20
Fermo davanti a Layla e Xcor, Vishous cominciava a
perdere la pazienza. Un po’ come un ladro che abbandona gli
scrupoli: non che ci volesse molto. Ma tant’è.
«Layla»
disse perentorio, «levati dalle palle. Subito.»
«Vai
via, amore mio» disse il nemico, steso a terra.
«E
fallo come si deve, eh» disse V. Roba da matti: stava davvero dando
man forte a quello stronzo lì per terra? «Torna indietro fino alla
casa sicura. Lui saprà fin dove arriverai e stai pur certa che
glielo chiederò.»
«Ti
prego risparmialo» implorò Layla, ergendosi in tutta la sua
statura. «Ti prego…»
V
fendette l’aria con la pistola, spazientito. «Preoccupati dei tuoi
figli, femmina, non di uno come lui.»
Alla
fine Layla fece ciò che era giusto – perché in fondo era una
persona perbene: dopo un’ultima, lunga occhiata al bastardo che
amava, annuì recisa e chiuse gli occhi. Ci mise un po’ a
smaterializzarsi, ma era prevedibile. Le emozioni erano alle
stelle. Almeno per quei due.
Lui
invece? Freddo e controllatissimo, grazie mille.
Dopo
che l’Eletta se ne fu andata, si focalizzò sul pezzo di merda ai
suoi piedi. «È uscita dal bosco?»
Xcor
chiuse le palpebre. «Sì, è lontanissima. Ha onorato la tua
richiesta.»
«Mentire servirà solo a fotterla.»
«La
verità è l’unica moneta valida per me, ora.»
«Complimenti, figlio di puttana, allora sei
ricco.»
Vishous
si inginocchiò; stivali e giubbotto scricchiolarono al
freddo.
«Sono
pronto» biascicò Xcor.
V
scoprì le zanne. «Non me ne frega un cazzo se sei pronto o no,
stronzo. Mica mi occorre il tuo permesso per ficcarti una
pallottola in testa.»
«Sì,
hai ragione.» Xcor sostenne il suo sguardo. «Sei tu che
comandi.»
Con la
mano libera V tirò fuori una sigaretta e la infilò tra gli
incisivi. Aveva in mente di accenderla. Sul serio. Sì… l’avrebbe
accesa e poi, soffiando fuori il fumo, avrebbe piantato un bel
pezzo di piombo nel lobo frontale di Xcor.
Eh, sì.
Uh-huh…
Già.
Qualche
istante dopo – o forse qualche anno dopo, cazzo – mise via la
pistola e si sfilò, un dito dopo l’altro, il guanto foderato di
piombo. Alla vivida luce della sua maledizione vide Xcor in un
primo piano alla Cecil B. DeMille e il suo primo pensiero fu:
caaaazzo, se voglio far fuori questo stronzo mi conviene sbrigarmi.
Al suo confronto Vincent Price sembrava il testimonial nella
pubblicità di un centro abbronzatura.
V alzò
la sua amichetta letale, accese la sigaretta col dito medio e diede
un tiro.
Cosa
cazzo stava facendo?
O non facendo, nella fattispecie.
Ehi,
sveglia! avrebbe voluto dire al suo scroto, tira fuori le palle!
Okay, ce n’era solo una, lì dentro, ma la violenza non era mai
stata un problema per lui.
Eppure
eccolo lì: malgrado fosse solo soletto e quindi libero di fare
quello che gli pareva… non si decideva a sparare in testa a
Xcor.
Male,
male, male… molto male.
Dopodiché le cose andarono di male in
peggio.
Senza
pensare a cosa stava facendo, tese la mano maledetta sopra il
nemico nudo e agonizzante e ordinò all’energia di fluire dal
proprio corpo a quello di Xcor. Subito ondate di calore pulsarono
sopra quel mezzo cadavere e la neve, più che sciogliersi, svanì
come carta che, accartocciandosi, si ritrae dalla
fiamma.
Xcor
gemette, col corpo rattrappito che affondava sempre più nella
fanghiglia generata dal calore, mentre il terreno ghiacciato
conosceva un risveglio primaverile.
Il
bastardo cominciò a rabbrividire. Via via che il sangue riprendeva
a scorrere più fluido, le sue estremità iniziarono a gonfiarsi e a
tremare violentemente, il turgore rimpiazzato da una vitalità che
doveva essere dolorosa come venire scuoiato con una spada
arrugginita. Osservando quelle lente contorsioni, V pensò alle
mosche sui davanzali delle finestre. Un’analogia non
particolarmente originale, ma azzeccatissima, cazzo.
«V-v-v-ishous…»
«Cosa?»
Xcor lo
guardò; gli occhi, iniettati di sangue, lacrimavano da maledetto.
«Devi… sapere…»
«Cosa?»
Passò
qualche secondo prima che il bastardo ricominciasse a parlare. «Lei
non ha nessuna colpa. Mi assumo io tutta la responsabilità. Layla
non ha mai fatto niente di male, è stata sempre solo una
vittima.»
«Sei
proprio un cazzo di gentiluomo, eh?»
«Altrimenti, una come lei non avrebbe mai avvicinato uno
come me.»
«Su
questo non ci piove.»
«E alla
fine l’ho lasciata andare. L’ho allontanata da me.»
V
spense la sigaretta nella neve. «Vorrà dire che ti proporrò per il
Nobel per la pace. Contento, adesso?»
«Ho
dovuto lasciarla andare» biascicò il nemico. «Era l’unico modo… ho
dovuto lasciarla andare.»
Vishous
si accigliò. Poi scosse la testa. Ma non perché fosse in disaccordo
con quel miserabile pezzo di merda.
Stava
cercando di scacciare un ricordo… inutilmente.
Era una
cosa accaduta secoli prima, o almeno questa era la sensazione. Lui
e Jane erano nella cucina dell’appartamento dove abitava lei; lui
davanti ai fornelli, lei appoggiata a un bancone. Il ricordo era
così nitido che risentiva ancora il tintinnio del cucchiaio
d’acciaio inox contro il pentolino di acciaio inox mentre mescolava
adagio la cioccolata, sempre più fragrante via via che si
scaldava.
Quando
la bevanda aveva raggiunto la temperatura giusta, aveva riempito
una tazza e l’aveva data a Jane, guardandola negli occhi mentre la
teneva in mano. Dopodiché le aveva ripulito la memoria, cancellando
tutti i ricordi a breve termine, ogni traccia del tempo trascorso
insieme.
Tutto
sparito. Il sesso che avevano fatto. Il loro affiatamento. La loro
storia.
Spazzati via come se non fossero mai
esistiti.
Almeno
per lei.
Per
lui, invece, era rimasto tutto lì, e non avrebbe voluto che fosse
altrimenti. Si era sentito pronto a reggere la mancanza di Jane,
gli anni senza di lei, la separazione dalla sua dolce metà, che lo
avrebbe menomato per sempre. Non aveva avuto altra scelta, a quel
punto. Lei era una umana con una vita tutta sua. Lui apparteneva a
una specie che gli umani non sapevano neanche esistesse ed era
coinvolto in una guerra che poteva solo farla
ammazzare.
Dopo,
naturalmente, visto che sua madre era una brutta bestia e il
destino aveva un perverso senso dell’umorismo, avevano dovuto
affrontare sfide ancora più difficili…
Per
quanto lottasse contro quell’ondata di ricordi, la sua mente si
rifiutò di assecondarlo; tutt’a un tratto la scena in cucina lasciò
il posto a una scena ancora peggiore: Jane colpita da un
proiettile, che moriva dissanguata tra le sue braccia. Poi rivide
se stesso, a letto, raggomitolato un po’ come Xcor in quel momento,
che voleva morire a sua volta.
Distolse bruscamente lo sguardo dal bastardo. Potendo, se
ne sarebbe andato.
Invece
strinse i denti e infilò di nuovo dentro al giubbotto la mano
“buona”, quella che non era in grado di bruciare le auto
trasformandole in pezzi di scultura moderna. Con uno sforzo erculeo
scacciò ricordi ed emozioni, mettendo alla porta quei visitatori
indesiderati con la stessa affabilità di un buttafuori che svuota
il locale prima della chiusura.
Ciao
ciao.
Non
c’era posto per le emozioni nel quadro più generale. Proprio
no.
E
neanche per le rimembranze del passato.
Nel
soggiorno del grazioso piccolo ranch, Layla era ferma davanti a un
gigantesco quadrante di orologio montato sulla parete come elemento
decorativo. Con le lancette nere tutte svolazzi lunghe come le sue
braccia e i numeri in corsivo che sembravano usciti da un romanzo
di Dickens, era un oggetto bizzarro ed elegante insieme – oltre che
funzionale.
Non
piangeva più, ma le guance, paonazze, le bruciavano. Tutte quelle
lacrime, tutto quello sfregare per asciugarle e tutto quel freddo
avevano quasi scorticato il primo strato di pelle. E poi le faceva
male la gola. E le punte delle dita – tutte quante, senza eccezione
– scampate per un pelo ai geloni, pulsavano come se avessero un
battito cardiaco tutto loro.
Vishous
aveva calato la carta vincente e aveva avuto ragione, come al
solito: se voleva rivedere Lyric e Rhamp, l’ultima cosa che poteva
giocare a suo favore era ostacolare l’esecuzione di
Xcor.
Specie
se faceva qualche pazzia… come gettarsi davanti a un proiettile
destinato a lui.
Morale:
avrebbe sempre messo i suoi figli al di sopra di tutto e di tutti,
compresa se stessa – e compreso Xcor. Però, Dio, che dolore perdere
colui che amavi. Era qualcosa che ti cambiava nel profondo, sul
serio, quello strazio nel petto, un fardello emotivo che la faceva
sentire più pesante e impedita nei movimenti…
Sul
momento quasi non si accorse dello squillo di un telefono, in
cucina. Solo quando quello tacque, per riprendere a suonare subito
dopo, si accigliò, lanciando un’occhiata al di là della porta ad
arco.
Il
cellulare che le aveva lasciato Vishous ammutolì di nuovo. Poi
riattaccò immediatamente a squillare.
Forse
qualcuno stava cercando di contattarlo per chiedergli di
accompagnarla a vedere i suoi figli?
Layla
si precipitò verso il tavolo per controllare il display. Era
acceso… col nome di Vishous.
Il
Fratello chiamava se stesso? Impossibile. In quel momento stava
ficcando una pallottola nel…
Con gli
occhi che bruciavano, colmi di lacrime, si portò le mani al volto.
Almeno il Fratello avrebbe trattato con rispetto le spoglie di
Xcor? Il pensiero che non lo facesse le risultava
intollerabile…
Il
cellulare si azzittì. E quando rimase in silenzio Layla si girò
dall’altra parte. Doveva trattarsi di qualche malfunzionamento, un
tasto o un pulsante premuto involontariamente per uno spostamento
del corpo o per chissà che altro…
La
suoneria ricominciò a farsi sentire per la terza volta. O era la
quarta?
Aggrottando la fronte, Layla si girò di nuovo, prese il
cellulare e rispose…
«Cristo
santo» sbottò Vishous, anticipandola. «Ce ne hai messo di
tempo.»
Layla
trasalì. «Co… come?»
«Vieni
qui.»
«Cosa?»
«Mi hai
sentito. Torna nei boschi.»
Layla
cominciò ad ansimare, soffocata da un misto di tristezza e terrore.
«Come puoi essere così crudele. Non posso vederlo
morto…»
«Allora
ti conviene venire qua subito a nutrirlo. Dobbiamo portarlo fuori
da questa foresta.»
«Che
cosa!?»
«Ma sei
sorda? Sbrigati a venire qua prima che cambi idea,
cazzo.»
La
telefonata venne troncata così bruscamente che le venne da
chiedersi se V non avesse scaraventato lontano il telefono. O
l’avesse preso a pistolettate, magari.
Col
cuore che batteva all’impazzata e la testa che girava, staccò il
cellulare dall’orecchio e rimase a fissarlo. Poi lo buttò sul
tavolo.
Prima
che quello smettesse di rimbalzare sul piano di legno, lei era già
fuori dalla vetrata, pronta a smaterializzarsi.
Riprese
forma nel punto esatto in cui aveva lasciato Xcor. A un metro e
mezzo da lui, Vishous fumava avidamente, neanche la sigaretta
infilata tra i denti fosse la sua unica fonte d’ossigeno. Xcor nel
frattempo era stato trasformato da chissà quale fonte di calore, la
neve che prima aveva addosso e tutto intorno era sparita, il
terreno sotto di lui era tutto fango e pozzanghere, la pelle non
era più grigiastra ma rosso fuoco.
Era
vivo. E appena si accorse della sua presenza mosse leggermente la
testa e girò gli occhi. «Layla…?»
«Cosa…
perché…» balbettò lei.
Vishous
fendette l’aria con la mano, ma quando parlò parve esausto. «Senza
offesa, ma chiudete il becco tutti e due, okay? Niente domande. Tu…
nutrilo e basta. E tu… attaccati alla sua vena e vedi di sbrigarti
a bere. Io torno tra una ventina di minuti e a quel punto vi
converrà essere pronti a levare le tende.»
Con
quel simpatico soprassalto di ottimismo, il Fratello si
smaterializzò e svanì nel nulla.
Era
tutto un sogno? si chiese lei, incredula. Poi passò immediatamente
all’azione.
Speriamo che Vishous abbia il piede pesante, pensò,
gettandosi in ginocchio.
Senza
perdere tempo a parlare con Xcor, tirò su in fretta la manica per
scoprire il polso, si aprì la vena con le zanne e gli accostò alla
bocca quella fonte di forza e nutrimento.
Ma lui
si rifiutò di schiudere le labbra, negando l’accesso alla forza
vitale di cui aveva disperatamente bisogno.
Guardava fisso Layla, in silenzio, e scuoteva la
testa.
A lei
tornò in mente la prima volta che lo aveva incontrato, sotto
l’acero in quel campo. Anche allora aveva provato a
respingerla.
«Senza
offesa» mormorò, «ma bevi, cazzo.»
Non
sapeva perché Vishous avesse deciso di risparmiare la vita al suo
nemico, ma non aveva nessuna intenzione di mettersi a questionare –
o a dare per scontata quella tregua: il Fratello poteva benissimo
cambiare di nuovo idea e tornare con la pistola spianata. O col
pugnale. O con i rinforzi.
Quando
Xcor la respinse per l’ennesima volta, lei gli strinse forte il
naso con la mano libera. «Se mi ami, salvati. Non vorrai che abbia
la tua morte sulla coscienza?»
Vedendo
che lui non reagiva, apparentemente deciso a soffocare, cercò di
capire come aprirgli a forza i denti. Poi però lui ansimò
leggermente… e non servì altro.
Una
goccia o due di sangue doveva essergli entrata in bocca, perché
Xcor gemette in modo diverso e inarcò il busto, sfregando le gambe
come travolto da un bisogno incontenibile.
Poi
soffiò come un predatore…
… e la
azzannò con tale foga da strapparle quasi
un’imprecazione.
Ora sì
che beveva di gusto, a grandi sorsate. Lei sapeva di dover stare
molto attenta: senza volerlo, Xcor rischiava di ucciderla; la fame
poteva avere la meglio su ogni altro istinto, compreso quello che
lo spingeva a proteggerla.
Beata
Vergine Scriba, chissà cosa aveva in mente Vishous. Avrebbe tanto
voluto saperlo – ma a volte nella vita è meglio non guardare troppo
in là. Per il momento doveva solo pensare a nutrire Xcor e a
scaldarlo finché Vishous non tornava con un qualche mezzo di
trasporto.
Dopodiché? Non ne aveva idea.
Guardò
Xcor. Ravviandogli i capelli incrociò i suoi occhi spiritati e fu
colta dal bisogno incontenibile di pregare. Cedendo a
quell’impulso, cominciò a recitare quartine che conosceva sin dalla
nascita, su al Santuario; le antiche parole sacre le attraversavano
la mente a passo di carica e il ritmo tambureggiante dell’Antico
Idioma si riverberava fino al centro del petto.
Peccato
che lassù non ci fosse più nessuno in grado di ascoltarle. Ma cosa
importava? Vishous era l’unico salvatore a loro disposizione… e lei
avrebbe fatto di necessità virtù.