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26 marzo 1946
Una fattoria isolata nell’Inghilterra Centrale
Il colonnello Bertie Ruck non riusciva a dormire.
Ormai si era abituato allo sbatacchiare della porta spinta dal vento che proveniva dal camino, e perfino al lamento periodico del gufo che ogni notte si appollaiava in cima alla stalla. Non erano i rumori a causare l’insonnia. Doveva ammetterlo: era lui . O forse lei .
Si sedette, si massaggiò la testa, scese dal letto e infilò il cappotto sopra il pigiama. Magari una passeggiata lo avrebbe rilassato.
Prese una lampada a olio e sciabattò sul pianerottolo. Da lì la scala portava alla dispensa, dove una porta di quercia si apriva sul cortile. Schneider era in una vecchia dépendance in cortile, riadattata a prigione. A parte le manette che lo legavano al muro, dormiva in condizioni nettamente migliori dei suoi colleghi medici a Norimberga.
Appena imboccate le scale, Ruck vide una lama di luce sotto l’ultima porta del corridoio.
La camera di Eva.
La curiosità prevalse. Tese le orecchie e rimase immobile. Dalla stanza provenivano dei rumori. Sussurri, forse una colluttazione. Dovevano essere almeno in due.
Preoccupato, Ruck appese la lanterna a un gancio, tornò a passo felpato in camera e prese la pistola dalla fondina. Avanzò in punta di piedi verso la stanza della dattilografa, ma all’improvviso un urlo tremendo squarciò il silenzio del pianerottolo e riecheggiò in tutto il cortile.
«Eva!» Ruck fece gli ultimi metri di corsa e diede una spallata alla porta. I cardini si staccarono. Con la pistola in pugno, fece irruzione nella camera.
Lo spettacolo che gli si parò davanti lo lasciò a bocca aperta.
Eva era in piedi in un angolo, pallidissima. La camicia da notte a brandelli le lasciava scoperto un fianco, dal seno alla coscia. Per terra, accanto alle gambe del letto, Fitzgerald si dimenava come un posseduto, premendosi le mani sul torace. Il fucile giaceva accanto a lui.
Ruck impiegò qualche secondo a capire la situazione.
Fitzgerald indicò Eva. «Colonnello! Lei...»
Ruck vide il coltello nella mano della donna, la lama rossa di sangue. «Che cosa hai fatto?»
Lei lo guardò. Impossibile decifrare quegli occhi verdi. Nessuna angoscia, nessuna paura. Nulla. «Voleva violentarmi.»
«Sta mentendo! Colonnello! Non le creda!»
Ruck strinse la pistola ma la tenne puntata verso il basso. Anche se fosse riuscito a racimolare il coraggio necessario per sollevarla, non sarebbe stato in grado di sparare. «Eva?»
«È entrato mentre dormivo. Poi mi ha messo il coltello alla gola e ha provato a violentarmi.»
Ruck esitò.
«Guardi!» gridò lei afferrando la camicia da notte strappata e tirando la stoffa tra le dita a mostrare la propria nudità.
«È stata lei a dirmi di venire» ansimò Fitzgerald. «Ha detto che venire qui era mio dovere . Colonnello, mi crede, vero?» Fitzgerald cominciò a strisciare sul pavimento verso di lui. Il sangue usciva a fiotti dalla ferita. Si stringeva l’addome nel disperato tentativo di arginare l’emorragia, ma era del tutto inutile.
Ruck sapeva che era una ferita fatale. «Eva, mi guardi. Mi guardi!»
Lei lo guardò. Aveva il volto chiazzato di sangue, gli occhi pieni di lacrime. «Mi ha tenuta ferma con un braccio. Ha detto che se mi fossi messa a urlare mi avrebbe sgozzata. Poi mi ha ordinato di aprire le gambe.»
«Troia bugiarda!» Con un ultimo sforzo, Fitzgerald si gettò sul fucile. Lo afferrò per il calcio e lo girò fino a puntare la canna su Eva.
Seguì uno sparo.
Fitzgerald si accasciò contro il muro accanto al letto.
Ruck abbassò la pistola.
Nella notte gelida, un gufo planò dalla stalla.
Sedevano entrambi in silenzio. Rannicchiata sul letto di Ruck, Eva si abbracciava le ginocchia. Dietro la scrivania, lui fumava guardando fuori dalla finestra.
Ruck cercava di non pensare alla curva del suo fianco, visibile attraverso lo strappo della camicia da notte. Lei non aveva fatto nulla per coprirsi. Avrebbe dovuto prestarle il suo cappotto, da gentiluomo.
Sentendo lo sparo, le due guardie di sorveglianza avevano scortato Schneider verso il lato opposto del cortile, con i fucili spianati.
Ruck aveva ordinato loro di rimuovere il cadavere di Fitzgerald e di seppellirlo nel bosco. «Nessuno di voi si lascerà sfuggire una sola parola su stanotte. Il caporale Fitzgerald non è mai esistito. Questa fattoria non è mai esistita. Voi non siete mai esistiti. È tutto chiaro?»
I soldati avevano annuito.
«Non azzardatevi nemmeno a prendere in considerazione l’ipotesi di disobbedire ai miei ordini, o subirete atroci conseguenze.»
Conseguenze. Sì, evitarle sarebbe stato impossibile, ma per il momento era meglio rimandare le preoccupazioni all’indomani.
Fece un lungo tiro. Il fumo caldo gli bruciava in gola. Quel fastidio gli piaceva e contribuiva ad attenuare la fitta di disagio nel ventre.
«Grazie.» Anche nel silenzio della notte, la voce di Eva era a malapena udibile.
Si girò verso di lei. Le vedeva un solo occhio, perché aveva la testa sprofondata tra le ginocchia. Se non avesse saputo che era impossibile, avrebbe giurato che sorridesse. Aveva la nausea. «Ha detto di essere stata aggredita.»
«Ha provato a violentarmi» replicò lei con lo stesso tono distaccato con cui lo aveva raccontato la prima volta. Quando Fitzgerald era ancora vivo.
«Va bene. E lei è riuscita a disarmarlo e a colpirlo con il coltello che lui le aveva puntato alla gola?»
«Sì.»
«Complimenti.» Ruck non credeva a una sola parola. Nemmeno a una. Ma ormai aveva sparato a Fitzgerald. Non è che mi ha fatto qualche incantesimo?
«Non lo so davvero come ci sono riuscita.»
La palese bugia aumentò il malessere di Ruck.
«Mi dispiace.»
«Di cosa?»
«Lei sta conducendo una missione importante. E io la distraggo.»
Ruck strinse le palpebre. Lo stuzzicava per vedere fin dove si sarebbe spinto. E lui aveva una nozione molto precisa dei propri limiti. Quando si rese conto di aver catturato la sua attenzione, Eva smise di abbracciarsi le ginocchia, allungò una gamba e si stese sul letto. Avrebbe dovuto dirle di piantarla, ma rimase a fissarla in silenzio.
Eva alzò le braccia e intrecciò le dita attorno alla testiera. Lo strappo nella camicia da notte mostrava tutte le sue forme, il corpo snello si muoveva sinuoso sul letto.
Quando si girò verso di lui, Ruck tentò di decifrare la sua espressione. Qualunque cosa significasse quel mezzo sorriso, non era certo il volto di una donna che aveva appena assistito a un’agonia.
«Allora, l’ha visto?» le chiese tra i denti.
«Chi?»
«Ha visto Dio?»
«In che senso, colonnello?» disse lei, civettuola. Il suo tono era del tutto fuori luogo.
Ruck era sul punto di perdere il controllo. «Quando ha affondato il coltello nell’addome di Fitzgerald e poi ha girato la lama. Quando lui ha cominciato a gridare. Ha visto Dio?»
«Lei ha delle strane idee.» Con un sospiro languido Eva si accarezzò l’addome dall’alto verso il basso.
Aveva qualcosa di bestiale.
«Non è vero, signorina Miller» sussurrò lui con la voce roca, a malapena in grado di parlare. «Non c’è assolutamente nulla di vero nella ridicola idea di Schneider che la sofferenza crei un canale diretto con Dio. È solo un delirio, una perversione, una fantasia malefica forgiata dalla bocca dei carnefici.»
«Oh, dice delle cose davvero assurde.» Le sue dita avevano raggiunto l’inguine. Gli occhi verdi trapassavano il volto di Ruck.
«Deve ascoltarmi. Non lo lasci entrare nella sua mente.»
«Non devo lasciar entrare chi?» gli chiese, passandosi la lingua sulle labbra.
«Schneider.»
Lei rise. «Sto sempre molto attenta a chi faccio entrare .»
Lui deglutì e spense la sigaretta. Forse stava per esplodere.
Lei si alzò dal letto, raccolse il lembo stracciato della camicia da notte e andò verso la porta. «Buonanotte. Sono sicura che domani mattina mi arriverà un ordine di trasferimento. Spero solo di non averle arrecato troppo disturbo.»
Lo scatto della serratura echeggiò nelle viscere di Ruck. Dentro di lui si era svegliata un’energia sconosciuta. Avanzò verso la porta come un tornado e precipitò su di lei con tale forza da farle sbattere la schiena contro lo stipite. La sentì che cercava di divincolarsi. Eva gli strinse i polsi e cercò di girarglieli... per respingerlo o per attrarlo a sé? Ruck non avrebbe saputo dirlo, né gli importava.
Tirò lo strappo nella camicia da notte e tastò la tiepida morbidezza della sua pelle.
«Colonnello, aspetti... no...»
Le dita di lei gli bloccarono il braccio destro con forza quasi sovrumana. Con l’altra mano gli prese il polso sinistro, torcendolo verso il basso finché non si ritrovò le dita nel santuario bollente tra le cosce di Eva.
Lei gli sfilò la cintura e lui le cadde addosso. Il sospiro che lasciò le sue labbra nell’istante in cui la pressione le svuotò d’aria i polmoni non fece che aumentare la frenesia di Ruck.
«No» disse Eva, mordendogli la spalla.
Il dolore lo percorse come una scarica elettrica. «So benissimo che stasera non mi hai detto la verità.»
Lei gli afferrò i capelli e gemette quando lui la penetrò.
Ruck sentiva sulla lingua la sua pelle bagnata, beveva il suo sudore. «Vuoi vedere Dio?» ansimò.
«Fammelo vedere...» Eva lo afferrò per il colletto e cominciò a graffiarlo sul collo, mentre lo accoglieva dentro di sé.