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27 marzo 1946

Una fattoria isolata nell’Inghilterra Centrale

Ruck si svegliò all’alba con un cerchio alla testa e la macchia della propria colpa al centro del lenzuolo.

Allungò la mano, ma sapeva che Eva se n’era già andata. Ricordò che si era alzata nel cuore della notte. Si insultò per non aver agito in maniera più lucida, ma era esausto e aveva pensato che andasse semplicemente in bagno.

Si sedette e si passò le mani sul volto. Da qualche parte, un gallo cantava. A trovarselo davanti gli avrebbe sparato a bruciapelo. Prima di uscire dal letto si sfiorò il torace con le dita. Guardò la pelle allo specchio: una costellazione di lividi e di graffi. Sembrava che l’avesse aggredito una bestia selvatica. Si vestì: pantaloni, camicia, cravatta. Una nuova giacca gessata con l’etichetta CC41, che indicava gli indumenti creati in conformità alle leggi sul razionamento.

Quando Eva si era addormentata, Ruck aveva chiuso a chiave la pistola in un cassetto, una precauzione quotidiana che quella notte assumeva un valore particolare. Cercava di non pensare a ciò di cui si era reso complice, alla violenza che aveva sfogato su di lei, ma non poteva cancellare le immagini dalla propria mente. Né era in grado di esorcizzare la consapevolezza di ciò che Eva Miller aveva scatenato in lui: qualcosa di cui lui stesso aveva paura.

Ruck deglutì a fatica. Fitzgerald era morto. La sua amante era un’assassina.

Qualcuno diede tre colpi rapidi alla porta. Prima che Ruck avesse il tempo di rispondere, la maniglia si abbassò. Comparve un soldato, rosso in volto e sudato nonostante il freddo. Dal fucile sulla spalla spuntava una baionetta. Ruck si sforzò di ricordarne il nome. Paris. Esatto. Soldato semplice Paris. «Signore, deve venire con me.»

«Cosa?» Ruck corse verso l’armadio. Grazie a Dio la pistola era ancora lì.

Il soldato tremava. «Si tratta del dottor Schneider.» Fece dietrofront, attraversò di fretta il corridoio e scese le scale.

Ruck corse per stargli dietro. Anche mentre lo seguiva in cortile, non faceva altro che guardarsi intorno alla ricerca di Eva. Dov’era finita? Si voltò verso l’edificio principale. In cucina tutte le luci erano spente. Nelle finestre del primo piano non c’erano segni di movimento. Tutto taceva.

Tranne quel maledetto gallo.

Paris aprì la porta di una dépendance; dentro c’erano due soldati, i volti parzialmente illuminati dalla lampadina nuda appesa al soffitto. Alla vista di Ruck parvero farsi piccoli: erano stati loro a ricevere l’ordine di seppellire Fitzgerald.

«Cos’è successo?» chiese Ruck.

I due soldati si scambiarono un’occhiata nervosa.

Ruck stava perdendo la pazienza. «Allora?»

Quello a destra tolse il catenaccio dalla porta della cella di Schneider. Evidentemente qualcuno l’aveva già aperta. La porta si spalancò, il soldato si fece da parte e fece segno al colonnello di entrare.

Ruck estrasse la pistola, Paris lo seguì con il fucile spianato. Gli altri due rimasero fuori a sbirciare.

Ma non c’era bisogno di armi. Steso sul pavimento, Schneider non costituiva più una minaccia. Il suo volto non era più quello dell’uomo che Ruck aveva interrogato il giorno prima: il viso era una maschera di sangue, il naso piegato in un’angolazione agghiacciante. Sul corpo c’erano diverse ferite e i vestiti erano punteggiati di chiazze di sangue rappreso. La parte più martoriata però erano i piedi, ridotti a un ammasso di carne informe.

«Abbiamo trovato questo, colonnello» disse uno dei soldati, mostrandogli un martello a tenaglia imbrattato di sangue.

Ruck avanzò e si inginocchiò. Il volto di Schneider era così gonfio da impedirgli di aprire gli occhi; più che respirare, rantolava. Le ferite erano tremende. Il cuore di Ruck batteva all’impazzata. Non provava alcun rimorso per il nazista in sé – spesso la giustizia era un sentiero impervio per chi lo imboccava –, ma prima Fitzgerald, subito dopo lui... Doveva esserci qualcosa sotto. «Chi l’ha conciata così?» chiese Ruck sottovoce.

Schneider voltò la testa ed esalò un sospiro dolorante. Quando parlò, dalla sua voce l’arroganza era sparita: era soltanto un moribondo. «La sua bella dattilografa. Da non crederci, vero?»

«Non è riuscito a difendersi da una donna sola?» Con un fazzoletto, Ruck tamponò il taglio sulla guancia di Schneider. Eva lo aveva colpito con l’estremità a tenaglia del martello.

«È piena di sorprese, Herr Ruck. Con lei bisogna fare molta attenzione.»

«Che cosa voleva?»

«Farmi soffrire.»

Ruck gli afferrò la gola con una mossa fulminea.

Schneider fece una smorfia ma non aprì bocca.

«No, dottore. Che cosa voleva?»

Schneider sputacchiò e per un attimo Ruck credette che stesse morendo, ma poi quel suono si rivelò una risata, o qualcosa di simile, date le circostanze. «Vedo che non perde colpi. No, non era una visita di piacere. Non solo. Per salvarmi la vita ho anche dovuto dirle alcune cose.»

«Quali cose?»

«Pare che la sua dattilografa abbia una grande passione per la chimica.»

«Voleva la formula?»

«Ce l’aveva già.»

Gli occhi di Ruck si spalancarono, inorriditi. «Ce l’aveva già? Cosa...»

«Da me voleva sapere dettagli più specifici. Dove trovare gli ingredienti, per esempio.»

«E lei si è rifiutato di parlare?»

«Diciamo che lei ha avuto questa impressione, sì.»

«Ma alla fine le ha detto tutto.»

Schneider annuì, ma Ruck non avrebbe saputo stabilire se fosse deluso o soddisfatto. «Sì, tutto.»

Ruck lo allontanò con uno spintone – quella volta Schneider gridò di dolore – e uscì a passo svelto dalla cella.

«Cosa dobbiamo farne di lui, colonnello?» chiese Paris, alle sue spalle.

«Quando muore, seppellitelo accanto a Fitzgerald.»

Attraversò di corsa il cortile, raggiunse la propria camera e frugò nelle tasche dell’impermeabile indossato il giorno prima. Niente da fare. Buttò l’impermeabile a terra e cercò negli altri vestiti, ma sapeva di non aver mai cambiato il nascondiglio del foglietto. Secondo Schneider, attraverso la sofferenza altrui si arrivava a vedere Dio. Ruck ripensò a quanto gli aveva detto Eva, a come dalla sua bocca fossero uscite parole identiche a quelle del dottore. Ora sapeva che non sarebbe più tornata.

Eva. L’assassina.

Ruck guardò fuori dalla finestra. Il sole aveva superato la sommità degli alberi che circondavano la fattoria e gettava sull’erba ombre sottili. Più in là, il terreno saliva e scendeva, un acquerello grigio punteggiato di edifici distanti.

Lei era là fuori da qualche parte, una belva sguinzagliata nel mondo. Oscuri e potenti, i segreti di Schneider viaggiavano con lei.

Una portatrice di morte.

Una certezza perfino più forte del maledetto dovere nei confronti del Paese e dell’operazione Ephemera lo attanagliava.

Qualcuno doveva fermarla.