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Col sangue che ribolliva nelle vene e la testa che
ribolliva di ricordi, Xcor aspettava che Layla gli dicesse di
andarsene. Non aveva mai parlato con nessuno di ciò che gli avevano
fatto, e che aveva fatto a sua volta, al campo militare. Anzitutto
nessuno glielo aveva mai chiesto. I suoi soldati lo avevano fatto o
subìto tutti a loro volta, e nel gruppo non era certo un argomento
di conversazione, qualcosa da rievocare perché suscitava allegria e
tenerezza. E, a parte i suoi soldati, non si era mai imbattuto in
nessuno ansioso di conoscerlo.
«Ebbene?» la incalzò, perentorio. «Cosa dici,
femmina.»
Non era
una domanda. Perché già sapeva cosa avrebbe…
Layla
lo guardò dritto negli occhi e parlò con voce ferma e pacata. «Dico
che la sopravvivenza è un’impresa ardua e talora tragica. E se ti
aspetti che provi qualcosa di diverso dalla tristezza e dal
dispiacere per quanto ti è capitato, ne avrai da
attendere.»
Fu lui
a distogliere lo sguardo per primo. E, mentre il silenzio si
protraeva, non sapeva proprio cosa provava.
Ma
quando, come da una grande distanza, si guardò le mani, vide che
stava tremando.
«Non ti
sei mai chiesto cosa ne è stato dei tuoi genitori?» chiese lei.
«Non ti è mai venuta voglia di trovare un fratello o una sorella,
magari?»
O
almeno così gli parve che avesse detto. La sua mente non funzionava
molto bene.
«Scusa»
farfugliò, «cos’hai detto?»
Il
materasso si spostò quando Layla andò a sedersi accanto a lui, coi
piedi penzoloni giù dal letto, mentre i suoi toccavano terra, visto
che aveva le gambe più lunghe. Qualche istante dopo sentì qualcosa
sulle spalle. Una coperta. Layla lo aveva avvolto nella coperta che
prima era piegata in fondo al piumone.
Era
intrisa del suo odore.
Era
calda, come lei.
«Xcor?»
Quando
lui non rispose, Layla gli girò la faccia verso di sé. Lui la
guardò e gli venne voglia di chiudere gli occhi. L’Eletta era
troppo adorabile per lui e per il suo passato. Era l’incarnazione
della bontà e lui le era già costato troppo: la casa, la serenità
con i suoi figli, il suo…
«L’amore è una comunione di anime» disse lei, posandogli
la mano al centro del petto. «Il nostro amore è la comunione tra la
mia anima e la tua. Nulla potrà cambiare le cose, né il tuo passato
né il nostro presente… o il futuro che ci attende – quale che sia –
una volta separati. Non da parte mia, almeno.»
Lui
inspirò a fondo. «Voglio crederti.»
«Non è
questione di credere o non credere a me. È una legge universale.
Puoi discuterla quanto ti pare… oppure accettarla semplicemente per
ciò che è: una benedizione.»
«E se
invece avesse ragione lei?»
«Chi?
Di chi parli?»
Lui
distolse lo sguardo, abbassandolo sui piedi nudi. «La mia bambinaia
mi diceva sempre che ero maledetto. Che ero cattivo. Quando mi…»
s’interruppe bruscamente, preferendo sorvolare sulle botte che
aveva preso. «Mi diceva che ero marcio. Che la mia faccia mostrava
il marcio che avevo dentro. Che la vera piaga purulenta era dentro
di me.»
Layla
scosse la testa. «Allora parlava di se stessa. Stava rivelando la
verità su se stessa. Come si fa a dire certe cose a un bambino
innocente? Come si fa a sconvolgergli la mente, a terrorizzarlo in
questo modo? Se esiste un’altra definizione di cattiveria e
marciume, io non la conosco.»
«Tu
vedi troppa bontà dentro di me.»
«Ma è
quella che mi hai mostrato tu stesso. Sei sempre stato buono con
me.»
Gli
prese la mano che teneva stretta al ginocchio e la strinse con
forza, mentre lui cercava disperatamente di accettare la sua
fedeltà e la sua gentilezza. No, Layla non avrebbe mai capito la
portata delle sue atrocità, e forse era meglio così: l’avrebbe
salvata dal senso di colpa per essersi sbagliata nel
giudicarlo.
«Devo
dirti una cosa.»
Percependo la tensione nella sua voce, Xcor si voltò
verso di lei. «Cosa?»
Adesso,
pensò, adesso gli avrebbe detto di andare via.
«Ti
devo delle scuse.» Così dicendo, Layla gli lasciò andare il palmo e
strinse le mani con forza; sembrava faticasse a trovare le parole.
«Ho fatto una cosa che forse non avrei dovuto fare… e che
sicuramente avrei dovuto dirti già da tempo. E la mia coscienza non
mi dà pace.»
«Di
cosa si tratta?»
Quando
l’angoscia che la tormentava parve intensificarsi, fu facile e
insieme confortante per lui focalizzarsi su ciò che la
turbava.
«Nulla
di ciò che hai fatto potrebbe mai irritarmi, Layla.»
Lei
parlò di slancio, pronunciando le parole in fretta, ma con
chiarezza. «Su al Santuario, la dimora delle Elette, c’è una grande
biblioteca piena di biografie. Quegli scaffali, quei volumi,
custodiscono i particolari della vita di tutti i maschi e le
femmine della specie. Furono le Sacre scrivane a compilarli, dopo
avere visto nelle ciotole delle visioni tutti gli eventi, belli e
brutti, verificatisi sulla Terra. È una cronaca completa della
razza: battaglie e commemorazioni, festività e carestie, gioia e
tristezza… nascite e morti.»
A quel
punto fece una pausa. «Continua» la incoraggiò lui, col cuore che
accelerava.
Layla
trasse un respiro profondo. «Stavo cercando di saperne di più. Su
di te.»
«Hai
letto la cronaca che mi riguarda.»
«Sì.»
Lui
gettò da parte la coperta che gli aveva messo sulle spalle e si
alzò, camminando avanti e indietro. «Perché mi hai chiesto del mio
passato, allora? Perché costringermi a dire…»
«Nel
libro non c’è tutto.»
«Hai
appena detto il contrario.»
«Non ci
sono i sentimenti. Né i pensieri. E non sapevo che…» si schiarì la
voce. «Sapevo che eri stato al campo militare, ma cosa vi era
accaduto di preciso non era stato trascritto.»
Lui si
fermò e si girò verso di lei. Era magnificamente nuda, il suo corpo
spettacolare, coperto solo dalla splendida chioma bionda, offerto
al suo sguardo nella calda camera da letto. Era nervosa, ma non
spaventata, e una volta di più lui si chiese perché mai una come
lei volesse avere a che fare con uno come lui.
Che
cosa le passava per la testa?
«Dunque
cos’hai letto sul mio conto?»
«So chi
era tuo padre…»
«Fermati» la bloccò subito lui, alzando una mano, la
fronte e il labbro superiore imperlati di sudore. «Non dire
altro.»
«Mi
dispiace tanto» disse Layla, avvolgendosi nella coperta che lui
aveva gettato via. «Avrei dovuto dirtelo. È solo che…»
«Non
sono in collera.»
«Ah,
no?»
Lui
scosse la testa, ed era sincero. «No.»
Dopo
qualche istante andò a prendere i calzoni che aveva dovuto prendere
in prestito e se li infilò. Poi fece altrettanto con la
T-shirt che
indossava quando gli avevano sparato. Esaminò il buco nella stoffa,
nel punto in cui il proiettile lo aveva colpito di striscio, poi si
controllò la ferita. Era guarita.
Grazie
al sangue di prim’ordine della Eletta Layla.
«So
cosa stai per chiedere» disse in tono distaccato.
«Allora, vuoi sapere chi era?»
Lui
riprese a camminare avanti e indietro, scalzo, da un capo all’altro
della stanza. «Sai, avevo una fantasia… da ragazzo. Fantasticavo
parecchio, di solito quando la bambinaia mi teneva incatenato fuori
dal cottage, di notte…»
«Incatenato?» ripeté debolmente Layla.
«… per
passare il tempo. Una delle mie fantasie preferite era immaginare
chi fosse mio padre. Immaginavo che fosse un prode guerriero a
cavallo di un maestoso stallone. Una sera sbucava fuori dai boschi
e mi portava via, in sella, dietro di lui. Era forte e fiero di me,
nei miei sogni a occhi aperti, e noi due eravamo uguali,
interessati solo all’onore e al bene della specie. Valorosi
guerrieri, fianco a fianco.»
Sentiva
su di sé lo sguardo penetrante di Layla, e non gli piaceva. Si
sentiva già abbastanza vulnerabile. Ma, come quando bisogna
rimuovere una pallottola conficcata nella carne, doveva andare fino
in fondo.
«Mi
aiutava a tirare avanti. Al punto che, anche dopo essermi rifugiato
in vari orfanotrofi, non riuscivo mai a restarci più di tanto
perché temevo sempre che lui potesse recarsi in quel cottage senza
trovarmi. In seguito, quando ho incrociato il Carnefice sulla mia
strada e per convincermi a seguirlo lui mi ha mentito, dicendo che
era mio padre, ero così disperato che sono cambiato per compiacere
quel mostro di crudeltà. E così facendo ho commesso uno dei più
grandi errori della mia vita.» Scosse la testa. «Quando ho scoperto
che era tutta una menzogna mi sono sentito tradito, ma è stato
anche come tornare bambino. Ho convissuto tutta la vita col rifiuto
dei miei genitori. Hanno avuto un paio di secoli per pentirsi di
ciò che hanno fatto e provare a cercarmi, ma hanno scelto di non
farlo. Scoprire adesso come si chiamano, che fine hanno fatto o
dove vivono non cambierebbe niente, né per loro né per
me.»
I
bellissimi occhi di Layla erano lucidi; si stava sforzando di
essere forte per lui.
E lui
rimpianse di averla fatta soffrire per l’ennesima
volta.
«Non
sono arrabbiato con te» ripeté, andando a inginocchiarsi ai suoi
piedi. «Non potrei mai esserlo.»
Le posò
le mani sulle cosce con un sorriso forzato. Voleva rassicurarla,
confortarla, tranquillizzarla, ma anche lui era profondamente
scosso. Parlare con lei aveva scoperchiato il vaso di Pandora del
passato e nella sua mente si rincorrevano immagini d’ogni sorta; i
ricordi – della sua infanzia, del campo militare e degli anni
seguenti, passati coi suoi soldati – si accalcavano come invasori
davanti a un cancello, minacciando di prendere il
sopravvento.
Ecco
perché il passato doveva restare sepolto, decise, e perché verità a
lungo celate dovevano rimanere tali. Portarle allo scoperto non
avrebbe risolto niente, sollevava solo un gran polverone che ci
avrebbe messo tantissimo tempo a placarsi.
La
buona notizia? Aveva dato appuntamento ai suoi compagni alle
quattro di quella mattina, il che gli forniva un ottimo pretesto
per porre fine a quella conversazione. E pazienza se erano solo le
due passate da poco. Aveva bisogno di stare un po’ da solo per
ricomporsi.
«Devo
andare.»
«A
cercare i tuoi soldati.»
«Sì.»
Layla
inspirò a fondo, per farsi forza probabilmente. «Ti rimetterai il
giubbotto antiproiettile? Nel caso incontrassi altri
lesser?»
Con un
gesto sbrigativo della mano, teso a rassicurarla, lui si rimise in
piedi. «Sì, ma non preoccuparti. Non ce ne sono quasi più, ormai.
Non ricordo l’ultima volta che ne ho visto uno.»
Il
Primo Pasto con i genitori di Blay era, almeno a prima vista, un
quadretto perfettamente idilliaco intorno al tavolo della prima
colazione: una coppia di innamorati, due splendidi bebè e un paio
di nonni in una cucina che sembrava uscita da una di quelle riviste
femminili del tempo che fu.
La
realtà, però, era ben lontana dalla perfezione.
Qhuinn
si spaparanzò sulla sedia e posò la tazza sullo stomaco. Pessima
idea, visto quello che stava succedendo nelle sue viscere. Per far
contenta la Lyric più grande e rendere onore a tutto il suo
spignattare, si era pappato quattro uova, sei toast alla francese,
tre tazze di caffè e un succo d’arancia. Ah, e anche tre gelati al
gusto di After Eight.
Ingeriti in onore della famigerata mentina digestiva dei
Monty Python. Per cui sì, era possibilissimo che stesse per
esplodere imbrattando tutta quella bella cucina, col suo
rivestimento in legno d’acero, il pavimento di legno e le pentole
di rame appese per bellezza sopra l’isola.
«Ancora
un po’ di toast alla francese?» chiese Lyric con un
sorriso.
Quando
gli allungò il piatto da portata, il conato di vomito in agguato
premette il tasto del playback e lui fu lì lì per rigettare sugli
avanzi tutti i manicaretti che lei aveva cucinato.
«Penso
che prenderò una boccata d’aria prima di passare ai
secondi.»
O erano
gli ottavi?
«Hai
fatto una bella scorpacciata, figliolo» disse il papà di Blay,
mettendosi comodo a sua volta. «Era da un po’ che non facevi un
buon pasto? Cos’è che vi dà da mangiare Fritz, cavolo riccio e
tofu?»
«Oh, sa
com’è.» A dire il vero ultimamente non
ho molta fame, dato che il mio compagno se n’è andato di
casa. «Ho avuto un sacco da
fare.»
«Lavori
troppo» disse Lyric, riprendendo in braccio la sua omonima. «Vero,
piccolina? Il tuo papà lavora troppo.»
La
piccola Lyric emise un versetto delizioso: tempismo perfetto… se il
suo intento era mandare in brodo di giuggiole la
nonna.
«Assomiglia così tanto a Layla.» Lyric guardò il
suo hellren. «Non trovi anche tu? Da grande sarà
bellissima.»
Rocke
annuì e levò la tazza di caffè in un brindisi a Qhuinn e Blay.
«Meno male che voi due ci sapete fare con una pistola in
mano.»
«Lyric
imparerà le tecniche di autodifesa» disse Blay. «Così potrà badare
a se stessa e…» a quel punto s’interruppe bruscamente e guardò
fuori dalla finestra.
«Esatto» mormorò Qhuinn. «E glielo insegnerai tu, giusto
Blay?»
Quando
suo figlio non rispose, Lyric guardò Qhuinn. «Sto monopolizzando
tua figlia, vero? È tutta la sera che non la tieni in
braccio.»
Girò la
piccola verso di lui, per passargliela, ma alla vista di quei
lineamenti precisi identici a quelli della sua mahmen, lui si ritrasse – ma
si riprese in fretta.
«In
realtà sto bene così. Comunque grazie.»
Poi
fece gran mostra di piegarsi di lato per parlare con Rhamp, in
braccio al papà di Blay. «E insegneremo a combattere anche a te.
Giusto, giovanotto?»
«Volete
davvero farlo partecipare alla guerra?» disse Lyric. «Voglio dire,
potrebbe farsi strada nel mondo in un altro modo…»
«È il
figlio di un Fratello» intervenne Blay, alzandosi. «Perciò
diventerà un guerriero come suo padre.»
Così
dicendo, prese il suo piatto e quello della sua mahmen e si avviò verso il
lavandino.
«Oh,
ecco, tienila tu, Qhuinn» disse la mamma di Blay, accennando a
passargli sua figlia.
Ma lui
scosse la testa. «Ti spiace metterla nel seggiolino? Io do una mano
a lavare i piatti.»
«E tu»
mormorò Rocke rivolto alla sua shellan, «devi assolutamente
tenere a riposo quel piede. Su di sopra a letto.
Forza.»
«Ma
devo mettere in ordine.»
«No»
disse con fermezza Blay. «Tu cucini e io pulisco,
ricordi?»
«Dai
retta a tuo figlio, Lyric.»
Mentre
la coppia di coniugi ricominciava a bisticciare nel solito modo
rispettoso ed educato, Qhuinn cercò disperatamente di incrociare lo
sguardo di Blay, spostando insieme a lui sull’isola piatti e
vassoi, tazze e caraffe.
Ma Blay
non voleva proprio saperne. Anzi, per qualche motivo sembrava
livido – anche se lo nascondeva bene, mentre i suoi genitori si
preparavano a levare le tende verso la camera da letto, dove Lyric
avrebbe potuto far riposare il piede infortunato.
La
mamma di Blay abbracciò forte Qhuinn e lui ricambiò con entusiasmo.
«Tornerò presto» le promise.
«Ti
conviene. E fammi il piacere di portare anche i miei
nipotini.»
Il papà
di Blay la prese in braccio. «Torno giù tra un minuto a darvi una
mano, ragazzi.»
«Oppure» intervenne Lyric, «potresti guardare un po’ di
televisione insieme alla tua shellan.»
«Ma qui
è tutto in disordine…»
«Sono
grandi, questi due. Se la caveranno benissimo da soli. Dai, c’è una
trasmissione sulla prossima estinzione di massa che volevo guardare
con te.»
«Non
vedo l’ora» commentò con affettuoso sarcasmo il papà di
Blay.
Mentre
Rocke si avviava verso le scale con in braccio la sua
shellan, Qhuinn
era pronto a giurare che lei gli aveva annuito per la serie “Ho
tutto sotto controllo. Voi due fate pure con comodo”…
«Mi
dici cosa cavolo ti prende?»
Qhuinn
trasalì; stava per tornare verso il tavolo a prendere i tovaglioli,
ma si bloccò sui due piedi. «Eh?»
Blay si
appoggiò contro il lavandino e incrociò le braccia sul petto. «È
tutta la sera che non la guardi. Eviti di toccarla. Cosa cavolo ti
prende?»
«Scusa,
ma non ti seguo…» disse Qhuinn, scuotendo la testa.
Blay
puntò l’indice verso i seggiolini. «Lyric.»
«Non so
di cosa parli.»
«Palle.»
Quando
Blay lo guardò in cagnesco, lui sentì tornare, decuplicato, il
senso di spossatezza. «Senti, non…»
«Lo so
che non sono suo padre, ma…»
«Oddio,
no, ancora» disse lui, abbandonando la testa all’indietro e
fissando il soffitto a cassettoni. «Ti prego, non
ricominciare…»
«… non
me ne starò qui a guardarti mentre la ignori soltanto perché lei
assomiglia a Layla e tu non riesci a sopportare l’Eletta. Non te lo
permetterò, Qhuinn. Non è giusto nei confronti di tua
figlia.»
Lui
stava per ribattere che non capiva, però, sì, no… preferiva non
imboccare quella strada.
Blay
puntò di nuovo l’indice verso la piccola Lyric. «È un tesoro di
vampira, e se non incasinerai i suoi prossimi venticinque anni o
giù di lì diventerà una femmina spettacolare. Non mi importa se non
compaio sui loro certificati di nascita e non ho il diritto di
occuparmene…»
«Senza
offesa, piantala con questa storia. Ormai non sta più in
piedi.»
Mentre
Blay stringeva gli occhi, quasi preparandosi a uscire dai gangheri,
lui infilò la mano dentro la borsa dei pannolini e posò un fascio
di fogli sul bancone di granito.
«Ho
sistemato tutto quanto» dichiarò, spingendoli verso
Blay.
«Cosa?»
Con un
sospiro lungo e profondo, Qhuinn si trascinò fino al tavolo e si
abbandonò pesantemente su una sedia. Poi, giocherellando con un
tovagliolo tutto spiegazzato, annuì in direzione dei
documenti.
«Leggili e basta.»
Blay
era chiaramente in vena di litigare, ma qualcosa doveva averlo
toccato, qualche specie di vibrazione, o forse l’espressione di
Qhuinn.
«Perché?» chiese.
«Vedrai.»
Mentre
Blay prendeva le carte e le sfogliava, lui seguì ogni minima
sfumatura di quel bel volto familiare, i corrugamenti della fronte,
la contrazione – e poi la distensione – della bocca e della
mascella, lo choc e l’incredulità che presero il posto della
collera.
«Che
cos’hai fatto?» chiese Blay, quando alla fine alzò gli
occhi.
«Mi
pare piuttosto evidente.»
Blay
attaccò a rileggere e Qhuinn fissò i due seggiolini, i neonati
dentro di essi, le due paia di occhietti che cominciavano a
chiudersi.
«Non
posso permettertelo» disse alla fine Blay.
«Troppo
tardi. In calce c’è il sigillo del Re.»
Blay lo
raggiunse al tavolo e quasi crollò sulla sedia che prima era
occupata da sua madre. «È…»
«Ti ho
ceduto i miei diritti di genitore. Adesso, legalmente, sei tu il
loro padre.»
«Non
devi farlo, Qhuinn.»
«Col
cavolo. Ho fatto seguire alle parole i fatti» ribatté lui,
indicando i fogli. «Mi sono dichiarato incapace e inidoneo – e,
sai, quando scarichi un’arma da fuoco nella cameretta dei tuoi
figli, è facile dimostrare che è la verità. E Saxton ha verificato
i precedenti. Abbiamo portato tutto a Wrath e lui l’ha
approvato.»
Non
proprio subito, naturalmente. Ma alla fine della fiera cosa poteva
fare il Re? Specie quando lui gli aveva spiegato il nocciolo della
questione.
«Non
riesco a crederci…» Blay scosse nuovamente la testa. «Cos’ha detto
Layla?»
«Niente. Questa cosa non c’entra niente con
lei.»
«Ma è
la loro mahmen.»
«E
adesso tu sei il loro padre. Diglielo, se vuoi, oppure no. Non mi
interessa.» Blay si accigliò; Qhuinn buttò da parte il tovagliolo e
si protese in avanti sulla sedia. «Senti, io sarò il loro padre in
eterno. Nelle loro vene scorre il mio sangue. Niente e nessuno
potrà mai cambiare questo dato di fatto. Io li ho generati e farò
sempre parte della loro vita, mica lo sto negando. Quello che sto
facendo è darti un’autorizzazione legale. Quando ho perso la mia
maledetta testa in quella maledetta stanza…? Quella era emotività.»
Indicò di nuovo i documenti. «Questa è realtà.»
Blay
guardava fisso le carte. «Non riesco proprio a credere che tu abbia
fatto una cosa del genere.»
Qhuinn
si alzò in piedi e cominciò a legare i piccoli, partendo da Rhamp.
Quando passò a Lyric cercò di fare in fretta. Cercò di non
guardarla in faccia.
Un’emozione inquietante lo pervase, ma lui la scacciò.
«Domani al tramonto devo lasciarli a Layla. In teoria dovrei essere
sul campo, e così pure tu – ho controllato il calendario dei turni.
Perciò, a meno che tu non voglia cambiare turno, domani sera prima
di uscire ci vediamo a casa.»
Prima
di sollevare i seggiolini si fermò ancora un attimo. «A meno che tu
non voglia venire via subito con me.»
Non si
stupì nel vedere che Blay scuoteva la testa.
«Okay.
Spero di vederti, domani. Vieni in anticipo, se vuoi stare un po’
coi tuoi figli prima che li prenda lei.»
Ebbe il
buonsenso di non suggerire che magari poteva fargli piacere vedere
anche lui, oltre ai piccoli.
Tirò su
i gemelli, girò sui tacchi e si avviò all’uscita. Lungo il
corridoio sperò che Blay, magari colto da un’improvvisa
illuminazione, lo raggiungesse di corsa.
Quando
non accadde, aprì la porta e uscì.