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Charlie Priest stava friggendo una sogliola in padella.
Per il momento non stava andando benissimo. Il fondo era troppo caldo e il burro schiumava ai bordi. La testa e la coda del pesce si arricciavano, seccandosi sotto i suoi occhi come carta bruciata.
«Fiamma troppo alta.» Gettò l’esperimento fallito nel bidone insieme ai due tentativi precedenti e posò la padella nel lavandino. Seguì uno sfrigolio irato. La sua inettitudine disgustava anche le stoviglie.
Mentre rifletteva se ordinare per l’ennesima volta del cibo d’asporto, qualcuno bussò.
In corridoio c’era un piccolo videocitofono. Tutti i nuovi attici ne avevano uno. Si poteva infilare un ferro da calza nello spioncino con fin troppa facilità. Priest guardò nello schermo. Stupendo. La serata migliora di minuto in minuto. Tolse il catenaccio e aprì con un sospiro. «’Sera, agente.»
Gli angoli della bocca dell’agente si sollevarono, come tirati da uncini, nell’immobilità totale dei muscoli circostanti. «Signor Priest?»
«Sì?»
Aveva un pacchetto tra le braccia. Un normalissimo imballaggio di cartone, nulla di straordinario. Un po’ più grande di una scatola da scarpe. L’agente aveva circa l’età di Priest, forse qualche anno in più. Unte ciocche di capelli neri sbucavano dal casco. La stella di Brunswick brillava nella luce che si riversava nel corridoio. «Posso entrare?»
«C’è per caso del cibo in quella scatola? Sto morendo di fame.»
«Magari, se mi lasciasse entrare...»
Priest scrollò le spalle e si fece da parte. Perché no? Prima di voltarsi, vide riapparire il sorriso meccanico.
Il poliziotto posò con cura la scatola sul tavolo. L’uniforme era immacolata.
Devono averlo appena assunto.
«Bella casa» disse, guardandosi intorno e soffermandosi su ogni particolare.
Era una cucina da negozio di arredamento. Superfici di granito nero su mobili in legno chiaro. Gli alti sgabelli da bar riprendevano i profili verde lime sul muro sopra i fornelli. L’odore di pesce carbonizzato permeava l’aria.
«Ma... questa puzza?»
«Sogliola al limone.»
«Ah, certo. Facile da bruciare.»
«Non saprei. Penso che sia un piatto piuttosto semplice.»
Ed ecco spuntare un terzo sorriso artificiale.
«Allora, cosa posso fare per lei, agente?»
«Be’, è il capo che mi manda quassù. Stanno liberando gli archivi e hanno trovato un bel po’ della sua vecchia roba. A essere sincero, io non avevo mai sentito parlare di lei, ma il capo ha detto che era un pezzo grosso nella polizia e mi ha chiesto di portarle la scatola di persona.»
«Me ne sono andato dall’unità investigativa dieci anni fa.»
«Davvero? Allora deve aver lasciato un gran bel ricordo.»
«Così pare. Anche se non mi sembra che mi manchi nulla.»
«Be’, vediamo un po’ di cosa si tratta.» Il poliziotto tolse il coperchio ed estrasse un lungo oggetto metallico.
«Un manganello a T. Sfollagente americano. A occhio e croce, risale agli anni Novanta. Peccato che io non ne abbia mai usato uno.»
«Sul serio?» Con apparente sorpresa l’agente abbassò lo sguardo sul manganello. Lo studiò da varie angolazioni, come per stanarne qualche segreto. Lo soppesò con la mano e scosse lievemente la testa.
«Ha detto che l’ha mandata il capo?» chiese Priest.
«Già.»
«Pritchard.»
«Già.»
«Il sovrintendente Pritchard?»
«Già.»
Priest si abbassò sull’isola. Ricevette due colpi alla testa: prima con il manganello, che aveva provato ad anticipare una frazione di secondo troppo tardi, poi contro lo spigolo del bancone di granito. Fu il secondo a farlo precipitare nel buio.
Priest aprì gli occhi e per un attimo non sentì nulla, solo il sangue che pulsava nelle orecchie.
Pritchard era andato in pensione da tre anni ormai. L’uniforme era autentica, ma l’uomo che la indossava non era un poliziotto. Priest avrebbe dovuto capirlo prima. Aveva perfino il casco. La centrale più vicina distava cinque chilometri. I caschi erano appannaggio dei poliziotti di quartiere; gli agenti sulle volanti portavano berretti con la visiera. Era assurdo che quel tizio avesse fatto cinque chilometri a piedi con un casco in testa per portargli qualche vecchia cianfrusaglia.
Cretino che non sei altro. Bruciare il pesce non ti era bastato?
Priest non percepiva altre presenze nella stanza, ma era certo che il finto poliziotto fosse ancora lì da qualche parte. L’aveva gettato su una sedia, le mani legate ai braccioli con dei cavi che bloccavano anche le gambe. La plastica gli tagliava la pelle. Qualche movimento involontario, mentre non era cosciente, gli aveva ferito le caviglie. Giri di nastro adesivo gli inchiodavano il busto alla sedia. L’unica cosa che riusciva a spostare, e di poco, era il collo.
In testa aveva uno straccio bagnato che gli restringeva il campo visivo. Avrebbe potuto essere ovunque, ma dalla puzza di bruciato capì che si trovava ancora in cucina.
Quando provò a muovere i polsi, sentì delle fitte di dolore lungo le braccia. Non doveva perdere la calma. Per il momento era l’uomo in uniforme a tenere il coltello dalla parte del manico. Priest si disse che aveva soltanto pochi minuti per rovesciare la situazione. In uno scontro ad armi pari, il risultato sarebbe stato scontato. Il falso poliziotto era alto un metro e settantacinque e sotto la divisa non sembrava particolarmente tonico. Priest superava il metro e novanta e aveva dalla sua quasi cento chili di muscoli. Metterlo fuori combattimento era stato più un colpo di fortuna che il risultato di una strategia.
Rimase immobile per un tempo che gli parve infinito, anche se sapeva che non potevano essere passati più di cinque minuti, durante i quali non riuscì a distogliere i pensieri dal ronzio nella testa e da quel maledetto odore di pesce.
All’improvviso l’asciugamano scivolò via e la cucina gli si materializzò davanti agli occhi, assieme al falso poliziotto sogghignante. «Beccato.»
Priest si limitò a fissarlo con sguardo neutro.
«Come mai sembra così sorpreso? Proprio non se l’aspettava?» Il falso poliziotto gettò l’asciugamano per terra, sorridendo, poi indietreggiò di qualche passo a braccia conserte. «La divisa mi è costata duemila sterline. Non faccia quell’espressione.»
Per quanto riguardava il prezzo, probabilmente non mentiva. Trovare una copia di qualità non era impossibile, ma doveva costare un occhio della testa. Priest cominciò a calcolare le proprie chance.
«Ah, comunque ne è valsa la pena. Sapevo che non avrebbe aperto la porta a nessun altro. Anche il portiere, al piano terra, mi è stato di grande aiuto.»
«Che cosa vuole?»
«Soltanto parlare. Per ora. Una bella chiacchierata. Tanto perché lei mi conosca un po’ meglio.»
«Mentre lei invece mi conosce già?»
Il falso poliziotto sorrise. «Lei è Charles Priest, ma tutti la chiamano Charlie. Divorziato. Non ha figli. Quarantatré anni. Ha studiato a Cambridge. È entrato in polizia nel ’94, per due anni ha fatto l’agente di quartiere. Nel ’97 era già diventato sergente, e nel 2001 ispettore. Tre anni dopo ha lasciato le forze dell’ordine per ragioni sospette e si è reinventato come avvocato. Ha lavorato nel reparto commerciale di uno studio internazionale, poi ha aperto un ufficio in proprio, specializzato in indagini di frode. Ora guadagna mezzo milione di sterline l’anno e ha un ottimo posizionamento nella classifica dei cinquecento avvocati più stimati del Regno Unito. I suoi genitori sono morti ma ha una sorella, Sarah Boatman, trentanove anni, comproprietaria di un’agenzia di pubbliche relazioni, e un fratello, William Priest, quarantasei anni, al momento alloggiato a spese di Sua Maestà in un ospedale psichiatrico di periferia, ormai da un lustro dichiarato incapace di intendere e volere. Lei soffre di disturbo dissociativo, cioè vive in un costante distacco dalla realtà, e ogni tanto ha delle crisi durante le quali le sembra di uscire dal proprio corpo. Devo andare avanti?»
Priest tirò su con il naso. L’anno scorso aveva fatturato ben più di mezzo milione, ma il resto era corretto. «Evidentemente ha consultato il mio profilo su Facebook.»
Il pallore e le pupille dilatate dell’intruso facevano pensare che la sua energia avesse un’origine neurochimica, ma nei suoi occhi Priest vide qualcosa di irriducibile al semplice effetto della cocaina. Un dettaglio che lo preoccupava più dei cavi attorno a polsi e gambe. Qualcosa di morto.
Il falso poliziotto cominciò a sfogliare una pila di carte sul ripiano. Niente di speciale: scontrini, liste, ricevute, il manuale di istruzioni per la costosa macchina del caffè, regalo di Natale della sorella, che non aveva ancora mai usato. Ma comunque era roba sua . «Priest & Co.» borbottò il falso poliziotto. Aveva preso un biglietto da visita, che s’infilò in tasca. «Ovviamente l’avrebbe mandato a lei.»
«Ha intenzione di spiegarmi cosa sta succedendo?» Nonostante la rabbia, Priest fu stupito dal proprio tono calmo.
«Lei ha ricevuto qualcosa di mio» disse lentamente l’uomo. «Una cosa per me molto importante.»
«L’indirizzo del suo dermatologo? Dovrebbe denunciarlo, lo stronzo.»
«No. Una cosa infinitamente più preziosa.»
Priest cercò di scrollare le spalle, impresa non facile, quando si è legati a una sedia.
«Be’, allora la aiuterò a schiarirsi un pochino le idee. Sto cercando una chiavetta USB. Un dispositivo di memoria. Mi serve. Poi mi toccherà comunque bruciare tutta la casa. Ma, se mi consegna la chiavetta di sua volontà, forse la slego dalla sedia prima di accendere il fiammifero.»
Priest non disse nulla e attese la sua prossima mossa. Guardò l’uomo avanzare verso la scatola sul tavolo della cucina. Lo guardò frugare nel cartone. Lo guardò estrarre un trapano. «È venuto per montare un po’ di scaffali?»
L’uomo non sorrise. «Abbiamo tutta la notte, signor Priest. Lei non va da nessuna parte. Sa quanti buchi posso farle prima che lei perda del tutto coscienza?»
«No.»
«Nemmeno io. Potremmo scoprirlo insieme però.»
Il falso poliziotto prese dalla scatola una testa e la avvitò. Premette un paio di volte il pulsante e guardò la punta roteare. Un’ondata di panico avvolse Priest. Ho sprecato i pochi minuti che avevo . Deglutì, ma la gola rimase secca. Cominciò a muovere le braccia, cercando un minimo spazio di manovra, ma non c’era nulla da fare.
L’intruso prese il trapano e gli premette il fusto di lato, contro l’orecchio. Priest mantenne la bocca chiusa e tentò di controllare il flusso di ossigeno che penetrava dalle narici. Non sembrava reale: niente sembrava mai reale. Eppure, questa volta, sentiva di non avere scampo. Doveva combattere l’iperventilazione. Almeno finché restava cosciente, aveva ancora una mezza possibilità di uscirne indenne. Sebbene a ogni istante le sue chance diventassero più remote.
Il falso poliziotto premette il pulsante. Priest spostò la testa di lato e quando il fusto gli bruciò la guancia fece una smorfia. Sentì una risata folle. Il bastardo si sta divertendo!
Priest era a corto di idee e optò per uno stallo. «Va bene. Va bene. I dati che cerchi sono là.» Accennò al soggiorno debolmente illuminato.
A malincuore l’intruso allontanò la mano. «Dove?»
«Ho scaricato i dati sul computer, lì nell’angolo, e ho distrutto la chiavetta.»
«Perché?»
Bella domanda . «Perché sì.»
Il falso poliziotto lo guardò. Passò la mano sul trapano e si chinò verso di lui. Priest sentì una zaffata di fumo stantio misto ad alcol. «Se mi hai detto una balla, per prima cosa ti cavo gli occhi.»