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Layla guardava i tre vampiri tremando come una
foglia, tanto che faticava a tenere sollevato il busto da terra.
Cosa le dava il po’ di forza che aveva? Semplice: aveva in braccio
Lyric e Rhamp; le pieghe della vestaglia li avvolgevano
proteggendoli dal gelo della stanza e silenziando i loro pianti…
per il momento.
Si
focalizzò sul Re; avrebbe voluto asciugarsi gli occhi, ma non
voleva lasciar andare neanche per un secondo i suoi
piccoli.
«Lei ha
continuato a vedere Xcor» disse Qhuinn, col fiato che usciva in
candide nuvolette. «Alle nostre spalle. Per tutto questo tempo…
mentre era incinta. Voglio che venga privata del diritto di vedere
i miei figli e la voglio fuori da questa casa, o perché condannata
a morte o perché messa al bando… questo sta a te
deciderlo.»
Wrath
girò il volto crudele e aristocratico in direzione del Fratello.
«Grazie per avere illustrato il mio ruolo in questa vicenda, razza
di imbecille. Quanto alla messa al bando, ora come ora sei
tu quello su cui
mi sto interrogando, non lei.»
«Prova
un po’ tu a scoprire che Beth è andata a letto col capo della Banda
dei Bastardi mentre era…»
«Bada a
come parli» ringhiò Wrath. «Stai camminando su un cazzo di filo del
rasoio e rischi di cadere e farti molto male. Vai fuori, va’.
Voglio parlare a tu per tu con Layla.»
«Non ho
nessuna intenzione di lasciare i miei figli.»
Il Re
guardò Blay. «Portalo fuori di qui. Con la forza, se
necessario…»
«Io ho
dei diritti!» sbraitò Qhuinn. «Ho…»
Wrath
piegò il busto in avanti. «Tu hai solo quello che ti concedo io!
Sono il tuo signore e padrone, stronzo, per cui chiudi il becco e
esci da questa stanza. Parlerò con te quando mi andrà di farlo.
Capisco che sei sconvolto, sarei perfino disposto a rispettare il
tuo stato d’animo se non continuassi a comportarti come se fossi il
padrone dell’universo. Ma ora come ora la mia unica preoccupazione
sono i tuoi figli perché mi pare chiaro che sono fuori dal tuo
radar…»
«Come
cazzo fai a dire una cosa del genere…»
«Perché hai appena puntato
una pistola contro la loro mahmen!»
Accanto
a Qhuinn, Blay aveva la faccia di uno che ha appena visto la morte
in faccia; con un’espressione a metà tra l’orrore e lo sconforto,
continuava a passarsi le mani tremanti tra i capelli
rossi.
«Io
sono il Re, questa è casa mia. Portalo fuori di qui, Blay: è un
ordine.»
Blay
disse qualcosa sottovoce a Qhuinn, dopodiché quest’ultimo uscì
dalla stanza a passo di carica facendo scricchiolare sotto gli
stivali il tappeto ghiacciato. Blay lo seguì come avrebbe fatto una
guardia del corpo.
Anche
se, con ogni probabilità, erano gli altri a dover essere protetti
da Qhuinn.
Rimasta
da sola con Wrath, Layla inspirò a fondo, fino a sentire male al
petto. «Posso mettere i piccoli nella culla, mio
Signore?»
«Sì,
sì. Fai tutto quello che devi.»
Aveva
le gambe molli, come disossate. Ora che la rabbia era passata
temeva di non avere la forza di reggersi in piedi tenendo
saldamente in braccio entrambi i gemelli. Faticò a decidere quale
dei due mettere giù; alla fine posò con cautela Rhamp sul tappeto
orientale, poi strinse Lyric con entrambe le braccia e si alzò
faticosamente in piedi, zoppicando fino alle culle. Dopo averla
deposta nel suo nido soffice, tornò a prendere il maschietto, che
aveva già cominciato ad agitarsi per l’assenza di sua sorella. Una
volta rimboccate bene le coperte a tutti e due per tenerli al
caldo, si fece forza e si girò verso il Re.
«Posso
sedermi?» chiese con un filo di voce.
«Sì,
sarà meglio.»
«Non
c’è niente davanti a te, mio Signore, se mai volessi venire un po’
più avanti.»
Lui
ignorò i suoi tentativi di aiutarlo a spostarsi, cieco com’era, in
quella stanza poco familiare. «Ti spiace dirmi cosa diavolo sta
succedendo?»
Qhuinn
non riusciva a ricordare un accidente di niente.
Entrando nel salotto al primo piano, all’altro capo del
palazzo, cercò di ricostruire la sequenza degli eventi, tanto per
fare qualcosa che non fosse strepitare. Il suo ultimo ricordo
nitido risaliva a quando aveva quasi buttato giù la porta del
vestibolo per entrare in casa. Da quel momento in poi, concluse,
aggirandosi come una belva in gabbia tra i tavolini e i divani
foderati di seta, era tutto immerso nel buio più
totale.
E più
si sforzava di ricordare più quello che era successo gli sfuggiva,
come una preda che, inseguita, accelera la sua corsa.
Non
riusciva proprio a fare mente locale, cazzo. Non
riusciva…
Era
vagamente consapevole che Blay lo stava osservando. Poi vide che
stava dicendo qualcosa. Ma lui non riusciva a fare altro che girare
e girare senza sosta per la stanza, assorbito com’era dal bisogno
primario di proteggere i suoi figli.
Cosa
cazzo avrebbe fatto Wrath? Mica poteva lasciare che
Layla…
Tutt’a
un tratto si trovò davanti Blay, ritto come un fuso e col volto di
pietra. «Non ce la faccio.»
«A fare
cosa?»
«A
stare un minuto di più nella stessa stanza con te.»
Qhuinn
lo guardò interdetto. «Allora esci. Sono disarmato, ricordi? E ci
sono venticinque tonnellate di muscoli che ciondolano fuori da
quella cazzo di camera da letto.»
Altrimenti, sì, sarebbe stato ancora là dentro. Con
i suoi figli.
«Come
vuoi» mugugnò Blay. «Vado a casa a vedere come sta la mia
mahmen.»
Le
sillabe si sparsero nell’aria carica di tensione e il suo cervello
stravolto ci mise un minuto buono a decifrarle. A casa…?
Mahmen… ah, già,
la mamma di Blay si era fatta male alla caviglia.
«Okay.
Sì.»
Blay
rimase fermo dov’era. Poi a bassa voce disse: «Ti interessa che
torni prima dell’alba?»
Di
fronte alla sua esitazione, Blay si avviò verso la porta scuotendo
la testa. Qhuinn se ne accorse – e una parte di lui sapeva che
avrebbe dovuto chiamarlo, riconnettersi… fermarlo. Ma una parte
ancora più grande di lui era tornata in quella camera da letto e
cercava di estrarre brandelli di ricordi dal buco nero che lo aveva
inghiottito.
Cristo…
davvero aveva scaricato la pistola dentro casa? Con i suoi figli
nella stanza…
«Qhuinn.»
Lui
riportò l’attenzione sulla porta. Blay era fermo sulla soglia, gli
occhi socchiusi, la mascella contratta.
Il suo
compagno si schiarì la gola. «Tanto per chiarire: non riuscirò mai
a levarmi dalla testa quello che hai detto poco fa. E lo stesso
dicasi per te che impugni la pistola.»
«Beato
te» farfugliò Qhuinn.
«Come
hai detto?»
«Io non
mi ricordo un bel niente.»
«Bella
scusa del cazzo.» Blay puntò l’indice verso di lui. «Non puoi
cancellare una scena così dicendo che hai un vuoto di
memoria.»
«Non ho
intenzione di discutere con te di questa cosa.»
«Allora
non abbiamo molto da dirci.»
Vedendo
che Blay lo fissava in silenzio, scosse la testa. «Senti, con tutto
il rispetto, ora come ora il mio unico pensiero è la vita dei miei
figli. Layla non è quella che credevo e…»
«Per
tua informazione, poco fa hai detto che non ero un genitore.» La
voce di Blay era artefatta, come se si sforzasse di non lasciar
trapelare la sofferenza. «Mi hai guardato negli occhi e hai detto
che quei bambini e la loro madre non erano affar mio.»
Un’eco
lontana si levò dai recessi della sua coscienza, facendosi strada
attraverso la rabbia ancora cieca. Ma al momento non poteva
aggrapparvisi: la sola cosa che voleva era tornare in quella camera
da letto, prendere i suoi due figli e andarsene. Non importava
dove…
Blay
imprecò. «Non aspettarmi alzato, tanto non torno.»
Dopodiché uscì, lasciandolo da solo.
Fantastico. Adesso anche il suo rapporto di coppia era
nella merda.
Si
chinò di lato per sbirciare attraverso la porta aperta, ma più che
altro per controllare se c’erano ancora fratelli nella Galleria
delle Statue. Sì, i guerrieri gironzolavano lì intorno – cosa
credeva, d’altronde? Che qualcuno di loro se ne andasse? Anche se
Wrath aveva ordinato di sloggiare?
Probabilmente avrebbero dormito fuori da quella cazzo di
stanza per proteggere una femmina che non se lo
meritava…
Senza
neanche accorgersene si ritrovò con una lampada in mano; stringeva
il vaso orientale trasformato in lume neanche fosse un giocatore di
baseball, un lanciatore professionista. A quanto pareva aveva
deciso di tirarselo addosso, pensa un po’: fermo di fronte a uno
degli specchi d’epoca guardava il proprio riflesso, distorto dal
vetro antico.
Sembrava un mostro, una versione di se stesso pressata
attraverso gli ingranaggi di un incubo, la faccia simile a un pugno
serrato, i lineamenti compressi al punto che stentava a
riconoscerli. Rimase lì a guardarsi. Se faceva volare quella
lampada avrebbe demolito tutta la stanza, senz’ombra di dubbio,
buttando giù i quadri dalle pareti, sfasciando le finestre,
prendendo dal camino i ceppi infuocati e gettandoli sui divani per
bruciare tutto in un bel falò.
E non
si sarebbe fermato lì.
Non si
sarebbe fermato finché qualcuno non lo avesse costretto a farlo,
incatenandolo o magari sparandogli un paio di
pallottole.
Gli
cadde l’occhio sul filo che pendeva dalla base della lampada,
simile alla coda marrone di un cane che, nervoso, implorava perdono
e pietà per qualcosa che non ricordava di avere fatto.
Tremando da capo a piedi, posò a terra il vaso col suo
paralume di seta.
Nel
raddrizzarsi vide una finestra e, senza pensarci due volte, si
avvicinò, la aprì e chiuse gli occhi.
Ma non
riuscì a smaterializzarsi. Non aveva in mente nessuna destinazione,
non…
No, un
momento… sì che ce l’aveva. Eccome se ce l’aveva,
cazzo.
Tutt’a
un tratto calmo e concentrato, si smaterializzò dal palazzo
rimpiangendo di non avere agito con più freddezza. Altrimenti forse
non ci avrebbe messo tanto a capire come vendicarsi.
Quando
riprese forma, l’aria invernale era satura dell’aroma di
sempreverdi e il vento soffiava tra gli alberi facendo ululare i
rami di pino. La grotta verso cui era diretto aveva un ingresso
nascosto da grossi macigni, ma se sapevi cosa cercare lo trovavi
senza problemi. Una volta entrato, scese spedito verso il grande
cancello della Tomba e si fermò, perfettamente calmo e controllato,
davanti alle sbarre di ferro, il sorriso disinvolto sul suo viso
simile a una mano di bianco su una staccionata mezza
marcia.
«Sono
venuto a darti il cambio» gridò, scuotendo l’antico metallo. «A
darti un po’ di sollievo. Meglio dell’Alka-Seltzer. Del Buscopan.
Del Pepcid. Non so se rendo l’idea.»
Sperava
con tutto il cuore che, per una volta, la voce non si fosse sparsa
in fretta tra i Fratelli, che quello di turno non avesse
controllato il cellulare o che tutti, a casa, fossero ancora troppo
scombussolati dall’accaduto per pensare di avvertire via
SMS chi era di
guardia lì…
Dal
corridoio foderato di scaffali e illuminato dalle torce vide
arrivare Phury; i suoi passi riecheggiavano sul pavimento di
pietra, tra tutti i vasi di lesser.
«Oh,
ciao» disse. «Come andiamo?»
Alla
tremolante luce arancione delle torce non c’era ombra di sospetto
sul suo viso, nessuna traccia di allarme o sguardo diffidente.
Nessuna mano che scattava verso il cellulare per chiamare rinforzi.
Nessuna tensione di chi è pronto a difendere la propria postazione
anche col cancello chiuso.
«Magnificamente» rispose Qhuinn, cercando di non pensare
a quanto ci stava mettendo l’altro a raggiungerlo. «A parte il
fatto che per oggi sostituisco Lassiter.»
Phury
si fermò davanti al cancello e si mise le mani sui fianchi. Al che
Qhuinn per poco non attaccò a urlare.
«Lasciami indovinare» disse il Primale. «Maratona
Cuori senza età.»
«Peggio, una retrospettiva di Maude. Bea Arthur è sexy da
matti, a quanto pare. Allora, mi fai entrare?»
Phury
cominciò ad armeggiare con la chiave di rame. «È sveglio, a
proposito.»
«Xcor?»
chiese Qhuinn, col cuore che batteva all’impazzata.
Come se
si potesse equivocare…
«Non è
molto comunicativo, ma è cosciente. Niente interrogatorio, per
adesso. V ha dovuto trascinare via di peso Tohr e poi Butch se n’è
andato quando sono arrivato io.» Phury aprì il cancello e si fece
da parte. «Conosci la regola. Dobbiamo essere presenti in due per
torchiarlo… e io non posso restare. Devo vedermi con Cormia su al
cottage di Rehv. Hai un compagno o dobbiamo aspettare che faccia
buio per dare inizio allo spettacolo?»
Buffo.
Sul serio. Erano tutti preoccupati che Tohr facesse di testa sua,
reclamando troppo presto la sua libbra di carne.
Ma il
problema adesso era un altro, giusto?
Qhuinn
tirò il fiato, attento a non precipitarsi dentro. «Blay stava per
venire con me, ma deve andare a vedere come sta la sua
mahmen.»
Si
scambiarono di posto e Phury gli passò la chiave che,
soprappensiero, si era quasi infilato in tasca. «Oh, scusa… questa
ti servirà. Sì, ho sentito che sua madre è caduta. Come va la
caviglia?»
Qhuinn
era così distratto da quello che gli aveva messo in mano che perse
il filo del discorso. Di cosa cavolo stavano…
«Meglio» si scoprì a dire, chiudendo il cancello e
infilando di nuovo la chiave nella serratura. «Ad ogni modo Blay ha
detto che avrebbe trovato un sostituto.»
«Resterei io, se potessi.»
Qhuinn
guardò come da lontano la sua mano che girava a sinistra la
maniglia riccamente decorata, attento a chiudere bene il
cancello.
«Qhuinn?»
Lui si
riscosse, ostentando un’espressione affabile… cosa a cui i suoi
lineamenti in genere non erano abituati, a prescindere dalla crisi
che stava attraversando al momento.
«Sì?»
«Ti
senti bene? Dalla faccia non si direbbe.»
Passandosi una mano tra i capelli e tirando su meglio i
calzoni in vita, lui ruotò la spalla – e avrebbe voluto darle il
cinque quando quella emise un provvidenziale crac!
«Per la
verità questa cuffia dei rotatori mi sta facendo morire» disse,
massaggiandosi la spalla. «La dottoressa Jane pensa che forse dovrà
operarla per pulire bene l’articolazione. Ma stai tranquillo, è un
dolore cronico sordo, non acuto, e non sto prendendo medicine. Se
succede qualcosa con lo stronzo là in fondo» così dicendo indicò
dietro di sé, «posso cavarmela.»
Phury
imprecò. «Ci sono passato anch’io. No, non sono preoccupato per te.
So che te la caverai a meraviglia. Vuoi che faccia un salto al
palazzo per vedere se Z può venire qui a farti
compagnia?»
«No,
Blay troverà qualcuno. Ma grazie comunque.»
Adesso potevano piantarla di
parlare, per l’amor del cielo? Da un momento all’altro Phury poteva
ricevere un messaggio o una chiamata in cui veniva informato che
Qhuinn doveva stare a non meno di trecento metri di distanza dal
prigioniero…
«Ciao.»
Phury si voltò, alzando una mano. «Buona fortuna, con
lui.»
«Ne
avrà bisogno, cazzo» mormorò Qhuinn alla schiena in ritirata del
fratello.