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Georgie aprì lentamente gli occhi. Il dolore alla testa era lancinante. Per qualche secondo il campo visivo rimase sfocato. Non c’era altro che buio.

Forse si stava muovendo. Sentiva dei rumori. Il ronzio del motore e la vibrazione delle ruote sull’asfalto.

Era sdraiata sul fondo di metallo gelido di un veicolo in corsa.

Dopo qualche minuto, la nausea si attenuò. Quando provò a sedersi, lo spazio intorno a lei divenne più nitido. Il tettuccio era alto abbastanza da permetterle di stare in piedi. Doveva essere una specie di minivan. Con orrore capì che doveva trattarsi del furgoncino bianco visto sul marciapiede un attimo prima dell’aggressione.

La nausea tornò.

Con le mani tremanti, si frugò in tasca. Il cellulare non c’era. «Dio...»

Georgie non era religiosa. L’esistenza di Dio le sembrava un’ipotesi estremamente improbabile. All’improvviso però provava un bisogno bruciante di credere in lui. Di credere che qualcuno – chiunque – in quel momento la stesse guardando.

Ma tali pensieri non le davano alcun conforto. Il cuore le saltò un battito. S’immaginò Vlad l’Impalatore alla guida del furgoncino, drappeggiato in una tunica macchiata di sangue, un ghigno osceno aleggiante sul volto pallido come un sudario.

Non si era mai sentita tanto sola in vita sua.

Priest e Jessica entrarono in un lussuoso ufficio nell’angolo dello stabile più vicino al fiume. Se ci fosse stato bel tempo, dalla finestra avrebbero visto l’appartamento di Priest.

Alta e snella, con due bicipiti levigati dalla palestra a smorzare la sua altrimenti notevole femminilità, Sandra aveva poco più di cinquant’anni ed era tutto sommato una bella donna. La pelle olivastra la ringiovaniva e negli occhi brillava una scintilla che Priest aveva sempre gradito, anche se non al punto da accettare, tanto tempo prima, la sua proposta di matrimonio. Dopo tutti quegli anni, non aveva ancora capito se Sandra scherzasse o meno.

«Santo cielo, Charlie, hai davvero una brutta cera.» Sandra li precedette in un ufficio lussuoso, stipato di schedari, carte, atti e pile di fogli legati con del nastro rosa.

«Non sei la prima a dirmelo.»

«E temo che non sarò l’ultima, finché non ti deciderai a farti una doccia e a dormire otto ore filate.»

«Pensavo che ti piacesse la mia aria da maledetto.»

Sandra rise. «Nei tuoi sogni. Per caso la mia segretaria si è dimenticata di mettere in chiaro che non ricevo senza appuntamento? Perché altrimenti cosa cazzo la pago a fare?»

«Scusami. Siamo invadenti, hai ragione. Ma se non fosse una questione di importanza cruciale non ti avrei disturbato, credimi.»

«Mi devi un grosso favore, faccia d’angelo, e farò in modo di ricordartelo.» Di nuovo quella scintilla negli occhi.

Priest si chiese se Sandra facesse così con tutti o soltanto con lui. Notò che Jessica, al suo fianco, si muoveva a disagio.

«Ah, perdoni la maleducazione. Sandra Barnsdale» disse lei, porgendole la mano.

«Jessica Ellinder.»

Sandra si bloccò e li guardò entrambi. «Ellinder? Ti sei messo a giocare nel campionato dei professionisti, Priest?»

«Non stiamo assieme» disse subito Jessica. Uno sfogo rosso le si stava diffondendo sul petto.

«Ah, capisco. Ricevuto.» Fece loro cenno di sedersi dietro l’enorme scrivania.

«Cosa ne pensi delle efemere, Sandra?»

La sua espressione non cambiò. Posò il mento sulla mano e li guardò, in attesa della prossima mossa.

Priest le mise davanti la chiavetta.

«Dove l’hai trovata?» sussurrò Sandra. Prese la chiavetta, se la rigirò tra le dita e la mise sul tavolo.

«Me l’ha spedita il procuratore generale.»

«E come mai?»

«Pensavo di chiederlo a te.» Dalla sua espressione, capì di averla scossa.

Sandra rimase qualche istante in silenzio, poi spinse indietro la sedia e andò versò il bollitore che stava su un tavolino lì accanto. «Bevi sempre Earl Grey?» chiese a Priest, voltandosi verso di lui.

Lui annuì. Jessica prese un caffè senza zucchero. Sandra preparò le bevande con espressione assorta, versandosi un bicchiere d’acqua. «Questa chiavetta, se è ciò che penso che sia, è la cosa peggiore che potesse capitarti. Speravo davvero di non doverla rivedere mai più.»

«Ti garantisco che questa conversazione non sarà mai avvenuta. Però devi raccontarmi tutto quello che sai.»

Sandra si voltò verso di lui, ma lo fissò come se fosse trasparente. «C’è qualcuno in pericolo?»

«Sì.»

«Tu?»

«Un po’.»

Sandra parve rimuginare. Alla fine si sedette di nuovo e spinse i bicchierini di plastica verso di loro sulla scrivania. «Mi dovrai un bel favore» disse, mettendo due cucchiaini di zucchero nel caffellatte che si era preparata.

«Non posso promettere nulla.»

«Mmm.» Nonostante il sorriso, il tono di Sandra era serio. «Ho ereditato il file da mio padre. Faceva parte dell’eredità che mi ha lasciato dopo che il cancro gli ha divorato il cervello. Mi ha fatto giurare che non l’avrei mostrato a nessuno, nemmeno ai miei collaboratori. È un documento di garanzia.»

«Quindi non è probatorio?»

«No. Ogni tanto riceviamo file simili. Ci limitiamo a conservarli.»

«Non esistono apposta le banche svizzere?» chiese Jessica.

Sandra colse al volo l’ostilità del suo tono. «C’è chi preferisce un approccio più all’antica. Del resto, come biasimarli? Abbiamo un caveau ignifugo, tre server fuori città e siamo tenuti per legge al segreto professionale. In un certo senso siamo più sicuri di una banca svizzera.» Accostò il bicchierino alla bocca.

Sembrava rilassata, ma sulle sue tempie Priest notò goccioline di sudore. Sperava che arrivasse presto al punto.

Sandra lo accontentò. «Le istruzioni riguardo al file sono molto semplici. Ogni tanto riceviamo le generalità di un individuo e le aggiungiamo all’elenco, poi salviamo la versione aggiornata proprio su questa chiavetta. Per ogni nuovo nome riceviamo un versamento di millecinquecento sterline.»

«Una bella mancia.»

Sandra rivolse a Jessica un sorriso asettico.

«Chi vi fornisce i nomi?» chiese Priest.

«Non lo so. Ogni volta arriva un corriere privato. Quindi la fonte è anonima.»

«Ma almeno sai chi è il tuo cliente?»

«No.»

«Come fai a venire al corrente degli aggiornamenti?»

«Tramite il versamento e, naturalmente, il corriere.»

«Ma per chi registri questi dati? Come fai a sapere se qualcuno ne ha bisogno?»

«Per una simile eventualità, ho delle istruzioni specifiche.»

«E per verificare l’autenticità delle istruzioni ti affidi sempre a un versamento?»

«Sì. Un milione di sterline. E una password, ovviamente.»

Priest guardò una gocciolina scivolare lungo la tempia di Sandra Barnsdale. «Tutto questo deve aver avuto un inizio, Sandra. Qualcuno avrà dato a tuo padre il primo giro di istruzioni.»

Lei annuì. «Ma erano affari suoi. Non mi ha mai detto nulla in merito.»

«E a lei non è sembrato strano?» chiese Jessica. «Che la pagassero migliaia di sterline per mantenere segreta una lista di nomi e indirizzi?»

Sandra rispose piccata. «Questo studio riceve un’enorme quantità di richieste strane, signorina Ellinder.»

«Quando avete fatto l’ultimo aggiornamento?» chiese Priest.

«Qualche mese fa. Ora non mi ricordo bene, ma la procedura è stata identica alle altre volte. Un corriere privato recapita le informazioni in forma cartacea. Noi aggiorniamo il file, poi distruggiamo il foglio. Arriva il versamento in contanti. Infine prepariamo una ricevuta a uso interno.»

«E quindi com’è che la chiavetta è finita tra le mani del procuratore generale?»

Sandra fece un respiro profondo. «Perché gliel’ho spedita io.»

Quando capì che non avrebbe aggiunto altro, Priest la invitò ad andare avanti.

«È ovvio che questi dati non hanno alcuna legittimità giuridica. L’ho sempre saputo, ma non avevo la più pallida idea di cosa quei nomi significassero. Spesso non ci dormivo la notte, credimi. Più di una volta ho persino fatto delle ricerche. Nella lista ci sono alcuni personaggi di spicco e, be’, sembravano avere tutti soltanto una cosa in comune.»

«I soldi?»

«Bravo. Sono tutti schifosamente ricchi. Qualche settimana fa è successo qualcosa che mi ha impedito di mantenere il segreto come avevo promesso a mio padre.»

«Racconta» disse Priest con dolcezza, impaziente di sentire il resto. Sandra sembrava in bilico tra la voglia di vuotare il sacco e l’impulso a tacere tutto. Lui sperava che Jessica rimanesse in silenzio e non la costringesse a optare per la seconda alternativa.

Sandra sospirò. «Qualche settimana fa, Philip Wren è passato a trovarmi. Forse ormai è già trascorso un mese, non ricordo di preciso. È stata la conversazione più surreale della mia vita.» Per un attimo cercò di mettere ordine nei pensieri. Bevve un po’ d’acqua. «Si è seduto lì dove siete voi e mi ha spiegato di essere stato chiamato a dirigere un’unità speciale che indagava su un’organizzazione criminale. Era una vicenda così scottante che ho dovuto firmare una clausola di segretezza. Quindi, voglio che mi giuriate di non rivelare quanto sto per dirvi a nessuno. E comunque io non vi ho mai detto nulla. Chiaro?»

«Hai la mia parola, Sandra.»

«Mi ha spiegato di essere in possesso di informazioni che lo portavano a ritenere che il mio studio fosse in qualche modo legato con l’organizzazione su cui stava indagando. Puoi immaginare come mi sono sentita. Lui mi ha fatto capire che probabilmente il nostro coinvolgimento era involontario, ma era evidente che se ci fosse stata una fuga di notizie noi ne saremmo usciti distrutti.»

«Quindi sapeva del file?»

«Sì, sapeva di questo cazzo di file. Non aveva chiari tutti i dettagli, sapeva soltanto che conservavo dei dati per qualcuno. Non ho idea di come abbia fatto a scoprirlo.»

«Voleva che gli dessi la chiavetta.»

«No. Voleva solo che gliene confermassi l’esistenza. Se avessi detto di sì, avrebbe fatto firmare dal tribunale un ordine di consegna. In questo modo io non avrei rotto il segreto professionale e le prove sarebbero state ottenute in modo legale.»

Priest schioccò la lingua. «Ma qualcosa è andato storto.»

Sandra esitò. «Che cosa sai del processo ai medici di Norimberga?»

«Alla fine della guerra, gli Alleati hanno convocato un tribunale militare per processare i vertici nazisti accusati di crimini di guerra. Dopo i pezzi grossi è toccato agli imputati meno celebri. Ventitré medici nazisti sono stati accusati, tra le altre cose, di aver perpetrato orribili esperimenti su esseri umani. Quasi tutti sono stati condannati a morte, anche se mi pare che alcuni invece li abbiano assolti.»

«Vedo che hai fatto i compiti» disse Sandra, con un debole sorriso.

«Ma cosa c’entra?»

«L’organizzazione su cui Wren stava investigando si era formata intorno agli anni Sessanta. Non erano propriamente neonazisti. È una faccenda molto più complicata. È come se stessero cercando di replicare gli esperimenti per cui sono stati processati i medici dell’Olocausto.»

«Fanno esperimenti sugli esseri umani?» chiese Jessica, agghiacciata. «È questo che le ha detto Wren?»

Sandra annuì in silenzio.

Priest bevve un sorso di tè. Aveva un sapore metallico. Aveva abbozzato una sorta di diagramma mentale, un albero dal cui tronco si diramavano le varie informazioni raccolte fino a quel momento: medici nazisti, veleno, soldi... Ma cosa c’entrava tutto quello con la morte di Miles Ellinder? Il dottore di cui ha parlato Tiff, Kurt Schneider, ha messo a punto una variante dello stesso veleno impiegato per torturare l’uomo nel bosco. «Comincio a capire com’è andata.»

Sandra abbassò lo sguardo per la vergogna. «Ero terrorizzata. Quando se n’è andato, per giorni non sono riuscita a dormire. Continuavo a entrare in ufficio, aprire la cassaforte e guardare il file. La lista di nomi. Cercate di capirmi: se Wren avesse ottenuto il mandato del tribunale, lo studio avrebbe chiuso. Non c’è modo di tenere segreta una notizia simile.»

«Quindi gli hai mandato la chiavetta e poi hai distrutto il file?» chiese Priest sottovoce.

Sandra aveva gli occhi lucidi. «E perciò andrò all’inferno. Ma come fai ad avercela tu?»

«È stato Wren a spedirmela. Secondo me, l’organizzazione di cui parlavi lo teneva in pugno. Lo ricattavano, minacciavano la sua famiglia, sua figlia. Ormai era dentro fino al collo. Allora avrà deciso di inviarla a me.» Ripensò alla lettera terribile che Wren gli aveva scritto: Ci sono vite in pericolo. Lo dico con la consapevolezza che le mie azioni potrebbero nuocere anche a te.

«Come fai a sapere che minacciavano sua figlia?»

«È sparita. È come se fosse scomparsa nel nulla. E sappiamo che il padre le ha lasciato un messaggio in segreteria, dicendole di scappare.»

Sandra si scostò i capelli dalla fronte, incrociò le braccia e scosse la testa, incredula. «Pensavo di salvare delle vite, non di metterle in pericolo.»

Priest ponderò se dirle che aveva fatto la cosa giusta, ma non era sicuro che gli avrebbe creduto. Forse era colpa di Sandra se Wren era morto. Aveva i nomi, ma non era stato pronto. Forse il loro incontro in quell’ufficio gli aveva fatto cambiare idea, o magari era stato proprio allora che le maglie della rete si erano strette su di lui... e su Hayley. Poi si riscosse. I fatti, prima di tutto. «Quando ricevi un aggiornamento del file, devi inserire anche data e ora dell’arrivo del corriere?»

«Sì. Perché me lo chiedi?»

«Può darsi che siano i nomi degli affiliati al gruppo. Magari è una specie di polizza assicurativa.»

«Per cementare l’unità dell’organizzazione» disse Jessica.

«Se qualcuno parla, la lista diventa pubblica e tutti vanno a fondo con la nave.»

«Non capisco» disse Sandra. «Che senso avrebbe?»

«Pensaci: se fossi tu la causa della fuga di notizie, non credi che gli altri membri ti verrebbero a cercare?»

Sandra si passò una mano sul volto. «Priest, pensi davvero di poter risolvere questo casino?»

«Dipende.» Priest incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale. Si sentiva esausto; la stanza gli girava attorno. Riusciva a malapena a mantenere a fuoco lo sguardo.

«Dipende da cosa?»

«Dal fatto che tu mi dica o meno qual è l’origine del file.»

Un lungo silenzio cadde nell’ufficio. Sandra strinse le labbra. Priest vedeva la sconfitta bruciarle negli occhi, ma era certo che non avesse ancora vuotato tutto il sacco.

«Priest... ti ho già detto che...»

«Non offendere la mia intelligenza, Sandra. Dimmi da dove proviene questo file di merda. Mi basta un nome.»

Lei deglutì a fatica. «La mia vita è in pericolo. Lo sai.»

«Sì, ovvio. Quindi è meglio se parli e ti togli questo peso.»

Sandra esitò e anche Priest tacque, le braccia incrociate, in attesa.

Alla fine lei sollevò le braccia e si alzò. «Mi avrai sulla coscienza.» Frugò in uno schedario accanto alla porta e tornò con una pratica tutta stropicciata, che mise di fronte a loro sulla scrivania. Il nome sulla copertina era eloquente.

Miller, Eva.

«E chi sarebbe?» chiese Priest, prendendo la pratica e studiandone il contenuto. Non c’era granché: brevi lettere, biglietti autografi, un testamento.

«Era una nostra cliente. È morta qualche anno fa. Gestivo io il suo patrimonio. È stata lei a creare il documento di garanzia, assieme a mio padre. Per sicurezza ho tenuto la pratica.»

Priest aprì il testamento e lo posò davanti a sé. Passò le dita sui fogli incartapecoriti tenuti assieme da un nastro. Anche se Eva Miller era morta, un testamento implicava un lascito e qualcuno a cui affidarlo. Finalmente abbiamo qualcosa in mano.

«Ti risparmio una lettura approfondita. Il beneficiario è uno solo: un certo colonnello Albert Ruck.»