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Il palazzo della Caldwell Insurance Company era alto qualcosa come settanta piani e fungeva da punto di riferimento in mezzo agli altri grattacieli più slanciati, ma più bassi, del distretto finanziario. Stando alla sua pietra angolare, l’edificio era stato costruito nel 1927 e in effetti, se paragonato ai suoi vicini più moderni, sembrava una gran dama raffinatissima in compagnia di sgualdrine di gran lunga inferiori. Con i suoi gruppi di doccioni a contrassegnare i tre diversi livelli di elevazione, e una elaborata corona ricca di intagli e incisioni latine sulla sua sommità, il CIC era un monumento allo splendore e alla longevità della città.
Quando Zypher si materializzò sul suo tetto, il vento gelido gli soffiò indietro i capelli facendogli lacrimare gli occhi. Sotto di lui, le luci della città si spandevano verso l’esterno in un’aureola terrena divisa in due dal fiume Hudson.
Uno dopo l’altro, gli altri membri della Banda dei Bastardi lo raggiunsero: Balthazar, il selvaggio; Syphon, la spia, e Syn, che si tenne ai margini come una fonte di malvagità in attesa di fare lo sgambetto al fausto destino di qualcuno.
Lui li conosceva tutti bene quei soldati con cui aveva combattuto fianco a fianco per oltre duecento anni. Non c’era nulla che non avessero condiviso: eccidi, dei loro compagni e dei nemici; femmine, vampire e umane; alloggi, lì come nel Vecchio Continente.
«È per domani, dunque» disse Balthazar, nel vento.
«Sì.» Zypher seguì con gli occhi l’autostrada sottostante, punteggiata dai fanali anteriori bianchi del traffico in entrata e da quelli posteriori rossi di quello in uscita. «Domani sera ce ne andiamo.»
Si erano fermati nel Nuovo Mondo solo per un breve periodo, senza compiere nulla di ciò che si erano prefissi quando erano partiti da oltreoceano. Originariamente erano giunti in cerca di lesser, poiché a casa, nel Vecchio Continente, il numero dei nemici si era ridotto fin quasi a zero e terrorizzare gli umani era divertente solo fino a un certo punto. Ma al loro arrivo avevano scoperto anche lì una popolazione analogamente decimata. Ben presto, tuttavia, le ambizioni erano diventate ben più grandi. Xcor aveva aspirato a diventare Re, dunque avevano stretto alleanze con quegli aristocratici che, in seno alla glymera, volevano un Consiglio con maggiori poteri.
Ma il colpo di mano era fallito.
Anche se erano riusciti a ficcare una pallottola nel collo di Wrath, il Re non solo era sopravvissuto all’attentato, ma era anche assurto a un potere ancora più elevato – il che aveva messo in gravi difficoltà la Banda dei Bastardi.
In seguito le priorità erano mutate, almeno per Xcor.
Non appena l’Eletta Layla era entrata nella vita del loro capo, lui non si era curato più di nient’altro – il che in realtà era parso un bene, al gruppo nel suo complesso. Da tempo Xcor si era abbandonato a una crudeltà spaventosa, che aveva suscitato paura e, conseguentemente, rispetto. Dopo aver conosciuto quella femmina, invece, si era ammorbidito, tanto che era diventato molto più facile avere a che fare con lui – e i Bastardi a loro volta, non dovendo più monitorare costantemente l’umore del loro condottiero, erano diventati più efficienti.
Dopo però Xcor era stato catturato o ucciso.
Ancora non sapevano che fine avesse fatto, e ormai era evidente che non lo avrebbero più rivisto. Il cielo gli era testimone che avevano provato a rintracciarlo, a cercare anche solo i suoi resti, e porre fine alle ricerche era difficile. Ma senza altre piste da seguire, e con la confraternita che continuava a braccarli, la cosa migliore era tornare da dove erano venuti.
All’improvviso gli sovvenne un’immagine di Throe. Zypher si accigliò.
Purtroppo un altro dei loro era andato perduto. Throe, il luogotenente a tutti gli effetti di Xcor, era stato cacciato dal gruppo quando la sua smania di salire al trono si era rivelata più duratura di quella del loro capo. Quell’incompatibilità di obiettivi li aveva allontanati: così, colui che non avrebbe dovuto stare comunque con loro se n’era andato, ridotto a una nota a piè di pagina nella loro storia. Già, Throe, aristocratico rinnegato e ridicolizzato, inizialmente costretto ad arruolarsi a saldo di un debito ma che successivamente si era cimentato con valore, non era più tra le loro fila, forse perché ucciso dai lesser o da altri del suo stesso rango con cui aveva cospirato. O forse perché era tornato a vivere tra i nobili di sangue blu, riaccolto nella sua cerchia d’appartenenza, a tramare di nuovo.
Nessuno di loro rimpiangeva la sua perdita quanto quella di Xcor, tuttavia.
In verità, quand’erano giunti su quei lidi, rifletté Zypher osservando la città ai suoi piedi, sarebbe parso inconcepibile andarsene senza quei due valorosi compagni d’arme. Ma c’era un assioma che valeva per i vivi come per i morti: il destino va per la sua strada senza curarsi d’altro; preferenze, pronostici e scelte individuali, nove volte su dieci sono del tutto irrilevanti.
«Il nostro obiettivo ora è…» Zypher lasciò la frase in sospeso.
Balthazar imprecò. «Ne troveremo un altro, amico mio. E lo faremo in patria.»
Sì, pensò Zypher, sarebbe andata così. Nel Vecchio Continente possedevano un castello e una schiera di doggen che coltivavano le terre del contado, fornendo prodotti freschi, utensili e altre merci da vendere nei villaggi circostanti. Gli umani superstiziosi della zona si tenevano alla larga da loro. C’erano donne e qualche femmina della loro specie con cui accoppiarsi. E forse alla fine avrebbero trovato anche qualche lesser
Misericordia, sembrava proprio terribile. Un passo indietro invece che avanti.
Ciononostante non potevano più restare lì. In guerra la prima regola è: se vuoi vivere, non affrontare mai un nemico più forte, e la confraternita, con al timone il Re cieco, disponeva di impressionanti risorse finanziarie, strutture e armamenti. Quando avevano accarezzato l’idea di deporre Wrath, lo scenario era ben diverso. Ma con la loro banda ridotta a quattro soldati soltanto, senza un condottiero ben definito e senza un programma?
No. Così non poteva funzionare.
«Domani, dunque» ripeté Balthazar. «Si parte.»
«Già.»
Zypher tuttavia sperava davvero di poter portare con sé la salma di Xcor. «Lo cercheremo un’ultima volta» dichiarò nel vento. «In questa nottata finale proveremo a trovare il nostro capo.»
Avrebbero fatto un ennesimo tentativo. Anche se non si prospettava un esito diverso dai precedenti, quello sforzo estremo li avrebbe aiutati a rappacificarsi con la sensazione collettiva che stavano abbandonando i loro defunti.
«Diamo inizio alle ricerche, dunque» disse Balthazar.
Uno a uno, si smaterializzarono nel gelo delle tenebre.
Appena Vishous lasciò la casa sicura, Layla fece un gran sospiro – senza tuttavia provare il benché minimo sollievo.
Per un po’ non si mosse dal tavolo della cucina, ascoltando quel silenzio assoluto, poi si alzò e fece un giro del pianterreno, entrando e uscendo dalle stanze accoglienti. In un angolo della sua mente pensava che il ranch fosse davvero un bel posticino, dove una femmina da sola poteva sentirsi al sicuro.
Avrebbe mai avuto la possibilità di portare lì i gemelli?
Col fiato corto per l’angoscia andò alla vetrata scorrevole da cui era uscito V. La aprì e uscì sulla veranda, facendo scricchiolare sotto le pantofole lo strato superiore di neve, cercando di inspirare a fondo.
Espirò il fiato in una nuvoletta, che fluttuò allontanandosi sopra la sua testa.
Le guance, irritate da tutte quelle lacrime versate e poi asciugate, bruciavano a contatto con l’aria fredda e trasparente. Volse lo sguardo in alto, verso il cielo. C’era una fitta coltre di nubi che oscurava lo scintillio delle stelle e altra neve fresca sul prato, segno che durante il giorno c’era stato vento e qualche leggera nevicata.
Strinse le braccia intorno al corpo e…
… tutto si fermò, dentro di lei. Dal cuore al respiro ai pensieri nel cervello in subbuglio, come se nel suo impianto elettrico interiore fosse saltato un fusibile e lei fosse diventata come la casa alle sue spalle: perfettamente immobile e vuota.
Voltandosi verso est, inspirò a fondo finché le costole cominciarono a farle male per lo sforzo. Ma non stava tentando di fiutare nulla. Cercava di immobilizzare i polmoni nel torace – e, potendo, avrebbe fermato anche il cuore e gli altri organi.
L’eco del suo sangue era così debole che era difficile stabilire se si era sbagliata, se aveva frainteso ciò che stava realmente accadendo. Ma invece no… era vero: percepiva effettivamente un sussurro di quella fonte vitale in direzione nord… nord-ovest, per la precisione.
Adesso il cuore batteva all’impazzata.
«Xcor…?» sussurrò.
Il segnale non proveniva dalla zona in cui sorgeva il quartier generale della confraternita. Era troppo spostato a ovest. Era…
Si voltò verso la vetrata da cui era appena uscita. Esitò. Ma poi pensò a Vishous, e a tutto ciò che le aveva detto.
Senza sapere bene dove stava andando, chiuse gli occhi e si smaterializzò poco lontano, riprendendo forma in un parco giochi per bambini che aveva notato la sera prima, quando l’avevano portata lì in macchina.
Ferma accanto alle altalene vuote e ai castelli per arrampicarsi deserti, si immobilizzò di nuovo.
Sì… là…
Un cigolio metallico alle sue spalle la spinse a girarsi di scatto, ma era solo il vento che spingeva una delle altalene sollevando le proteste delle catene infastidite.
Abbassò un’altra volta le palpebre e si concentrò sulla sua destinazione, cercando di non essere precipitosa.
Mentre volava in un pulviscolo di molecole risentì nella testa la voce di Vishous.
Al cuor non si comanda. Non possiamo decidere di chi innamorarci… Non hai sbagliato ad amarlo, okay? Nessuno può biasimarti per questo… e hai già sofferto abbastanza. Lui non ti ha mai fatto del male, giusto? Quindi non dev’essere proprio del tutto malvagio.
Stavolta, quando riprese forma, captò un segnale ancora più forte e puntò dritta verso di esso. Avanzò di altri sette-ottocento metri e poi di un tratto ancora più lungo, fino all’ultimo anello di quartieri periferici prima della campagna. Dopodiché si spinse ancora più in là, penetrando nei terreni boscosi che segnavano l’inizio dell’Adirondack Park.
L’ultima tappa fu di neanche trecento metri. Quando riacquistò la sua forma corporea si trovò il ramo di un albero dritto in faccia.
Lo spinse via e si guardò intorno. Lì la neve era più compatta, il vento meno teso, il terreno roccioso. C’erano ombre dappertutto… o forse era il nervosismo a darle quell’impressione.
Lo sentiva vicino… vicinissimo. Ma dove, esattamente?
Girò lentamente in tondo. Lì intorno non c’era nessuno, non si vedevano neanche gli animali del bosco.
Era improbabile che Xcor fosse sopravvissuto a un’intera giornata lì fuori… anche se… aveva nevicato ed era in arrivo quella grossa tormenta. Forse le nuvole avevano coperto il sole? Nessuno avrebbe mai corso un rischio simile, se non in mancanza di alternative più sicure, ma se Xcor era ferito o comunque impossibilitato a muoversi?
Dopo tutto, se fosse stato morto lei non avrebbe colto alcun segnale.
Girò la testa di qua e di là, accigliandosi. Qualcosa di atipico, in quel paesaggio, aveva attirato la sua attenzione.
C’era qualcosa… laggiù in fondo… a sinistra di una quercia che doveva avere almeno cento anni, tanto era alta e frondosa.
Sì… una specie di montagnola… del tutto fuori posto in quella foresta.
Layla raccolse la veste e fece un passo avanti… poi un altro…
… in direzione di quell’oggetto misterioso.