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Per quanto attentamente Priest studiasse il tabellone del Risiko, non sapeva cosa muovere. Quasi tutto il planisfero, a eccezione di un focolaio di resistenza blu in Estremo Oriente, era coperto da carri armati rossi.

William batté le nocche sul tavolo. «Quanto pensi di metterci per accettare che le tue probabilità di vittoria sono ormai statisticamente prossime allo zero, fratellino?»

«Dammi un secondo.» Priest spostò una pedina a ovest e tirò il dado.

«Mi piace sfidarti a Risiko.»

«Io preferivo giocare a Indovina Chi.»

«Ovvio, con i giochi da tavolo sei un noto incapace. Ma un bravo fratello.» William lanciò il dado e rimosse un carro armato nemico, con una risata argentina.

«Come te la passi ultimamente, Wills?»

«Sono un po’ preoccupato per te. Come sempre, del resto.»

«Sul serio?»

«Sì. Non te lo aspettavi? Che fossi in grado di concepire pensieri empatici e altruisti, dico. Dopo tutto quello che ho fatto.»

Priest accennò alla mappa. «Tocca ancora a te.»

«Scherzi? Sei proprio sicuro di volerle lasciare qui, queste?» William indicò una truppa rossa nella propaggine orientale dell’Asia.

«Tocca a te.»

William scrollò le spalle. «Contento tu.» Controllò le proprie carte e mandò rinforzi in zone già ad alta densità rossa. «Quindi la faccenda importante di cui mi parlavi l’altra volta si è risolta per il meglio?»

«Diciamo che si è risolta.»

«Al telegiornale hanno detto che nel nostro antiquato e insignificante Paese è appena stata scoperta una cellula neonazista. Non è che per caso c’entri qualcosa?»

«Posso farti una domanda?»

«Certo. Tra fratelli non devono esserci segreti.»

«Quando hai ucciso quelle persone... non è che a un certo punto ti è sembrato di trovare Dio, vero?»

Una frazione di secondo prima di lanciare il dado, William si fermò e lo guardò.

Priest lo fissò di rimando. Per la prima volta da che avesse memoria, nei suoi occhi scorse un barlume di umanità.

«Solo una volta.»

«Quando?»

Per un istante William rimase perfettamente immobile, poi lanciò il dado. «Quando mi sono costituito. Il mio lavoro era concluso.»

A Fen Marsh aveva smesso di piovere. Priest attraversò il parcheggio a capo chino, le mani sprofondate nelle tasche dell’impermeabile.

Okoro era fermo davanti alla macchina, a braccia incrociate. «Come stava?»

«Non malissimo. L’ho perfino battuto a Risiko. Sta perdendo colpi.»

«È solo una questione di fortuna.»

«Come sempre, no?»

«Mmm.» Okoro aprì la portiera sinistra e gli fece segno di salire in macchina.

«Non posso guidare io?»

«La mia macchina? No, Priest. Tu non la guidi, la mia macchina. È già tanto se ti reggi in piedi. Sei stanco morto. Da quanto tempo non dormi?»

Con riluttanza, Priest salì dal lato del passeggero mentre Okoro si sedeva al volante. L’odore di pelle nuova era fortissimo.

«A ripensarci, McEwen ci ha parlato subito dell’Ephemera. Chissà perché, poi. Non ne aveva alcun bisogno.»

«Arroganza e stupidità, direi. Secondo me ci godeva a mostrare di sapere cose che noi non sapevamo.»

Okoro guardò il cruscotto. «E adesso che si fa?»

Priest infilò la mano nella tasca dell’impermeabile ed estrasse una fiaschetta. Svitò il tappo e si sciacquò la bocca con un’ultima sorsata di whisky di malto. «Portami a casa, Okoro. Devo prepararmi per un appuntamento con una ex cliente.»