quei provvedimenti.
Tornando da Lyric e Rhamp scoprì che le lacrime
scendevano più in fretta di quanto potesse tamponarle col
fazzoletto, ormai ridotto a una poltiglia fradicia. Qualcosa nel
fatto che le femmine della casa fossero andate lì a sostenerla
aveva scongelato il blocco di ghiaccio formatosi in mezzo al suo
petto, e adesso le emozioni tornavano prepotentemente a
galla.
Voleva
prendere in braccio ciascuno dei suoi piccoli, annusare la loro
pelle morbida, stringerli al petto, baciarli teneramente reggendo
con cautela le loro testoline. Ma se l’avesse fatto non sarebbe
riuscita a lasciarli.
Dovette
accontentarsi di rimboccare meglio con mano tremante le morbide
copertine.
«Piccoli miei» sussurrò. «La vostra mahmen tornerà. Non… vi
lascerò…»
Impossibile continuare, la voce era così strozzata che
non riusciva a parlare.
Il
viaggio che l’aveva condotta a dare alla luce quei due tesori
inestimabili era iniziato secoli prima – o almeno questa era la sua
sensazione – quando, travolta dal bisogno, aveva scongiurato Qhuinn
di montarla. Dopodiché erano arrivati i mesi senza fine della
gravidanza e il parto gemellare d’urgenza.
Lungo
la strada si erano susseguite tantissime cose apparentemente
impossibili, tantissime sfide imprevedibili. Questa però non se la
sarebbe mai aspettata: affidare i gemelli alle cure di altri, per
quanto competenti e affettuosi fossero questi “altri”, era
un’eventualità che proprio non poteva prevedere.
Era
troppo spaventosa.
«Andiamo» disse perentorio Vishous. «Prima che arrivi
l’alba e le cose si complichino ancora di più.»
Con
un’ultima occhiata a ognuno dei suoi piccoli, Layla raccolse le
pieghe della veste e uscì dalla stanza. Con la sensazione di avere
lasciato dietro di sé il suo cuore e la sua anima.