15
Il palazzo della Caldwell Insurance Company era
alto qualcosa come settanta piani e fungeva da punto di riferimento
in mezzo agli altri grattacieli più slanciati, ma più bassi, del
distretto finanziario. Stando alla sua pietra angolare, l’edificio
era stato costruito nel 1927 e in effetti, se paragonato ai suoi
vicini più moderni, sembrava una gran dama raffinatissima in
compagnia di sgualdrine di gran lunga inferiori. Con i suoi gruppi
di doccioni a contrassegnare i tre diversi livelli di elevazione, e
una elaborata corona ricca di intagli e incisioni latine sulla sua
sommità, il CIC era un monumento allo
splendore e alla longevità della città.
Quando
Zypher si materializzò sul suo tetto, il vento gelido gli soffiò
indietro i capelli facendogli lacrimare gli occhi. Sotto di lui, le
luci della città si spandevano verso l’esterno in un’aureola
terrena divisa in due dal fiume Hudson.
Uno
dopo l’altro, gli altri membri della Banda dei Bastardi lo
raggiunsero: Balthazar, il selvaggio; Syphon, la spia, e Syn, che
si tenne ai margini come una fonte di malvagità in attesa di fare
lo sgambetto al fausto destino di qualcuno.
Lui li
conosceva tutti bene quei soldati con cui aveva combattuto fianco a
fianco per oltre duecento anni. Non c’era nulla che non avessero
condiviso: eccidi, dei loro compagni e dei nemici; femmine, vampire
e umane; alloggi, lì come nel Vecchio Continente.
«È per
domani, dunque» disse Balthazar, nel vento.
«Sì.»
Zypher seguì con gli occhi l’autostrada sottostante, punteggiata
dai fanali anteriori bianchi del traffico in entrata e da quelli
posteriori rossi di quello in uscita. «Domani sera ce ne
andiamo.»
Si
erano fermati nel Nuovo Mondo solo per un breve periodo, senza
compiere nulla di ciò che si erano prefissi quando erano partiti da
oltreoceano. Originariamente erano giunti in cerca di
lesser, poiché a
casa, nel Vecchio Continente, il numero dei nemici si era ridotto
fin quasi a zero e terrorizzare gli umani era divertente solo fino
a un certo punto. Ma al loro arrivo avevano scoperto anche lì una
popolazione analogamente decimata. Ben presto, tuttavia, le
ambizioni erano diventate ben più grandi. Xcor aveva aspirato a
diventare Re, dunque avevano stretto alleanze con quegli
aristocratici che, in seno alla glymera, volevano un
Consiglio con maggiori poteri.
Ma il
colpo di mano era fallito.
Anche
se erano riusciti a ficcare una pallottola nel collo di Wrath, il
Re non solo era sopravvissuto all’attentato, ma era anche assurto a
un potere ancora più elevato – il che aveva messo in gravi
difficoltà la Banda dei Bastardi.
In
seguito le priorità erano mutate, almeno per Xcor.
Non
appena l’Eletta Layla era entrata nella vita del loro capo, lui non
si era curato più di nient’altro – il che in realtà era parso un
bene, al gruppo nel suo complesso. Da tempo Xcor si era abbandonato
a una crudeltà spaventosa, che aveva suscitato paura e,
conseguentemente, rispetto. Dopo aver conosciuto quella femmina,
invece, si era ammorbidito, tanto che era diventato molto più
facile avere a che fare con lui – e i Bastardi a loro volta, non
dovendo più monitorare costantemente l’umore del loro condottiero,
erano diventati più efficienti.
Dopo
però Xcor era stato catturato o ucciso.
Ancora
non sapevano che fine avesse fatto, e ormai era evidente che non lo
avrebbero più rivisto. Il cielo gli era testimone che avevano
provato a rintracciarlo, a cercare anche solo i suoi resti, e porre
fine alle ricerche era difficile. Ma senza altre piste da seguire,
e con la confraternita che continuava a braccarli, la cosa migliore
era tornare da dove erano venuti.
All’improvviso gli sovvenne un’immagine di Throe. Zypher
si accigliò.
Purtroppo un altro dei loro era andato perduto. Throe, il
luogotenente a tutti gli effetti di Xcor, era stato cacciato dal
gruppo quando la sua smania di salire al trono si era rivelata più
duratura di quella del loro capo. Quell’incompatibilità di
obiettivi li aveva allontanati: così, colui che non avrebbe dovuto
stare comunque con loro se n’era andato, ridotto a una nota a piè
di pagina nella loro storia. Già, Throe, aristocratico rinnegato e
ridicolizzato, inizialmente costretto ad arruolarsi a saldo di un
debito ma che successivamente si era cimentato con valore, non era
più tra le loro fila, forse perché ucciso dai lesser o da altri del suo
stesso rango con cui aveva cospirato. O forse perché era tornato a
vivere tra i nobili di sangue blu, riaccolto nella sua cerchia
d’appartenenza, a tramare di nuovo.
Nessuno
di loro rimpiangeva la sua perdita quanto quella di Xcor,
tuttavia.
In
verità, quand’erano giunti su quei lidi, rifletté Zypher osservando
la città ai suoi piedi, sarebbe parso inconcepibile andarsene senza
quei due valorosi compagni d’arme. Ma c’era un assioma che valeva
per i vivi come per i morti: il destino va per la sua strada senza
curarsi d’altro; preferenze, pronostici e scelte individuali, nove
volte su dieci sono del tutto irrilevanti.
«Il
nostro obiettivo ora è…» Zypher lasciò la frase in
sospeso.
Balthazar imprecò. «Ne troveremo un altro, amico mio. E
lo faremo in patria.»
Sì,
pensò Zypher, sarebbe andata così. Nel Vecchio Continente
possedevano un castello e una schiera di doggen che coltivavano le
terre del contado, fornendo prodotti freschi, utensili e altre
merci da vendere nei villaggi circostanti. Gli umani superstiziosi
della zona si tenevano alla larga da loro. C’erano donne e qualche
femmina della loro specie con cui accoppiarsi. E forse alla fine
avrebbero trovato anche qualche lesser…
Misericordia, sembrava proprio terribile. Un passo
indietro invece che avanti.
Ciononostante non potevano più restare lì. In guerra la
prima regola è: se vuoi vivere, non affrontare mai un nemico più
forte, e la confraternita, con al timone il Re cieco, disponeva di
impressionanti risorse finanziarie, strutture e armamenti. Quando
avevano accarezzato l’idea di deporre Wrath, lo scenario era ben
diverso. Ma con la loro banda ridotta a quattro soldati soltanto,
senza un condottiero ben definito e senza un
programma?
No.
Così non poteva funzionare.
«Domani, dunque» ripeté Balthazar. «Si
parte.»
«Già.»
Zypher
tuttavia sperava davvero di poter portare con sé la salma di Xcor.
«Lo cercheremo un’ultima volta» dichiarò nel vento. «In questa
nottata finale proveremo a trovare il nostro capo.»
Avrebbero fatto un ennesimo tentativo. Anche se non si
prospettava un esito diverso dai precedenti, quello sforzo estremo
li avrebbe aiutati a rappacificarsi con la sensazione collettiva
che stavano abbandonando i loro defunti.
«Diamo
inizio alle ricerche, dunque» disse Balthazar.
Uno a
uno, si smaterializzarono nel gelo delle tenebre.
Appena
Vishous lasciò la casa sicura, Layla fece un gran sospiro – senza
tuttavia provare il benché minimo sollievo.
Per un
po’ non si mosse dal tavolo della cucina, ascoltando quel silenzio
assoluto, poi si alzò e fece un giro del pianterreno, entrando e
uscendo dalle stanze accoglienti. In un angolo della sua mente
pensava che il ranch fosse davvero un bel posticino, dove una
femmina da sola poteva sentirsi al sicuro.
Avrebbe
mai avuto la possibilità di portare lì i gemelli?
Col
fiato corto per l’angoscia andò alla vetrata scorrevole da cui era
uscito V. La aprì e uscì sulla veranda, facendo scricchiolare sotto
le pantofole lo strato superiore di neve, cercando di inspirare a
fondo.
Espirò
il fiato in una nuvoletta, che fluttuò allontanandosi sopra la sua
testa.
Le
guance, irritate da tutte quelle lacrime versate e poi asciugate,
bruciavano a contatto con l’aria fredda e trasparente. Volse lo
sguardo in alto, verso il cielo. C’era una fitta coltre di nubi che
oscurava lo scintillio delle stelle e altra neve fresca sul prato,
segno che durante il giorno c’era stato vento e qualche leggera
nevicata.
Strinse
le braccia intorno al corpo e…
… tutto
si fermò, dentro di lei. Dal cuore al respiro ai pensieri nel
cervello in subbuglio, come se nel suo impianto elettrico interiore
fosse saltato un fusibile e lei fosse diventata come la casa alle
sue spalle: perfettamente immobile e vuota.
Voltandosi verso est, inspirò a fondo finché le costole
cominciarono a farle male per lo sforzo. Ma non stava tentando di
fiutare nulla. Cercava di immobilizzare i polmoni nel torace – e,
potendo, avrebbe fermato anche il cuore e gli altri
organi.
L’eco
del suo sangue era così debole che era difficile stabilire se si
era sbagliata, se aveva frainteso ciò che stava realmente
accadendo. Ma invece no… era vero: percepiva effettivamente un
sussurro di quella fonte vitale in direzione nord… nord-ovest, per
la precisione.
Adesso
il cuore batteva all’impazzata.
«Xcor…?» sussurrò.
Il
segnale non proveniva dalla zona in cui sorgeva il quartier
generale della confraternita. Era troppo spostato a ovest.
Era…
Si
voltò verso la vetrata da cui era appena uscita. Esitò. Ma poi
pensò a Vishous, e a tutto ciò che le aveva detto.
Senza
sapere bene dove stava andando, chiuse gli occhi e si smaterializzò
poco lontano, riprendendo forma in un parco giochi per bambini che
aveva notato la sera prima, quando l’avevano portata lì in
macchina.
Ferma
accanto alle altalene vuote e ai castelli per arrampicarsi deserti,
si immobilizzò di nuovo.
Sì…
là…
Un
cigolio metallico alle sue spalle la spinse a girarsi di scatto, ma
era solo il vento che spingeva una delle altalene sollevando le
proteste delle catene infastidite.
Abbassò
un’altra volta le palpebre e si concentrò sulla sua destinazione,
cercando di non essere precipitosa.
Mentre
volava in un pulviscolo di molecole risentì nella testa la voce di
Vishous.
Al cuor
non si comanda. Non possiamo decidere di chi innamorarci… Non hai
sbagliato ad amarlo, okay? Nessuno può biasimarti per questo… e hai
già sofferto abbastanza. Lui non ti ha mai fatto del male, giusto?
Quindi non dev’essere proprio del tutto malvagio.
Stavolta, quando riprese forma, captò un segnale ancora
più forte e puntò dritta verso di esso. Avanzò di altri
sette-ottocento metri e poi di un tratto ancora più lungo, fino
all’ultimo anello di quartieri periferici prima della campagna.
Dopodiché si spinse ancora più in là, penetrando nei terreni
boscosi che segnavano l’inizio dell’Adirondack Park.
L’ultima tappa fu di neanche trecento metri. Quando
riacquistò la sua forma corporea si trovò il ramo di un albero
dritto in faccia.
Lo
spinse via e si guardò intorno. Lì la neve era più compatta, il
vento meno teso, il terreno roccioso. C’erano ombre dappertutto… o
forse era il nervosismo a darle quell’impressione.
Lo
sentiva vicino… vicinissimo. Ma dove, esattamente?
Girò
lentamente in tondo. Lì intorno non c’era nessuno, non si vedevano
neanche gli animali del bosco.
Era
improbabile che Xcor fosse sopravvissuto a un’intera giornata lì
fuori… anche se… aveva nevicato ed era in arrivo quella grossa
tormenta. Forse le nuvole avevano coperto il sole? Nessuno avrebbe
mai corso un rischio simile, se non in mancanza di alternative più
sicure, ma se Xcor era ferito o comunque impossibilitato a
muoversi?
Dopo
tutto, se fosse stato morto lei non avrebbe colto alcun
segnale.
Girò la
testa di qua e di là, accigliandosi. Qualcosa di atipico, in quel
paesaggio, aveva attirato la sua attenzione.
C’era
qualcosa… laggiù in fondo… a sinistra di una quercia che doveva
avere almeno cento anni, tanto era alta e frondosa.
Sì… una
specie di montagnola… del tutto fuori posto in quella
foresta.
Layla
raccolse la veste e fece un passo avanti… poi un
altro…
… in
direzione di quell’oggetto misterioso.