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Vishous rientrò al palazzo della confraternita di
pessimo umore. Aveva una gran voglia di andare alla Tana a stappare
una bottiglia di Grey Goose. O magari sei. O anche dodici.
Ma
quando riprese forma nel cortile, fermo nel vento gelido accanto
alla fontana svuotata e coperta da un telone per l’inverno, capì
che per quanto desiderasse sfuggire alla situazione in cui si era
volutamente cacciato non poteva sottrarsi al casino che aveva
combinato.
Avanzando deciso verso i gradini di pietra che
immettevano nel sontuoso ingresso del palazzo, alzò lo sguardo sui
doccioni appollaiati lungo la grondaia. Cosa non avrebbe dato per
essere uno di quei bastardi inanimati che non avevano niente da
fare, niente di cui preoccuparsi se non, ogni tanto, qualche
piccione che gli cagava in testa.
Oddio…
forse questo in effetti faceva un po’ schifo.
Bah.
Spalancò il portone ed entrò nel vestibolo, piazzando il
muso davanti alla telecamera di sorveglianza. Quando Fritz andò ad
aprirgli e lo accolse allegramente come suo solito, dovette
trattenersi dall’azzannare il povero doggen.
Su per
lo scalone. Tre gradini alla volta.
E poi
eccolo davanti alla porta a due battenti dello studio di Wrath.
Dall’interno provenivano delle voci – un bel botta e risposta, in
effetti. Spiacente, anzi no, ma quello che aveva da riferire aveva
la precedenza su tutto il resto, eccetto forse
l’Armageddon.
Bussò
energicamente e, senza attendere risposta, entrò.
Wrath,
dietro l’antica scrivania che era stata di suo padre, alzò la testa
di scatto e, malgrado gli occhi ciechi fossero invisibili dietro
gli occhiali scuri, V capì che lo stava fulminando con lo
sguardo.
«Vuoi
che ti ficchi in gola una copia del galateo?» sbottò il Re. «Non
puoi piombare qua dentro senza permesso, stronzo.»
Accanto
a lui Saxton, legale della Corona nonché esperto di antiche usanze,
alzò a sua volta lo sguardo. Davanti a loro c’erano un mucchio di
scartoffie e un paio di testi antichi. Sax non disse nulla, ma da
come i suoi capelli, solitamente in perfetto ordine, erano tutti
per aria si poteva ragionevolmente supporre che fossero alle prese
coi problemi relativi alla custodia dei figli di Qhuinn e
Layla.
E, sì,
seduta su uno dei delicati divanetti francesi vicino al camino
acceso c’era la Regina, a braccia conserte e con una ruga profonda
come un burrone in mezzo alla fronte.
«Devo
parlarti un minuto a quattr’occhi» disse V a bassa voce, rivolto a
Wrath.
«Allora
torna quando te lo dico io, cazzo.»
«È una
questione della massima urgenza.»
Wrath
si appoggiò allo schienale dell’imponente trono intagliato
appartenuto a suo padre e, prima ancora, al padre di suo padre. «Mi
dici almeno di cosa si tratta?»
«Non
posso. Mi spiace.»
Sull’elegante stanza azzurra calò qualche secondo di
silenzio; poi Wrath si schiarì la gola, voltandosi in direzione
della sua shellan. «Leelan? Ti spiace scusarci un attimo?»
Beth si
alzò in piedi. «Penso che non ci sia altro da dire. Dividerai
equamente la custodia e stasera al tramonto Layla potrà tenere i
suoi bambini. Sono proprio contenta quando io e te ci troviamo
d’accordo. Riduce la tensione.»
Ciò
detto, uscì dallo studio a testa alta e schiena dritta – mentre il
Re, alla scrivania, si prendeva la testa tra le mani come se gli
scoppiasse.
«Non è
che sia in disaccordo con lei» borbottò quando la porta si chiuse
sbattendo. «Vorrei solo evitare ulteriori sparatorie in questa
cazzo di casa.»
L’ultima parola venne pronunciata ad altissimo
volume.
Poi
però il Re lasciò ricadere le braccia e si girò verso V. «Il mio
avvocato può restare?»
«No.»
«Grandioso. Altre rogne in vista.»
Saxton
cominciò a raccogliere le carte e i libri, ma il Re lo fermò. «No.
Dopo torna subito dentro. Aspetta qua fuori.»
«Senz’altro, mio Signore.»
Saxton
si inchinò, sebbene Wrath non potesse vederlo, ma lui era fatto
così: sempre educato, sempre inappuntabile. Passando accanto a V si
inchinò di nuovo, malgrado il pessimo tempismo di
quell’interruzione.
Bravo
ragazzo. Ancora innamorato di Blay, probabilmente, ma così è la
vita, cosa vuoi farci.
Al che
V ripensò alla conversazione avuta con Layla nella casa sicura, e
poi a tutti quei simpatici ricordi personali che lo avevano
assediato nel bosco. Cristo, era stufo marcio di romanticismo, vero
amore e smancerie varie.
«Allora?» lo sollecitò imperioso Wrath.
V
attese che la porta si fosse richiusa.
«So
dov’è Xcor.»
Seduta
in poltrona di fronte a Xcor, Layla lo guardò mangiare tutta la
minestra, tutti i cracker Carr’s e poi tutta la pizza ai peperoni
surgelata che aveva infilato nel forno prima di portare giù nel
seminterrato il primo carico di vivande.
Lui non
parlava e, in assenza di conversazione, si ritrovò a fissarlo,
talmente assorta che le veniva quasi da scusarsi.
Com’era
dimagrito, beata Vergine Scriba; eppure, malgrado morisse di fame,
usava le posate in ossequio alle buone maniere – tagliava perfino
la pizza con coltello e forchetta. Inoltre si puliva regolarmente
le labbra col tovagliolo, masticava a bocca chiusa e, pur divorando
calorie a tutto spiano, non lasciava in giro neanche una
briciola.
«C’è
una vaschetta di stracciatella alla menta» gli disse quando lui
ebbe finito di mangiare. «Su di sopra… sai, in
frigorifero.»
Perché…
dove altro potevano tenerlo, sopra una mensola insieme ai
libri?
Xcor si
limitò a scuotere la testa, piegò il tovagliolo e si appoggiò allo
schienale del divano. Adesso aveva lo stomaco visibilmente gonfio.
Espirò a fondo, come per fare posto a tutto quello che aveva
ingurgitato – e l’aria fosse un bene meno desiderabile della
pizza.
«Grazie» disse piano.
Quando
si guardarono negli occhi, lei fu acutamente consapevole che erano
soli… e per un attimo immaginò che quella fosse casa loro, che i
loro figli stessero dormendo, su di sopra, e che loro due stessero
per godersi un po’ di tempo tranquilli, per conto
loro.
«Devo
andare» disse Xcor, alzandosi e prendendo il vassoio. «Io… devo
andare via.»
Layla
si alzò a sua volta, stringendo le braccia intorno al corpo. «Va
bene.»
Adesso
lo avrebbe seguito su per le scale. E dopo? Be’, forse avrebbero
condiviso un lungo abbraccio e poi un addio che l’avrebbe quasi
uccisa…
Xcor
rimise giù il vassoio.
Quando
girò intorno al tavolino e tese le braccia, lei si precipitò da
lui, premendosi contro il suo corpo, stringendolo più forte che
poteva. Era tremendo sentire le sue ossa, ora che i muscoli si
erano assottigliati, ma quando girò la testa poggiando l’orecchio
al centro del suo petto, il battito del cuore era forte, regolare.
Potente.
Le sue
mani, così grandi, così delicate, le accarezzavano la schiena, su e
giù.
«È più
sicuro, per te» disse Xcor, contro i suoi capelli.
Lei si
scostò e lo guardò. «Baciami. Una volta sola, prima di andare
via.»
Xcor
chiuse gli occhi, come se stesse soffrendo atrocemente. Poi però le
prese il viso tra le mani e posò la bocca sulla sua…
quasi.
«Il mio cuore è tuo per
l’eternità» sussurrò nell’Antico
Idioma, fermandosi a un pelo delle sue labbra. «Ovunque io vada, è sempre con te, nelle tenebre e nella
luce, nelle ore di veglia e in quelle di sonno. Sempre… con
te.»
Il
bacio, quando arrivò, fu come la neve che cade, silenzioso e
delicato, ma caldo, caldissimo. Quando Layla si appoggiò contro di
lui, Xcor la prese per la vita e, a contatto col suo inguine, si
eccitò all’istante – lei sentiva la sua erezione, dura, contro il
ventre… lo desiderava da così tanto tempo che le salirono le
lacrime agli occhi.
Sogni.
Quanti sogni aveva fatto, quante situazioni aveva immaginato in cui
Xcor finalmente veniva da lei, la spogliava e possedeva, affondando
dentro di lei. Quante fantasie, ognuna più impossibile della
precedente, di loro due che facevano l’amore per terra, al quartier
generale della confraternita, nei bagni, sul sedile posteriore di
un’auto, sotto l’albero nel loro campo.
La sua
vita sessuale, inesistente nel mondo reale, era fiorita nella sua
immaginazione.
Ma
nulla di tutto ciò si sarebbe mai realizzato.
Xcor
smise di baciarla, anche se – lei lo sentiva – stava lottando
contro l’istinto di marchiarla come sua. L’odore che emanava,
intenso, penetrante, le riempiva le narici, eccitandola quanto
sentire la sua erezione, il suo corpo, le sue mani, la sua
bocca.
«Non
posso farti mia» sussurrò lui, la voce velata di desiderio. «Ti ho
già fatto anche troppo male.»
«Potrebbe essere la nostra unica occasione» si scoprì a
implorare lei. «Lo so… so che non tornerai da me.»
Lui
scosse la testa, infinitamente triste. «Non è destino che stiamo
insieme.»
«Chi lo
dice?»
Cedendo
alla disperazione lo afferrò per la nuca attirandolo di nuovo a sé,
poi lo baciò con tutta se stessa e gli infilò la lingua in bocca,
tanto da strappargli un ansito, inarcandosi contro di lui,
allargando le cosce per permettergli di avvicinarsi ancora di più
al suo sesso.
«Layla»
gemette lui. «Misericordia divina… non è giusto…»
Aveva
assolutamente ragione, naturalmente. Non era affatto giusto, in
base ai criteri che governavano il resto del mondo. Ma in quel
momento, lì, in quella casa altrimenti deserta, era…
Tutt’a
un tratto lui la allontanò… e proprio quando lei stava per
protestare, udì dei passi al piano di sopra. Due serie di passi.
Entrambe molto, molto pesanti.
«Vishous» sussurrò.
La voce
disincarnata del Fratello li raggiunse dalla cima delle scale.
«Già, e ho portato un amico.»
Layla
si piazzò davanti a Xcor, ma lui non volle saperne e la spostò di
peso dietro di sé; evidentemente il suo lato protettivo si
rifiutava di lasciarla stare davanti a lui.
Il
Fratello scese le scale per primo, con entrambe le pistole
spianate. Sulle prime lei non capì chi c’era dietro di lui, ma un
solo paio di gambe poteva essere così lungo. Un solo petto poteva
essere così ampio. Un solo vampiro al mondo aveva i capelli neri
lunghi fino al sedere.
Il Re
in persona era venuto.
Scendendo l’ultimo gradino, Wrath piantò i piedi per
terra e inspirò a fondo, dilatando le narici. Era enorme, beata
Vergine Scriba, e con quegli occhiali da sole neri che gli
nascondevano completamente gli occhi sembrava proprio un
killer.
Cosa
che in effetti era, rifletté Layla.
«Bene,
bene, bene, c’è profumo di romanticismo nell’aria» borbottò il Re.
«Bella fregatura.»