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A
volte, nella vita, si può rimanere vittima di un incidente d’auto
senza neanche essere al volante. O per strada. O in nessunissimo
genere di veicolo a motore.
Quando
quelle parole uscirono dalla bocca di Layla ed entrarono nel
cervello di Tohr per venire elaborate, il Fratello ebbe la
vertiginosa sensazione di perdere il controllo e poi, sì, ci fu
come un impatto violento quando realizzò che, sì, Layla l’aveva
proprio detto. Sì, diceva sul serio. Sì… lo stava ancora guardando
negli occhi.
È
tuo fratello.
«Stai
mentendo» si scoprì a dire.
«No. È
scritto nella biblioteca del Santuario. Vai a leggere tu
stesso.»
«Ho
letto il mio libro. Non c’è il minimo accenno a un
fratello…»
«È nel
volume dedicato a tuo padre. Xcor è figlio del Fratello Hharm.
Proprio come te.»
Tohr
barcollò fino al vecchio divano davanti al fuoco ormai spento e
crollò pesantemente sui duri cuscini. «No.»
«Te lo
ripeto, vai lassù a leggere tu stesso. E poi rifletti: non solo
stai contravvenendo a un ordine esplicito di Wrath, ma oltretutto
uccideresti il tuo parente più stretto.»
Lui non
avrebbe saputo dire per quanto era rimasto seduto lì. Era troppo
impegnato a passare al setaccio il suo passato, prima del suo
arrivo nel Nuovo Mondo, in cerca di un indizio rivelatore, un
segno… qualunque cosa.
«Com’è
possibile che io non ne sapessi niente?» Scosse la testa. «Com’è
possibile tenere segreta una cosa simile?»
«Appena
nato, Xcor venne rifiutato dalla sua mahmen. Suo padre, tuo
padre, fece altrettanto.»
«Per
colpa del suo labbro.»
«Sì. Da
quel che ho capito ha vissuto con una bambinaia che non sopportava
di vederlo e che lo ha trattato in maniera terribile finché non lo
ha abbandonato.» Seguì una pausa. «Xcor mi ha detto che lo teneva
incatenato fuori dalla casa dove abitava. Come un
cane.»
Tohr
chiuse gli occhi.
«Lui
non sa di te» proseguì Layla con voce meno stridula, meno adirata,
come avvertendo un suo cambiamento d’umore. «Per quel che ne so,
nessuno lo sa.»
Lui
alzò gli occhi di scatto. «Glielo stai tenendo
nascosto?»
«No,
Xcor sa che sono in possesso di questa informazione, ma dice che
non vuole conoscerla. Che non modifica il passato e non avrà alcun
impatto sul futuro.»
«Questo… non cambia ciò che ha fatto.»
«No,
però spero che cambi ciò che farai tu.»
Lui
rimase in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto. Era difficile
classificare le emozioni che provava in categorie nette e definite
come choc, tristezza, collera, dolore. E poi, tanto per dire, lo
choc è un’emozione? Non riusciva neanche a capire se provava
qualcosa, cazzo. Mica aveva avuto un affettuoso rapporto
padre-figlio, con Hharm, dunque perché scoprire che suo padre aveva
avuto un altro figlio doveva fargli effetto? Quanto a Xcor, poi…
con lui non aveva proprio nessun legame.
A parte
il proclama che lo autorizzava a giustiziarlo.
Proclama che, Layla aveva ragione, non era più
valido.
Alzò la
testa, tornando a focalizzarsi sull’Eletta. Ferma vicino alla
porta, Layla lo osservava, il viso composto come un ritratto, anche
se gli occhi ardevano ancora per la loro lite.
Per il
loro scontro violento.
«Mi
dispiace» disse, in tono distante. «Per prima.»
Lei
scosse la testa, decisa. «Non ho intenzione di chiedere scusa
perché amo Xcor. Anzi, sono lieta che mi sia toccato in sorte di
amarlo. Se mi fossi innamorata di un altro non sarei stata
costretta a essere tanto forte… e non c’è niente di sbagliato – in
questo mondo o nell’altro – nello scoprire la propria
forza.»
Ben
detto, pensò lui.
«Fai la
cosa giusta, Tohr» disse Layla. «Mi hai sentito? Rappacificati con
Xcor e assicurati che non gli capiti niente di male.»
«Non
posso controllare il mondo intero.»
«No,
però puoi controllare te stesso. È una lezione che sto imparando
anch’io.»
Subito
dopo Layla tornò al ranch. Entrò dalla vetrata, si chiuse dentro e
si mise in ascolto. Xcor non era ancora rientrato, meglio così. Non
doveva sapere che lei aveva intuito chi gli aveva sparato e che per
questo aveva affrontato un Fratello.
Senza
contare che aveva reso nota la verità su suo padre.
Beata
Vergine – ehm, Beato Allupato Lassiter – sperava tanto che Tohr
tenesse la bocca chiusa. Ma aveva fatto ciò che andava fatto per
strappargli un cessate il fuoco.
Chi
aveva conosciuto il dolore di perdere la sua shellan e il figlio che lei
portava in grembo non avrebbe ucciso il proprio fratello di sangue.
No, non poteva.
Scese
nel seminterrato e andò in bagno con l’intenzione di fare una
doccia. Ma appena si vide riflessa nello specchio sopra al
lavandino si bloccò. Indossava ancora la veste tipica delle Elette,
infilata dopo che Xcor era uscito; conosceva quelle falde bianche
come il palmo della propria mano.
Slacciò
la cintura, aprì le due metà della tunica e la sfilò dalle braccia
e dalle spalle.
Reggendola davanti a sé, ripensò ai tanti anni passati
indossando quell’uniforme. Persino dopo che Phury aveva liberato
tutte le Elette, lei l’aveva usata più degli altri abiti. Era
comoda, pratica, e poi lei la trovava rassicurante, le spiaceva
staccarsene, un po’ come un bambino che si aggrappa al suo
giocattolo preferito o a una coperta calda.
Era
anche un simbolo.
Non
solo del passato della razza, ma del suo passato
individuale.
La
piegò con cura, rispettosamente. Poi la posò sul piano di marmo del
lavandino e fece un passo indietro.
In cuor
suo sapeva che non ne avrebbe mai più indossata una. Altri
indumenti gliel’avrebbero ricordata, ne era certa: abiti lunghi,
lunghi soprabiti, persino una coperta avvolta intorno alle spalle e
lunga fino ai piedi.
Ma lei
non era più un’Eletta, e non solo perché la Vergine Scriba stessa
non c’era più.
Il
punto era un altro: quando sei al servizio di qualcun altro, quando
vivi un ruolo deciso da qualcun altro… e poi scopri chi sei
veramente… non puoi più tornare a servire.
Lei era
una mahmen. Era un’amante. Era una femmina fiera, una femmina
forte, una femmina che conosceva la differenza tra ciò che è giusto
e ciò che è sbagliato, tra un familiare e un estraneo, tra il bene
e il male. Era sopravvissuta a un parto gemellare e aveva appena
tenuto testa a un Fratello. Ed era pronta a sfidare anche il Re, se
necessario. Era fallibile, poteva andare in confusione e ogni tanto
anche sbagliare.
Ma
sarebbe sopravvissuta. È questo che fanno i forti.
Guardò
negli occhi la sua immagine riflessa con la sensazione di vedere il
suo viso per la prima volta. Al Santuario aveva trascorso anni e
anni in attesa di essere chiamata a rivestire il ruolo di
ehros, in una
esistenza al contempo totalmente dettata da altri eppure insensata,
poiché non c’era nessun Primale
da soddisfare sessualmente.
In
seguito, dopo essere stata liberata insieme alle sue sorelle, era
approdata sulla Terra, dove si era mossa timidamente, a tentoni, in
punta di piedi, tra gli usi a lei ignoti della vita moderna. Aveva
vissuto un disperato periodo del bisogno con Qhuinn seguito
dall’ansia della gravidanza, durante la quale la sua vita era stata
divisa a metà con Xcor. Dopodiché? Il parto che l’aveva quasi
uccisa, lo strazio per la disintegrazione della sua unità
familiare… e per l’imminente perdita di Xcor.
Ciononostante era ancora viva ed era lì. A guardarsi allo
specchio.
E, per
la prima volta in vita sua, ciò che vedeva le incuteva
rispetto.
«Lieta
di conoscerti» mormorò, inchinandosi davanti al suo
riflesso.