1
Montagne di Caldwell, New York, oggi
La Confraternita del Pugnale Nero lo stava tenendo in vita per poterlo uccidere, pensò Xcor.
Visto il complesso delle sue azioni terrene, che nel migliore dei casi erano state violente e nel peggiore decisamente turpi, sembrava una fine appropriata.
Era nato in una notte d’inverno, durante una bufera di neve memorabile. Nel fondo di una grotta umida e sudicia, mentre raffiche di un vento gelido spazzavano il Vecchio Continente, la femmina che lo aveva portato in grembo aveva strillato e sanguinato per dare alla luce il figlio chiestole dal Fratello Hharm.
Era stato disperatamente desiderato.
Finché non era uscito del tutto dal grembo materno.
Quello era stato l’inizio della sua storia… che alla fine lo aveva portato lì.
In un’altra grotta. In un’altra notte di dicembre. Come al momento della sua nascita il vento lo accolse ululando, anche se questa volta aveva solo ripreso conoscenza, non era stato espulso verso una vita indipendente.
Come un neonato, tuttavia, aveva pochissimo controllo sul proprio corpo. Non riusciva a muoversi, e non ci sarebbe riuscito neanche senza le catene e le sbarre d’acciaio che gli bloccavano torace, fianchi e cosce. Dietro la sua testa, macchine che facevano a pugni con quell’ambiente rustico emettevano suoni metallici monitorando respirazione, frequenza cardiaca, pressione sanguigna.
Con la difficoltà tipica degli ingranaggi arrugginiti, il suo cervello riprese a funzionare e, quando finalmente i pensieri si unirono fino a formare sequenze razionali, rammentò la serie di eventi sfociata nella sua detenzione per mano di quelli che un tempo erano i suoi nemici: un’aggressione alle spalle, una caduta, una commozione cerebrale, un ictus o simili lo avevano steso lì, attaccato a un respiratore. Lui, il capo della Banda dei Bastardi…
… alla mercé della inesistente misericordia dei Fratelli.
Rinvenuto una o due volte durante la sua prigionia, aveva notato la presenza di alcune guardie e il luogo in cui era recluso… un corridoio sotterraneo inspiegabilmente tappezzato di vasi di ogni tipo. Quegli sprazzi di consapevolezza non erano mai durati a lungo, tuttavia, data la fragilità della sua arena mentale.
Stavolta però era diverso. Qualcosa nella sua mente era cambiato, lo sentiva. Ciò che prima era ferito era finalmente guarito e lui era riemerso dalla foschia di quel limbo in bilico tra la vita e la morte – e restava saldamente aggrappato alla vita.
«… davvero preoccupante è Tohr.»
La coda della frase pronunciata da una voce maschile gli penetrò nell’orecchio come una serie di vibrazioni, la cui traduzione giunse a scoppio ritardato. Mentre le parole si rimettevano al passo con le sillabe, Xcor girò gli occhi. Due figure armate fino ai denti gli davano le spalle. Non volendo svelare il suo cambiamento di condizione, lui richiuse le palpebre. Non prima, tuttavia, di aver preso debitamente nota della loro identità.
«Nah, Tohr è a posto.» A quel punto si udì un lieve sfregamento seguito da un intenso aroma di tabacco. «E se sgarra arrivo io.»
La voce profonda che aveva parlato per prima divenne caustica. «Per rimetterlo in riga… o per aiutarlo a far fuori questo pezzo di merda?»
La risata del Fratello Vishous faceva pensare a quella di un serial killer. «Non hai molta considerazione del sottoscritto, eh?»
Mi sorprende che non stiamo dalla stessa parte, pensò Xcor: quei due erano assetati di sangue quanto lui.
Una simile alleanza era impensabile, tuttavia. Bastardi e Fratelli si erano sempre schierati su versanti opposti in relazione alla sovranità di Wrath; lo spartiacque era stato tracciato dalla traiettoria del proiettile che Xcor aveva ficcato nel collo del legittimo condottiero della razza dei vampiri.
E ben presto quel tradimento gli sarebbe costato molto caro.
Il paradosso era, naturalmente, che da allora una forza eguale e contraria si era intromessa nel suo destino, dirottando le sue ambizioni e il suo interesse lontano, lontanissimo dal trono. I Fratelli non ne sapevano nulla – e, anche sapendolo, se ne sarebbero infischiati: oltre a condividere la passione per la guerra, un’altra convinzione li accomunava: la clemenza è per i deboli, perdonare è un gesto patetico, la pietà è una qualità tipica delle femmine, mai dei soldati.
Se anche si fossero resi conto che non era più animato da intenti aggressivi verso Wrath, i Fratelli non gli avrebbero risparmiato la resa dei conti che si era ampiamente meritato. Dopo tutto ciò che era accaduto, non era amareggiato o adirato per ciò che lo attendeva. Era la natura del conflitto.
Era rattristato, però – cosa insolita per la sua indole.
Un’immagine gli tornò in mente, togliendogli il respiro: quella di una femmina alta e slanciata, con indosso la tunica bianca delle sacre Elette della Vergine Scriba. I lunghi capelli biondi scendevano fluenti sulle spalle, scompigliati da una leggera brezza all’altezza dei fianchi, gli occhi erano verde giada, il sorriso una benedizione che egli non aveva fatto nulla per meritare.
Era stata l’Eletta Layla a cambiare tutto, per lui, tramutando la confraternita da bersaglio a tollerabile compagnia, da nemico a possibile coinquilino del mondo.
La conosceva solo da un anno e mezzo, ma in quel breve lasso di tempo lei aveva influenzato più di chiunque altro la sua anima nera, facendolo evolvere molto più di quanto lui avrebbe mai ritenuto possibile.
Il Dhestroyer, il compagno di Vishous, riprese la parola. «Ti dirò, io sono perché Tohr lo squarti, cazzo. Se l’è guadagnato.»
Il Fratello Vishous imprecò. «Tutti noi ce lo siamo guadagnato. Sarà dura lasciargli qualcosa contro cui accanirsi, alla fine.»
Ecco il dilemma, pensò Xcor dietro le palpebre abbassate: l’unica via d’uscita possibile da quello scenario fatale era svelare quell’amore inatteso per una femmina che non era sua, che non lo era mai stata né mai lo sarebbe stata.
Ma per nulla al mondo avrebbe sacrificato l’Eletta Layla.
Neanche per salvarsi.
Tohr attraversava la pineta sulla montagna della confraternita; il terreno ghiacciato scricchiolava sotto i suoi stivali e un vento teso gli soffiava dritto in faccia. Lo tallonavano i suoi cari defunti, li sentiva dietro di sé, vicinissimi come la sua ombra, un tetro corteo funebre, tangibile come una catena.
La sensazione di essere inseguito dai suoi morti gli fece pensare a tutte quelle trasmissioni televisive sul paranormale, quelle che cercano di stabilire se i fantasmi esistono per davvero. Che gran mare di cazzate. L’isteria con cui gli umani si interessavano a presunte entità nebulose che fluttuavano su per scalinate e facevano scricchiolare antiche dimore sotto i loro passi disincarnati era proprio tipica di quella specie inferiore, egocentrica e melodrammatica. Motivo di più per odiarli.
E, come al solito, non coglievano il nocciolo della questione.
Certo che i morti ti perseguitavano, cazzo, ti facevano scorrere su per la nuca le loro dita gelide di ricordi finché non sapevi più se gridare perché ti mancavano da morire… o perché volevi essere lasciato in pace.
Assillavano le tue notti e tormentavano le tue giornate, lasciandosi dietro un campo minato di stimoli dolorosi.
Erano il tuo primo pensiero e anche l’ultimo, il filtro che cercavi di spingere via, l’invisibile barriera tra te e tutti gli altri.
A volte facevano parte di te più ancora dei vivi, quelli che potevi effettivamente toccare e stringere.
Per cui no, non c’era nessun bisogno di una trasmissione idiota per dimostrare una cosa ampiamente risaputa: anche se aveva ritrovato l’amore con un’altra femmina, la sua prima shellan, Wellsie, e il figlio mai nato che portava in grembo quando era stata assassinata dalla Lessening Society, non lo abbandonavano mai, come una seconda pelle.
E adesso la casa della confraternita era stata funestata dall’ennesimo lutto.
La compagna di Trez, Selena, era trapassata nel Fado pochi mesi prima, uccisa da una malattia per cui non c’era cura, sollievo o spiegazione.
Da allora Tohr non era più riuscito a dormire come si deve.
Riportando l’attenzione sui sempreverdi tutto intorno, si chinò per togliere di mezzo un ramo, poi girò intorno a un tronco caduto. Avrebbe potuto smaterializzarsi fino alla sua destinazione, ma il cervello si dibatteva con tale violenza dentro la prigione del cranio che dubitava di riuscire a trovare la concentrazione necessaria.
La morte di Selena era stata un immenso motivo di dolore per lui, un evento che, pur non colpendolo in prima persona, lo aveva scosso profondamente… si sentiva un po’ come una di quelle palle di vetro con dentro la neve: i fiocchi, dentro di lui, continuavano a turbinare dappertutto e non volevano saperne di posarsi.
Lui si trovava al centro di addestramento quando Selena era stata chiamata al Fado, e il momento della sua dipartita non era stato silenzioso, ma contrassegnato da un verso strappato all’anima di Trez, un gemito che era l’equivalente sonoro di una pietra tombale – Tohr lo conosceva anche troppo bene: era lo stesso che aveva emesso lui quando gli era stata comunicata la morte della sua compagna.
Per cui, sì, sulle ali dello strazio dell’amato, Selena era salita dalla Terra al Fado…
Trascinarsi fuori da quella spirale angosciosa era come cercare di tirare fuori un’auto da un burrone, lo sforzo richiesto era tremendo, i progressi lenti e penosi.
Eppure continuò a inoltrarsi nei boschi, tra gli alberi, nella notte invernale, calpestando rametti e aghi di pino, coi suoi fantasmi che lo seguivano sussurrando.
La Tomba era il sancta sanctorum della Confraternita del Pugnale Nero, il luogo nascosto dove avevano luogo le affiliazioni, dove si tenevano riunioni segrete e si custodivano i vasi dei lesser rispediti all’Omega. Situata in un labirinto naturale nelle viscere della Terra, era tradizionalmente vietata a chiunque non fosse diventato un Fratello tramite la consueta cerimonia.
Tale regola, tuttavia, aveva dovuto piegarsi a qualche eccezione, almeno limitatamente al vastissimo atrio.
Giunto davanti all’ingresso, tutt’altro che appariscente, di quel dedalo di caverne, Tohr si fermò e sentì montare la rabbia.
Per la prima volta, pur essendo un Fratello, non era il benvenuto.
E tutto per colpa di un traditore.
Lì dentro, al di là del cancello, a metà del corridoio in discesa foderato di scaffali, c’era Xcor, adagiato sopra a una lettiga, monitorato e mantenuto in vita da sofisticate apparecchiature.
E finché quel bastardo non si svegliava per poter essere interrogato, Tohr aveva il divieto di entrare.
E i suoi fratelli avevano ragione a non fidarsi di lui.
Chiuse gli occhi e rivide il suo Re colpito al collo, rivisse il momento in cui la vita di Wrath scivolava via insieme al suo sangue rosso, rivide la scena in cui si era visto costretto a salvare l’ultimo vampiro purosangue del pianeta praticandogli un foro nella gola e infilandogli nell’esofago un tubo ricavato dal suo zaino idrico.
Era stato Xcor a ordinare l’attentato. Era stato Xcor a dire a uno dei suoi soldati di ficcare una pallottola nella carne di quel vampiro di valore e a complottare con la glymera per rovesciare il sovrano legittimo – ma quello stronzo aveva fallito. Wrath era sopravvissuto, incredibilmente e malgrado tutto, e la prima elezione democratica nella storia della razza lo aveva confermato alla testa di tutti i vampiri, posizione che ora occupava grazie al consenso popolare, invece che in virtù del suo lignaggio.
Tiè, gran figlio di puttana, prendi e porta a casa.
Tohr strinse i pugni, ignorando senza difficoltà il cigolio dei guanti di pelle e la costrizione in corrispondenza delle nocche. Sentiva solo un odio profondo, incurabile come una malattia mortale.
Il fato aveva deciso di portarsi via tre delle persone che più gli stavano a cuore: prima gli aveva scippato la sua shellan e il suo figlioletto e poi si era preso l’amore di Trez. Vogliamo parlare dell’equilibrio universale? Okay. Lui voleva il suo, di equilibrio, e il solo modo per ottenerlo era spezzare il collo di Xcor e strappargli dal petto il cuore ancora caldo.
Era giunto il momento di mettere fuori uso la fonte di tanto male e sarebbe stato proprio lui a pareggiare i conti, maledizione.
Il tempo era scaduto. Per quanto rispettasse i suoi fratelli, era stufo di raffreddare i bollenti spiriti. Quella sera ricorreva un triste anniversario per lui, e aveva intenzione di fare un regalino speciale al suo cordoglio.
La festa poteva cominciare.