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Per vedere i suoi fratelli doveva guardare attraverso delle sbarre di ferro – ottimo, rifletté Qhuinn… non che volesse guardarli… però, sì, una separazione tra lui e loro, contrassegnata da un antico cancello impenetrabile, sembrava la cosa migliore in quei momenti di forzata inattività.
Non era in vena di stare in compagnia di nessuno.
E nemmeno loro erano contenti di lui, chiaramente.
Seduto sul nudo pavimento di pietra della caverna, con la schiena appoggiata a una sezione ancora intatta degli scaffali pieni di vasi, guardava i fratelli ringhiare come belve in gabbia, al di là di tutte quelle sbarre, andando avanti e indietro e scontrandosi tra loro mentre inveivano contro di lui. La buona notizia – “buona” solo marginalmente – era che le urla e gli strepiti erano diminuiti notevolmente, il volume del mondo intorno a lui si era abbassato, per qualche scherzo dell’universo o forse per la sua pressione sanguigna in calo.
Meglio così: era già un esperto in cazz-onomia. Neanche l’uso più creativo della parola c**** da parte dei suoi fratelli poteva insegnargli qualcosa di nuovo in materia di insulti.
Tanto più che in tutti quegli improperi compariva il suo nome, per cui ne faceva volentieri a meno. Si stava già autoflagellando mentalmente più che abbastanza, grazie mille.
Chinò la testa e chiuse gli occhi. Pessima idea. Il fianco gli faceva un male cane e in assenza di distrazioni il dolore assunse proporzioni letteralmente gigantesche. Doveva esserci qualcosa di rotto, lì dentro. Il fegato, magari, oppure un rene o un…
Quando un’ondata di nausea gli gonfiò lo stomaco, aprì di scatto le palpebre voltandosi dalla parte opposta di quella gabbia di matti pronti a crocifiggerlo. Che macello: la lettiga fracassata, le apparecchiature mediche sfasciate, tutti vasi in frantumi e i cuori viscidi e neri dei lesser per terra… sembrava che fosse passato un uragano.
Era il secondo posto che distruggeva, contando la sparatoria nella stanza di Layla.
Anche se… di questo secondo disastro era pentito.
Di quell’altro… sì, gli spiaceva anche di quello… ma non aveva intenzione di mollare la linea dura riguardo all’Eletta e ai suoi figli.
Con un gemito allungò prima una gamba e poi l’altra. C’era del sangue sui pantaloni di pelle. Sugli stivali. Sulle nocche di entrambe le mani. Probabile che avesse bisogno di assistenza medica, ma non la voleva…
Un silenzio improvviso attirò la sua attenzione. Si voltò verso il cancello. Ah, grandioso. Proprio fantastico, cazzo.
Fermo davanti a quelle sbarre di ferro c’era il Re, schiumante di rabbia. E a quanto pareva voleva un tête-à-tête ravvicinato: Vishous si era fatto avanti e stava infilando la chiave nella toppa; i cilindri cedettero con un rumore metallico, permettendogli di aprire il cancello.
Wrath fu l’unico a entrare, poi loro due vennero chiusi dentro insieme. Per impedire agli altri fratelli di aggredire Qhuinn? O per impedire a lui di scappare da quello che aveva in mente il Re?
Mah, chissà.
Quando Wrath avanzò, fermandosi davanti a lui, Qhuinn abbassò gli occhi, anche se il Re era cieco. «Stai per licenziarmi dalla confraternita?»
Cacchio se erano enormi quegli stivali, pensò di sfuggita. Dalla sua postazione praticamente a-livello-stivale sembravano grossi come due Subaru.
«Comincio a stufarmi di incontrarti così» sbottò Wrath.
«Allora siamo in due.»
«Vuoi dirmi cos’è successo?»
«Non particolarmente.»
«Allora te la metterò in un altro modo, stronzo: o mi dici subito cos’è successo o ti tengo chiuso qua dentro a digiuno finché non ti riduci a uno scheletro.»
«Le diete lampo non funzionano mai a lungo termine, sai.»
«Funzionano eccome, con un integratore al piombo.»
Qhuinn adocchiò la pistola infilata nella fondina sotto il ciclopico braccio sinistro di Wrath. Anche con gli occhi fuori uso il Re era capacissimo di piantare una pallottola dove voleva col solo ausilio dell’udito.
«Sta’ a sentire» disse Wrath. «Voglio venirti incontro. Ti risparmio di spiegarmi perché hai pensato che fosse una buona idea venire qua ad aggredire senza permesso un mio prigioniero. Fin qui ci arrivo anche da solo. Perché invece non mi dici come ha fatto Xcor a chiuderti dentro?»
Qhuinn si stropicciò la faccia, ma non per molto perché quel movimento peggiorava il voltastomaco… e adesso aveva anche mal di testa. Che avesse una commozione cerebrale?
#paghiunoprendidue.
Si schiarì la gola. «Prima di andarsene, Phury mi ha dato la chiave per chiudermi dentro con Xcor. E io l’ho fatto.»
Che poi era il nuovo protocollo. All’inizio, appena avevano fatto prigioniero Xcor, chi era di guardia veniva chiuso dentro dall’esterno. Col tempo, però, visti tutti i cambi di turno, i controlli medici e la somministrazione di farmaci, per comodità avevano cambiato procedura. E, sì, forse dopo un mese che il bastardo era steso immobile sulla lettiga come un brutto pezzo di arte moderna, avevano abbassato un po’ la guardia.
«Embè?» ringhiò Wrath.
«Ero distratto. Così ho dimenticato di tirare fuori quella cazzo di chiave dalla serratura.»
«Eri… distratto. Da cosa? Dall’idea di spaccare tutto quanto?» Quando il Re indicò i vasi rotti tutto intorno come se potesse vederli, fu chiaro che il tanfo di lesser gli era arrivato alle narici. E oltretutto il pubblico in platea si lamentava del casino. «Porca troia, Qhuinn. Seriamente, sei ammattito, cazzo?»
«Mi sa di sì.» O poco ci mancava. Eh eh eh. «O era una domanda retorica? Senti, perché non la piantiamo di parlare di Xcor così puoi dirmi come pensi di regolarti con quella sua femmina, Layla.»
A proposito di voglia di vomitare.
Nel silenzio che seguì, Wrath incrociò le braccia sul petto; i bicipiti si gonfiarono così tanto che, al suo confronto, The Rock sembrava un mingherlino. «Ora come ora, non è la sua potestà genitoriale che sto pensando di revocare.»
Qhuinn alzò la testa di scatto. Dopodiché dovette soffocare un conato di vomito per via dell’emicrania. «Aspetta, che cosa? Lei ci tradisce aiutando un nostro nemico…»
«E tu hai appena lasciato andare un prezioso prigioniero della confraternita perché hai dato fuori di matto. Quindi lasciamo perdere la storia del tradimento, okay? Servirebbe solo a peggiorare ulteriormente la tua situazione, fidati.»
Difficile negare l’evidenza, in effetti, rifletté Qhuinn. Meno male che le sue emozioni se ne fregavano altamente della logica.
«Dimmi che la caccerai di casa» disse. «E che i miei figli staranno con me. Mi importa solo questo.»
Per mezzo secondo gli tornarono in mente le cazzate che aveva sparato Xcor appena prima di allontanarsi zoppicando. Fesserie su Layla. L’amore. Il fatto che non voleva più fare del male a Wrath.
Già, come se potesse credergli.
Il Re lo fulminò da dietro gli occhiali. «Quello che faccio o che non faccio non sono affaracci tuoi.»
Alt… Un momento… Possibile che…
«Vuoi scherzare?» Qhuinn fece per tirarsi su: sì, buonanotte. Ma anche in preda alla nausea, tra un grugnito e un conato di vomito, continuò a parlare. «Quella ha rinunciato ai suoi diritti! Ha nutrito il nemico!»
«Se Xcor è un nemico tanto pericoloso perché ha lasciato lì la chiave?»
«Cosa?»
Wrath puntò l’indice in direzione del cancello. «Xcor ti ha chiuso dentro, però ha lasciato per terra la chiave. Perché l’ha fatto?»
«E io cosa cazzo ne so?»
«Già, peccato che adesso non possiamo più chiederglielo, ti pare?» sbottò Wrath.
Qhuinn scosse la testa. «È ancora nostro nemico. Sarà sempre nostro nemico, che cazzo. Non me ne frega un cazzo di quello che dice.»
Le sopracciglia corvine del Re scesero di nuovo sotto il bordo degli occhiali. «Cos’è che ti ha detto? Sentiamo.»
«Niente. Non ha detto un cazzo di niente.» Qhuinn scoprì le zanne. «E non preoccuparti, lo riporterò indietro, quello stronzo. Gli darò la caccia e…»
«Scordatelo. Ti sospendo dal servizio attivo con effetto immediato.»
«Che cosa!?» Adesso Qhuinn si alzò in piedi, anche se temeva di innaffiare il Re di vomito verde pisello in stile Esorcista. «Non dire cazzate!»
«Stai dando i numeri e non posso permetterlo. Adesso fai il bravo e chiudi il becco mentre ti portiamo in clinica per farti medicare, razza di sociopatico.»
Un accesso di collera incontrollabile fece riemergere la rabbia cieca, mandandogli di nuovo in tilt il cervello – e mentre la lucidità si faceva da parte davanti a tanta furia, Qhuinn si rese vagamente conto che stava muovendo la bocca come per inveire contro il Re. Ma non aveva la più pallida idea di cosa stava dicendo.
«Sai una cosa?» lo interruppe Wrath in tono annoiato. «È meglio se la chiudiamo qui.»
Questa fu l’ultima cosa che Qhuinn sentì.
L’ultima che vide? Il poderoso pugno di Wrath diretto contro la sua mascella.
Altro che fuochi d’artificio… Dopodiché calò il buio… il buio più totale, le gambe cedettero di schianto e lui crollò per terra a peso morto.
Il suo ultimo pensiero prima di svenire a metà caduta?
Due commozioni cerebrali una in fila all’altra avrebbero fatto miracoli per la sua salute mentale. Eh, già, proprio quello che gli ci voleva a quel punto.
Nella sua stanza al primo piano del palazzo della confraternita, Layla era ferma davanti alle culle, gli occhi che andavano avanti e indietro tra i suoi due gemelli addormentati. I visi di Lyric e Rhamp erano quelli di due angeli, tutti guanciotte e pelle rosea e vellutata, le ciglia scure abbassate, le sopracciglia arcuate come ali. Entrambi respiravano profondamente come se, anche nel sonno, ce la stessero mettendo tutta per diventare più grandi, più forti e più intelligenti.
Era la procreazione al lavoro, la razza della Vergine Scriba che si perpetuava. Un miracolo. L’immortalità per i mortali.
«Ti conviene estrarre la pistola» disse aspra, a voce bassa, avvertendo una presenza alle sue spalle.
«Perché?»
Lei si girò e vide Vishous. Il Fratello, fermo appena oltre la soglia, sembrava un araldo di sventura. Cosa che in effetti era.
«Se vuoi che lasci i miei piccoli dovrai spedirmi nel Fado.»
Non c’era da stupirsi che Wrath avesse mandato lui a portarla via. Con Vishous era come avere a che fare con un iceberg. V era gelido, intrattabile e irremovibile, sempre e comunque. Gli altri Fratelli, in particolare quelli con figli, o anche Phury nella sua veste di Primale, o Tohr, che aveva perso la compagna e un figlio mai nato? Poteva sperare di dissuaderli, convincerli a farla restare o a portare con sé i suoi piccoli.
Vishous no.
E forse neanche Tohr, a ben pensarci: lui voleva uccidere il bastardo con cui lei aveva tradito la confraternita.
«Allora?» disse, guardando la pistola nella fondina ascellare di V.
Vishous scosse la testa. «Non sarà necessario. Dai, andiamo.»
Lei si voltò di nuovo verso i suoi figli. «Qhuinn l’ha ucciso? Xcor? È morto?»
«Fritz è già qua davanti. È un viaggio piuttosto lungo. Dobbiamo partire subito.»
«Neanche fossi un bagaglio da spostare.» Non aveva più lacrime; l’orrore di ciò che stava accadendo era così grande che era come pietrificata. «Xcor è morto?»
Vishous era proprio dietro di lei, quando riprese a parlare; la sua voce la fece rabbrividire. «Cerca di ragionare…»
Lei si girò di scatto, socchiudendo gli occhi. «Non azzardarti a insinuare che sono irragionevole perché non voglio lasciarli.»
«Allora non dimenticare in che posizione ti trovi» ribatté lui, accarezzandosi il pizzetto con la mano guantata. «Potresti finire col perdere tutti i tuoi diritti verso di loro, anche se li hai partoriti tu. Se invece vieni via subito con me ti garantisco – ti garantisco – che li rivedrai presto, forse addirittura entro domani sera.»
Layla si strinse le braccia intorno al corpo. «Tu non hai un potere simile.»
«Io forse no, ma loro sì» disse lui, inarcando un sopracciglio, quello con accanto i tatuaggi.
Così dicendo si fece da parte indicando la porta e lei si tappò la bocca con la mano. Una dopo l’altra, le femmine della casa sfilarono nella stanza e si fermarono a semicerchio intorno a lei. Facevano paura, anche a paragone di Vishous. C’era persino Autumn.
Beth, la Regina, prese la parola, sottovoce per non disturbare i gemelli. «Parlerò io con Wrath. Appena torna dal centro di addestramento. Troveremo una soluzione. Non mi importa un fico secco di quello che è successo tra te e Xcor – da madre a madre, mi importa solo di te e dei piccoli. E mio marito alla fine capirà il mio punto di vista. Fidati.»
Layla corse ad abbracciarla e, mentre Beth la stringeva forte, Bella andò ad accarezzarle i capelli.
«Ci prenderemo cura di loro, mentre sei via» disse la compagna di Z. «Tutte quante noi. Non resteranno da soli neanche per un secondo, quindi cerca di non preoccuparti.»
Si avvicinò anche Cormia, l’altra Eletta, con gli occhi lucidi. «Starò in questa stanza tutto il giorno» così dicendo indicò il letto, vicino alle culle. «Non mi muoverò di qui.»
Ehlena, la shellan di Rehv, annuì. «Nel mio lavoro di infermiera ho curato centinaia di neonati. Li conosco come le mie tasche. A loro due non succederà niente, te lo prometto.»
Dalle altre femmine si levarono mormorii di approvazione; una di loro le allungò un fazzoletto di carta, al che Layla si rese conto che aveva ricominciato a piangere.
Scostandosi da Beth, cercò di soffocare il più possibile i singhiozzi per non fare rumore. Voleva dire qualcosa, voleva esprimere la sua paura e la sua gratitudine…
La Regina le posò le mani sulle spalle. «I tuoi diritti di madre non verranno revocati. Non succederà. E so con esattezza dove andrai a stare. È una casa sicura, protetta nel migliore dei modi; V si è occupato del sistema di sicurezza e io ho curato personalmente l’arredamento dopo che la confraternita l’ha acquistata, un anno fa.»
«È un posto a prova di bomba come il caveau di una banca» dichiarò Vishous. «E poi di giorno sarò il tuo coinquilino.»
«Quindi sono sotto sorveglianza?» Layla si accigliò. «Sono prigioniera?»
Il Fratello fece spallucce. «Sarai sotto protezione. Tutto qua.»
Sì, col cavolo, pensò lei. Ma non poteva farci nulla. Quella era una faccenda più grande di lei e conosceva anche troppo bene il perché di quei provvedimenti.
Tornando da Lyric e Rhamp scoprì che le lacrime scendevano più in fretta di quanto potesse tamponarle col fazzoletto, ormai ridotto a una poltiglia fradicia. Qualcosa nel fatto che le femmine della casa fossero andate lì a sostenerla aveva scongelato il blocco di ghiaccio formatosi in mezzo al suo petto, e adesso le emozioni tornavano prepotentemente a galla.
Voleva prendere in braccio ciascuno dei suoi piccoli, annusare la loro pelle morbida, stringerli al petto, baciarli teneramente reggendo con cautela le loro testoline. Ma se l’avesse fatto non sarebbe riuscita a lasciarli.
Dovette accontentarsi di rimboccare meglio con mano tremante le morbide copertine.
«Piccoli miei» sussurrò. «La vostra mahmen tornerà. Non… vi lascerò…»
Impossibile continuare, la voce era così strozzata che non riusciva a parlare.
Il viaggio che l’aveva condotta a dare alla luce quei due tesori inestimabili era iniziato secoli prima – o almeno questa era la sua sensazione – quando, travolta dal bisogno, aveva scongiurato Qhuinn di montarla. Dopodiché erano arrivati i mesi senza fine della gravidanza e il parto gemellare d’urgenza.
Lungo la strada si erano susseguite tantissime cose apparentemente impossibili, tantissime sfide imprevedibili. Questa però non se la sarebbe mai aspettata: affidare i gemelli alle cure di altri, per quanto competenti e affettuosi fossero questi “altri”, era un’eventualità che proprio non poteva prevedere.
Era troppo spaventosa.
«Andiamo» disse perentorio Vishous. «Prima che arrivi l’alba e le cose si complichino ancora di più.»
Con un’ultima occhiata a ognuno dei suoi piccoli, Layla raccolse le pieghe della veste e uscì dalla stanza. Con la sensazione di avere lasciato dietro di sé il suo cuore e la sua anima.