32
La sera seguente, quando il buio scese su
Caldwell, Blay cercò di uscire sulla veranda posteriore per la
prima fumata da quando si era svegliato. La pianificazione era
perfetta. Aveva il suo tazzone YETI
pieno di caffè Dunkin’ Donuts, preparato dalla sua mahmen grazie alle confezioni sottovuoto ordinabili
online, e il suo pacchetto di Dunhill – che era costretto a
razionare perché gliene restavano solo sei – e sfoggiava un parka
Patagonia imbottito di piumino d’oca più di tutti i cuscini che
c’erano in casa.
Sì, era
proprio un ottimo piano. Caffeina e nicotina erano fondamentali
quando era tutto il giorno che non dormivi per più di un quarto
d’ora di fila e volevi evitare di staccare la testa a morsi a tutti
quelli che ti stavano intorno.
Il
problema? Quando provò ad aprire la porta della veranda dovette
darle una spallata.
Dopodiché si ritrovò con la faccia tutta piena di
neve.
Trasalendo, imprecò e richiuse la porta. «Porca puttana,
che tempaccio…»
Dalla
cucina giunse uno schianto fragoroso. Doveva essere caduto qualcosa
tipo una pentola di acciaio inossidabile o magari una teglia,
almeno a giudicare dal claaaaaaaaaaaaaaaaaang degno
dei piatti di una orchestra…
«Mamma?» gridò Blay.
Lasciando perdere il progettato avviamento chimico si
affrettò verso l’altra stanza…
… dove
trovò la sua mahmen
lunga distesa sul pavimento davanti ai
fornelli, con la caviglia piegata in modo innaturale, il rotolo di
noci pecan che stava infilando nel forno per terra e la teglia
dentro cui stava prima a un metro di distanza.
Mollando sul bancone il caffè e il pacchetto di
sigarette, corse a inginocchiarsi accanto a lei.
«Mahmen? Hai battuto la testa? Cos’è successo?»
Lyric
si tirò su a sedere con una smorfia, puntellandosi sui gomiti.
«Volevo infornare questo prima che tuo padre scendesse per il Primo
Pasto.»
«La
testa, hai battuto la testa?» ripeté lui, mentre controllava sotto
ai capelli pregando di non trovare un taglio sanguinante. «Quante
sono queste?» chiese, alzando le dita davanti a lei.
Sua
madre gli spinse via la mano. «Sto bene, Blay. Non ho picchiato la
testa, per l’amor del cielo.»
Lui si
sedette per terra. Lyric indossava i suoi soliti jeans fuori moda a
vita alta, e con quell’allegro maglione rosso e il dolcevita bianco
sembrava un incrocio tra la moglie di Babbo Natale e la signora
Taylor di Quell’uragano di
papà. E in effetti sembrava che stesse
bene: gli occhi lo seguivano, il colorito era buono, la faccia
esprimeva imbarazzo, non dolore.
«Blay,
sono solo scivolata sul tappetino. Sto bene.»
«Ottimo, perché così posso sgridarti. Dove diavolo è il
tuo stivaletto? Perché non te lo sei messo?»
Improvvisamente la sua mahmen finse di avere il
capogiro, sbattendo le ciglia e allungando le mani come se non
vedesse più niente. «Sono dieci dita? Dodici?»
Quando
lui la guardò truce lei abbozzò timidamente una smorfia. «Quel coso
è così scomodo, e qui in cucina c’è così poco spazio. Pensavo di
metterlo subito dopo aver sbattuto le uova.»
«Sei
scivolata… o ti ha ceduto la caviglia?»
Di
fronte al suo silenzio, Blay dedusse che era stata la caviglia a
cedere e si focalizzò sul suo piede. Appena le sfiorò la pantofola
Lyric emise un sibilo di dolore e divenne bianca come un cencio
lavato.
«È
tutto a posto» disse a denti stretti.
Lui
puntò gli occhi su quelle labbra serrate e sulle mani che le
tremavano. «Mi sa che ti sei slogata di nuovo la caviglia. E forse
ti sei anche rotta qualcosa, non so.»
«Non è
niente.»
«Sai,
quelle sono le tre parole che odio di più. Qhuinn le dice sempre
ogni volta che…» s’interruppe di colpo, ignorando ostentatamente
l’occhiata indagatrice di sua madre. «Ce la fai a smaterializzarti?
Perché sono sicurissimo che devi farti vedere dalla dottoressa
Jane. Anzi no, da Manny. È lui l’ortopedico.»
«Oh,
non ce n’è bisogno.»
«Perché
non lasciamo decidere papà?» Lei parve subito allarmata. «Oppure»
riprese sornione lui. «Puoi fare la brava e venire con me senza
tante storie.»
Lyric
assunse un’espressione infastidita, ma lui capì che l’aveva avuta
vinta. Dopo i raid suo padre era diventato un filo iperprotettivo
nei confronti della sua shellan. Si faceva prendere
dall’isteria alla minima sciocchezza – taglietti con la carta,
pellicine sanguinanti, botte all’alluce – il che significava che
quando, un paio di sere prima, Lyric era scivolata sulla veranda
andando a prendere il giornale, quel poveretto era praticamente
andato fuori di testa.
E
stavolta il danno era ancora più grave.
«Ce la
fai a smaterializzarti?» chiese di nuovo Blay.
«Ma è
proprio necessario?»
«Vedi
un po’ tu. Vuoi provare ad alzarti in piedi?»
Sua
madre guardò torva il piede incriminato. «Vorrei tanto aver messo
quel maledetto stivaletto.»
«Anch’io.»
Lei si
accigliò. «Come faccio ad andare alla clinica del centro di
addestramento? Anche se riesco a smaterializzarmi, non so
dov’è.»
«Possiamo avvicinarci e poi farci venire a prendere.»
Blay si alzò in piedi e guardò il soffitto. Al piano di sopra suo
padre si stava vestendo; lo sentiva muoversi. «Secondo te è meglio
o è peggio se andiamo via senza avvertirlo?»
«Possiamo sempre mandargli un SMS, no? Dirgli che torniamo
subito. Dirgli… che siamo andati dal droghiere.»
Sua
madre detestava mentire, ma detestava ancora di più mettere in
agitazione il suo hellren. E questo era uno
dei rari casi in cui Blay non poteva che essere d’accordo con lei.
Suo padre ne avrebbe fatto una tragedia.
«Andiamo.» Tirò fuori il telefono e cominciò a
messaggiare la dottoressa Jane. «Sai la bancarella di verdure sulla
Statale 9? Quella dentro al granaio?»
Mentre
parlava pensò di provare ad aprire la porta della veranda. Ma dove
cavolo aveva la testa? Sua madre aveva bisogno di smaterializzarsi
in un posto caldo e asciutto, con quella caviglia. Quel granaio non
era riscaldato e quasi sicuramente era anche chiuso. Era sempre
meglio dei boschi, ma comunque…
Cosa
gli era saltato in mente?
Abbassò
il telefono piantando a metà l’SMS e guardò la sua
mahmen: aveva
chiuso gli occhi e appoggiato la testa sul pavimento – e la mano
posata sullo stomaco era tutta contratta.
L’altra
tremava, per terra, accanto a lei; le unghie ben curate ballavano
il tip tap.
«No,
non puoi smaterializzarti» disse frastornato. «Non
esiste.»
«Certo
che posso.»
Ma era
debole, come smentita.
Poi suo
padre entrò in cucina, la cravatta mezzo annodata intorno al collo,
i capelli ancora bagnati pettinati in stile Ken di Barbie, neanche
fossero incollati al cranio.
«…
videoconferenza con i miei clienti e… Lyric! Oddio,
Lyric!»
Mentre
suo padre correva da sua madre, Blay si girò verso la porta che
dava sul garage. I suoi genitori cominciarono a litigare, ma lui li
interruppe deciso.
«Papà,
ti prego, dimmi che la tua macchina è a trazione
integrale.»
Al
palazzo della confraternita, nel frattempo, Qhuinn stava facendo
qualcosa di inconcepibile: stava riempiendo un borsone nero con
biberon, latte in polvere e acqua distillata. Pannolini.
Salviettine umidificate. Pomata Desitin contro la dermatite da
pannolino. Sonaglini e ciucciotti.
Riempire un borsone non era ’sto gran che, naturalmente.
Anche se di solito il suo era pieno di Smith & Wesson, Glock o
Beretta, tutta roba corredata di pallottole e mirini al laser, mica
Pampers ed Evenflo.
L’altro
motivo per cui era strano era che lo stava preparando perché i suoi
figli dovevano andare via di casa. Senza di lui. Roba da
matti.
Erano
così piccoli. E poi lui non voleva assolutamente che stessero con
quella femmina. Si rifiutava di riferirsi a Layla
chiamandola mahmen, anche solo tra sé e sé. Ma tant’è, ormai le cose
stavano così. Era andato su al Santuario con Amalya, la direttrice
delle Elette, e lei lo aveva scortato attraverso quello scenario
bucolico mostrandogli la Vasca dei Riflessi e i templi, il
dormitorio e gli alloggi privati della Vergine Scriba.
Dove
Layla sarebbe stata con i suoi
figli.
Era
stato impossibile trovare da ridire sull’ambiente. Quel posto era
ancora più sicuro del palazzo, per l’amor del cielo, e Amalya gli
aveva assicurato che i piccoli sarebbero stati in grado di
viaggiare avanti e indietro senza nessun problema.
E,
quando l’aveva incalzata, gli aveva garantito che glieli avrebbe
riportati indietro personalmente. Se mai Layla avesse causato
qualche problema.
Qualcuno bussò piano alla porta. «Sì!» gridò lui, alzando
la testa dal borsone.
Era
Beth. La Regina si era data una bella calmata. D’altronde aveva
ottenuto ciò che voleva. «Hai già tutto pronto, a quanto
vedo.»
Lui
abbassò lo sguardo su quello che aveva messo nel borsone.
«Già.»
Seguì
una lunga pausa.
«Andrà
tutto bene, Qhuinn. Sono fiera di te per…»
«Senza
offesa, ma tu puoi stare con tuo figlio ventiquattr’ore al giorno,
perché la persona con cui l’hai fatto non è un bugiardo e un
traditore. Per cui mi scuserai se la mia versione di “tutto bene” è
leggermente diversa dalla tua.» A quel punto si allontanò di
qualche passo dal letto. «Io invece non posso avere il mio “tutto
bene” – che consisterebbe nel far stare i miei figli qui, in questa
stanza, mentre esco a combattere. Il mio “tutto bene” non è stare
fuori sul campo a difendere la razza con metà cervello impegnato a
chiedersi se Layla me li ridarà oppure no quando è il mio turno di
tenerli. E il mio “tutto bene” di sicuro non prevede che quella
femmina possa avere altri contatti con loro. Non mi serve che tu
sia fiera di me e non me ne faccio niente del tuo
pseudo-interessamento ipocrita. L’unica cosa che ti chiedo è di
occuparti di loro due mentre esco da questa cazzo di
casa.»
Beth
incrociò le braccia sul petto scuotendo lentamente la testa. «Cosa
ti è successo?»
Lo
aveva detto così sottovoce che chiaramente lo stava domandando a se
stessa.
«Vuoi
scherzare? Sul serio te lo stai chiedendo?»
Qhuinn
le diede le spalle e andò fino alle culle. Lanciò un’occhiata a
Lyric e poi controllò per bene Rhamp, rimettendogli il ciuccio in
bocca.
«Sii
coraggioso lassù, campione» disse, ravviandogli il ciuffo di
capelli scuri. «Ci vediamo tra ventiquattr’ore. Sarà una
passeggiata, giusto?»
Sbagliato.
Era
dura voltarsi, cazzo. Il petto gli bruciava di un dolore che
penetrava fin dentro al DNA… specie quando spostò
gli occhi un’ultima volta su Lyric. Voleva andare da lei, ma
proprio non ce la faceva a guardare quel faccino.
Non se
la sentiva di vederlo, al momento.
Passando accanto a Beth tenne gli occhi fissi davanti a
sé. Non si fidava di aprire la bocca anche solo per dire ciao. Di
sicuro avrebbe finito per scagliarsi contro la Regina, il che non
sarebbe servito a nessuno.
Prese
armi e giubbotto di pelle da una sedia, uscì e chiuse adagio la
porta dietro di sé. Non sapeva di preciso quando sarebbe passata
Layla – dopo il tramonto, certo, ma il sole era tramontato già da
un pezzo. Probabile che fosse in arrivo da un momento
all’altro…
«Sei
pronto per la riunione?»
Qhuinn
si girò; Z stava uscendo dalla sua suite, armato fino ai denti e
pronto a combattere, gli occhi gialli penetranti stretti a
fessura.
La
cicatrice sulla faccia, quella che gli attraversava la guancia
deformandogli il labbro superiore, gli rammentò il brutto muso di
Xcor.
«Perché, abbiamo una riunione?» chiese, pescando il
cellulare dal giubbotto.
Lo
aveva controllato solo per vedere se Blay aveva cercato di
contattarlo con una telefonata o un SMS. Una foto. Una cazzo di
emoji.
Macché,
niente. E non aveva fatto caso a nient’altro.
Ecco,
ti pareva: messaggio di gruppo che convocava la confraternita nello
studio di Wrath. Esattamente a quell’ora.
«Pare
proprio di sì» borbottò, rimettendo il cellulare nel giubbotto e
seguendo Z.
Strada
facendo non si parlarono. Meglio così. Entrò nello studio a testa
bassa e puntò verso l’angolo più lontano dal camino acceso.
L’ultima cosa di cui aveva bisogno era un revival del disastro
colossale di due sere prima. Tutti erano a conoscenza dei fatti e
gli avevano fatto ampiamente sapere come la pensavano quando era
rimasto chiuso dentro la Tomba.
Potevano benissimo archiviarlo come un memorabile spasso
collettivo.
In
compenso, l’accesso di collera che gli aveva fatto scaricare la
pistola dentro casa non era stato ancora sviscerato del tutto.
Poteva sempre esserci un supplemento di discussione.
O
forse, chissà, c’era una terza possibilità: qualcosa che, con un
po’ di fortuna, magari non c’entrava niente con lui.
Wrath
era seduto dietro la scrivania intagliata, sul trono che per tanti
anni era stato di suo padre. Di fianco a lui Vishous, una sigaretta
accesa nella mano guantata, scrutava i presenti coi suoi occhi di
ghiaccio. Butch era sul divano con Rhage e il loro peso combinato
metteva a dura prova la resistenza del delicato sofà francese
d’epoca. Z si era piazzato accanto a Phury, vicino alla libreria.
Era presente anche Rehv.
Poi
entrò John Matthew, che si guardò intorno. Appena vide Qhuinn andò
verso di lui e si appoggiò contro il muro, infilando le mani nelle
tasche di calzoni di pelle.
Qhuinn
lanciò un’occhiata all’amico. «Noi due dovremmo essere di turno
insieme, stasera.»
John
annuì e tirò fuori le mani dalle tasche per comunicare nella lingua
dei segni. Non penso che andremo da
nessuna parte.
«Non
vogliono farmi scendere in campo?»
No, è
per via della tormenta. È una nevicata da record. Inaudita per
questo periodo dell’anno.
Qhuinn
abbandonò la testa all’indietro fino a toccare la parete alle sue
spalle. La sua solita fortuna del cazzo. Mica poteva restare tutta
la notte in quella casa mentre i suoi figli erano con quella
femmina, Blay si rifiutava di parlargli e i suoi Fratelli erano
ancora incazzati neri con lui per la faccenda di
Xcor-evaso-dalla-Tomba.
’Fanculo, pensò. Mica era in prigione. Mica
doveva…
Wrath
prese la parola dal trono. «Allora, cominciamo.»
Qhuinn
incrociò le braccia al petto, preparandosi a sentirsi dire per
l’ennesima volta che razza di mostro era.
«Sappiamo dov’è Xcor» annunciò il Re. «E lui mi porterà i
Bastardi.»
Immediatamente tutti balzarono in piedi in un’esplosione
di commenti e imprecazioni – lui stesso si lanciò in qualche
esclamazione colorita, scioccato da maledetto. Il bastardo era
stato ricatturato? Ma allora perché nessuno lo aveva
avvertito…
Be’…
evidentemente i Fratelli ne avevano fin sopra i capelli di lui e
Xcor, concluse, ripensando al casino che aveva combinato alla
Tomba.
«È
mio!» gridò Tohr sovrastando il baccano. «Tocca a me
ucciderlo!»
Questo
è tutto da vedere, cazzo, pensò Qhuinn, ma se lo tenne per sé. Chi
lo trova per primo lo ammazza, punto e basta.
Se lo
beccava per primo lui, quel gran figlio di puttana, lo avrebbe
scannato e al diavolo tutt…
«No»
ringhiò Wrath. «Non lo ucciderà proprio nessuno.»
Una
volta metabolizzato il messaggio del Re, tutti ammutolirono e V
andò a piazzarsi dietro Tohr, neanche fosse pronto a bloccarlo con
un braccio intorno al collo.
Un
momento… e chi lo dice? pensò Qhuinn.
«Mi
sono spiegato?» disse perentorio il Re. «Che nessuno si azzardi a
ucciderlo.»
Dopodiché, tanto per non lasciare adito a dubbi, Wrath
guardò prima Tohr… e poi proprio Qhuinn.