24
Vishous rientrò al palazzo della confraternita di pessimo umore. Aveva una gran voglia di andare alla Tana a stappare una bottiglia di Grey Goose. O magari sei. O anche dodici.
Ma quando riprese forma nel cortile, fermo nel vento gelido accanto alla fontana svuotata e coperta da un telone per l’inverno, capì che per quanto desiderasse sfuggire alla situazione in cui si era volutamente cacciato non poteva sottrarsi al casino che aveva combinato.
Avanzando deciso verso i gradini di pietra che immettevano nel sontuoso ingresso del palazzo, alzò lo sguardo sui doccioni appollaiati lungo la grondaia. Cosa non avrebbe dato per essere uno di quei bastardi inanimati che non avevano niente da fare, niente di cui preoccuparsi se non, ogni tanto, qualche piccione che gli cagava in testa.
Oddio… forse questo in effetti faceva un po’ schifo.
Bah.
Spalancò il portone ed entrò nel vestibolo, piazzando il muso davanti alla telecamera di sorveglianza. Quando Fritz andò ad aprirgli e lo accolse allegramente come suo solito, dovette trattenersi dall’azzannare il povero doggen.
Su per lo scalone. Tre gradini alla volta.
E poi eccolo davanti alla porta a due battenti dello studio di Wrath. Dall’interno provenivano delle voci – un bel botta e risposta, in effetti. Spiacente, anzi no, ma quello che aveva da riferire aveva la precedenza su tutto il resto, eccetto forse l’Armageddon.
Bussò energicamente e, senza attendere risposta, entrò.
Wrath, dietro l’antica scrivania che era stata di suo padre, alzò la testa di scatto e, malgrado gli occhi ciechi fossero invisibili dietro gli occhiali scuri, V capì che lo stava fulminando con lo sguardo.
«Vuoi che ti ficchi in gola una copia del galateo?» sbottò il Re. «Non puoi piombare qua dentro senza permesso, stronzo.»
Accanto a lui Saxton, legale della Corona nonché esperto di antiche usanze, alzò a sua volta lo sguardo. Davanti a loro c’erano un mucchio di scartoffie e un paio di testi antichi. Sax non disse nulla, ma da come i suoi capelli, solitamente in perfetto ordine, erano tutti per aria si poteva ragionevolmente supporre che fossero alle prese coi problemi relativi alla custodia dei figli di Qhuinn e Layla.
E, sì, seduta su uno dei delicati divanetti francesi vicino al camino acceso c’era la Regina, a braccia conserte e con una ruga profonda come un burrone in mezzo alla fronte.
«Devo parlarti un minuto a quattr’occhi» disse V a bassa voce, rivolto a Wrath.
«Allora torna quando te lo dico io, cazzo.»
«È una questione della massima urgenza.»
Wrath si appoggiò allo schienale dell’imponente trono intagliato appartenuto a suo padre e, prima ancora, al padre di suo padre. «Mi dici almeno di cosa si tratta?»
«Non posso. Mi spiace.»
Sull’elegante stanza azzurra calò qualche secondo di silenzio; poi Wrath si schiarì la gola, voltandosi in direzione della sua shellan. «Leelan? Ti spiace scusarci un attimo?»
Beth si alzò in piedi. «Penso che non ci sia altro da dire. Dividerai equamente la custodia e stasera al tramonto Layla potrà tenere i suoi bambini. Sono proprio contenta quando io e te ci troviamo d’accordo. Riduce la tensione.»
Ciò detto, uscì dallo studio a testa alta e schiena dritta – mentre il Re, alla scrivania, si prendeva la testa tra le mani come se gli scoppiasse.
«Non è che sia in disaccordo con lei» borbottò quando la porta si chiuse sbattendo. «Vorrei solo evitare ulteriori sparatorie in questa cazzo di casa
L’ultima parola venne pronunciata ad altissimo volume.
Poi però il Re lasciò ricadere le braccia e si girò verso V. «Il mio avvocato può restare?»
«No.»
«Grandioso. Altre rogne in vista.»
Saxton cominciò a raccogliere le carte e i libri, ma il Re lo fermò. «No. Dopo torna subito dentro. Aspetta qua fuori.»
«Senz’altro, mio Signore.»
Saxton si inchinò, sebbene Wrath non potesse vederlo, ma lui era fatto così: sempre educato, sempre inappuntabile. Passando accanto a V si inchinò di nuovo, malgrado il pessimo tempismo di quell’interruzione.
Bravo ragazzo. Ancora innamorato di Blay, probabilmente, ma così è la vita, cosa vuoi farci.
Al che V ripensò alla conversazione avuta con Layla nella casa sicura, e poi a tutti quei simpatici ricordi personali che lo avevano assediato nel bosco. Cristo, era stufo marcio di romanticismo, vero amore e smancerie varie.
«Allora?» lo sollecitò imperioso Wrath.
V attese che la porta si fosse richiusa.
«So dov’è Xcor.»
Seduta in poltrona di fronte a Xcor, Layla lo guardò mangiare tutta la minestra, tutti i cracker Carr’s e poi tutta la pizza ai peperoni surgelata che aveva infilato nel forno prima di portare giù nel seminterrato il primo carico di vivande.
Lui non parlava e, in assenza di conversazione, si ritrovò a fissarlo, talmente assorta che le veniva quasi da scusarsi.
Com’era dimagrito, beata Vergine Scriba; eppure, malgrado morisse di fame, usava le posate in ossequio alle buone maniere – tagliava perfino la pizza con coltello e forchetta. Inoltre si puliva regolarmente le labbra col tovagliolo, masticava a bocca chiusa e, pur divorando calorie a tutto spiano, non lasciava in giro neanche una briciola.
«C’è una vaschetta di stracciatella alla menta» gli disse quando lui ebbe finito di mangiare. «Su di sopra… sai, in frigorifero.»
Perché… dove altro potevano tenerlo, sopra una mensola insieme ai libri?
Xcor si limitò a scuotere la testa, piegò il tovagliolo e si appoggiò allo schienale del divano. Adesso aveva lo stomaco visibilmente gonfio. Espirò a fondo, come per fare posto a tutto quello che aveva ingurgitato – e l’aria fosse un bene meno desiderabile della pizza.
«Grazie» disse piano.
Quando si guardarono negli occhi, lei fu acutamente consapevole che erano soli… e per un attimo immaginò che quella fosse casa loro, che i loro figli stessero dormendo, su di sopra, e che loro due stessero per godersi un po’ di tempo tranquilli, per conto loro.
«Devo andare» disse Xcor, alzandosi e prendendo il vassoio. «Io… devo andare via.»
Layla si alzò a sua volta, stringendo le braccia intorno al corpo. «Va bene.»
Adesso lo avrebbe seguito su per le scale. E dopo? Be’, forse avrebbero condiviso un lungo abbraccio e poi un addio che l’avrebbe quasi uccisa…
Xcor rimise giù il vassoio.
Quando girò intorno al tavolino e tese le braccia, lei si precipitò da lui, premendosi contro il suo corpo, stringendolo più forte che poteva. Era tremendo sentire le sue ossa, ora che i muscoli si erano assottigliati, ma quando girò la testa poggiando l’orecchio al centro del suo petto, il battito del cuore era forte, regolare. Potente.
Le sue mani, così grandi, così delicate, le accarezzavano la schiena, su e giù.
«È più sicuro, per te» disse Xcor, contro i suoi capelli.
Lei si scostò e lo guardò. «Baciami. Una volta sola, prima di andare via.»
Xcor chiuse gli occhi, come se stesse soffrendo atrocemente. Poi però le prese il viso tra le mani e posò la bocca sulla sua… quasi.
«Il mio cuore è tuo per l’eternità» sussurrò nell’Antico Idioma, fermandosi a un pelo delle sue labbra. «Ovunque io vada, è sempre con te, nelle tenebre e nella luce, nelle ore di veglia e in quelle di sonno. Sempre… con te.»
Il bacio, quando arrivò, fu come la neve che cade, silenzioso e delicato, ma caldo, caldissimo. Quando Layla si appoggiò contro di lui, Xcor la prese per la vita e, a contatto col suo inguine, si eccitò all’istante – lei sentiva la sua erezione, dura, contro il ventre… lo desiderava da così tanto tempo che le salirono le lacrime agli occhi.
Sogni. Quanti sogni aveva fatto, quante situazioni aveva immaginato in cui Xcor finalmente veniva da lei, la spogliava e possedeva, affondando dentro di lei. Quante fantasie, ognuna più impossibile della precedente, di loro due che facevano l’amore per terra, al quartier generale della confraternita, nei bagni, sul sedile posteriore di un’auto, sotto l’albero nel loro campo.
La sua vita sessuale, inesistente nel mondo reale, era fiorita nella sua immaginazione.
Ma nulla di tutto ciò si sarebbe mai realizzato.
Xcor smise di baciarla, anche se – lei lo sentiva – stava lottando contro l’istinto di marchiarla come sua. L’odore che emanava, intenso, penetrante, le riempiva le narici, eccitandola quanto sentire la sua erezione, il suo corpo, le sue mani, la sua bocca.
«Non posso farti mia» sussurrò lui, la voce velata di desiderio. «Ti ho già fatto anche troppo male.»
«Potrebbe essere la nostra unica occasione» si scoprì a implorare lei. «Lo so… so che non tornerai da me.»
Lui scosse la testa, infinitamente triste. «Non è destino che stiamo insieme.»
«Chi lo dice?»
Cedendo alla disperazione lo afferrò per la nuca attirandolo di nuovo a sé, poi lo baciò con tutta se stessa e gli infilò la lingua in bocca, tanto da strappargli un ansito, inarcandosi contro di lui, allargando le cosce per permettergli di avvicinarsi ancora di più al suo sesso.
«Layla» gemette lui. «Misericordia divina… non è giusto…»
Aveva assolutamente ragione, naturalmente. Non era affatto giusto, in base ai criteri che governavano il resto del mondo. Ma in quel momento, lì, in quella casa altrimenti deserta, era…
Tutt’a un tratto lui la allontanò… e proprio quando lei stava per protestare, udì dei passi al piano di sopra. Due serie di passi. Entrambe molto, molto pesanti.
«Vishous» sussurrò.
La voce disincarnata del Fratello li raggiunse dalla cima delle scale. «Già, e ho portato un amico.»
Layla si piazzò davanti a Xcor, ma lui non volle saperne e la spostò di peso dietro di sé; evidentemente il suo lato protettivo si rifiutava di lasciarla stare davanti a lui.
Il Fratello scese le scale per primo, con entrambe le pistole spianate. Sulle prime lei non capì chi c’era dietro di lui, ma un solo paio di gambe poteva essere così lungo. Un solo petto poteva essere così ampio. Un solo vampiro al mondo aveva i capelli neri lunghi fino al sedere.
Il Re in persona era venuto.
Scendendo l’ultimo gradino, Wrath piantò i piedi per terra e inspirò a fondo, dilatando le narici. Era enorme, beata Vergine Scriba, e con quegli occhiali da sole neri che gli nascondevano completamente gli occhi sembrava proprio un killer.
Cosa che in effetti era, rifletté Layla.
«Bene, bene, bene, c’è profumo di romanticismo nell’aria» borbottò il Re. «Bella fregatura.»