21
La mattina dopo, in tv, un giornalista di Sky News spiegava che il corpo del procuratore generale Philip Wren era stato rinvenuto ventiquattr’ore prima nella sua abitazione di Londra e che molto probabilmente si trattava di un suicidio. L’inviato era sul luogo, il vialetto della villa di Wren, ma avrebbe potuto essere ovunque.
Pioveva. Dal suo ufficio, Priest mandò una mail a Solly per chiedergli di preparare un resoconto dettagliato sulla struttura e sulle condizioni finanziarie del gruppo Ellinder. Kenneth sosteneva che il figliastro non poteva avere problemi economici: era venuto il momento di verificare la validità di quell’affermazione. Inoltre, se nei conti della Ellinder International c’era qualcosa che non quadrava, certamente Solly avrebbe fiutato la pista. L’azienda era un ottimo posto dove nascondere un segreto di famiglia. Un attimo dopo aver mandato la mail, ricevette da Solly un semplice ok .
La parte più difficile sarebbe stata evitare le interferenze di Jessica. E di McEwen. Aveva bisogno di un diversivo. Prese il telefono. Era ora di preparare il cavallo di Troia.
«Pronto, centralino» disse una voce nasale.
«Vorrei parlare con Dee Auckland, per favore.»
«Con la vicecommissario Auckland?»
«Non sapevo che ci fossero due Dee Auckland...»
«Attenda in linea, per favore, la metterò in contatto con il suo ufficio.»
Seguirono pause, scatti, fruscii poco rassicuranti.
«Pronto, Miranda Coleman» disse una voce più acuta.
«Vorrei parlare con Dee Auckland, per favore» disse Priest.
«Con la vicecommissario Auckland?»
«Non sapevo che ci fossero... Oh, non importa. Me la può passare per piacere?»
«Al momento è in riunione.»
«Le dica che il capitano Kirk la sta cercando.»
«Il capitano...?»
«Kirk, esatto. Il capitano Kirk.»
Silenzio. «Le dispiace attendere un minuto?» Una lunga pausa. Tre minuti e sedici secondi, per l’esattezza, riempita di musica classica. Čajkovskij, Il lago dei cigni . Scelta curiosa, resa ancora più assurda dalla voce preregistrata che a intervalli regolari ripeteva il numero del pronto intervento.
«Che cosa vuoi, Charlie?» ringhiò infine la sua ex moglie. Aveva una voce straordinariamente profonda.
«Ciao, Dee.» Che bello risentirti dopo tutti questi anni. Sembra proprio che, nonostante la nostra discussione nel lontano 2008, non ti sia ancora decisa a smettere di fumare.
«Che cosa vuoi?»
«Levami di dosso McEwen. Ho del lavoro da fare e lui continua a venirmi tra i piedi.»
Lei scoppiò letteralmente a ridere.
C’era stato un tempo, ormai molto remoto, in cui Priest aveva amato quella risata. Roca ma sensuale, profonda ma intrigante: una risata che prometteva un futuro e gli dava sollievo. In quel momento gli sembrava un’unghia stridente sulla lavagna.
«L’ispettore McEwen sta svolgendo il suo incarico nel migliore dei modi» disse Dee, con la lentezza di chi deve farsi comprendere da uno stupido.
Vedo che non ha perso un briciolo del suo fascino, tenente Uhura.
Poi, forse in ricordo dei bei tempi andati, Dee cominciò a lamentarsi. «Chiamarmi è stato un grave errore. Sai perfettamente che la tua richiesta non verrà nemmeno presa in considerazione. Se non hai altro da...»
«McEwen è un coglione, lo sai anche tu. Della morte di Wren non ha capito niente. Non si è suicidato.»
«Adesso basta.»
«Ascoltami!»
«No, ascoltami tu. Sono appena uscita da un ufficio sul cui tavolo campeggia una foto della tua faccia insieme a quella di altri personaggi molto poco raccomandabili. Sei tra i sospettati per l’omicidio di Miles Ellinder, maledizione, e che Dio mi fulmini se sarò così cretina da impedire a McEwen e alla sua squadra di farti a pezzi.»
«Non credi che sarebbe il caso di informare i tuoi nuovi colleghi del nostro breve ma intenso matrimonio?»
«Vaffanculo.»
«Dee, ascoltami. Lasciami un minimo spazio di manovra, non ti chiedo altro. Me lo devi.»
«Non ti devo nulla , Charlie.» Quando gli sbatté il telefono in faccia, il silenzio nell’ufficio sembrò profondissimo.
Priest bussò e mentre aspettava rifletté su quanti dirigenti fossero così pazienti da rimanere in attesa dietro le porte dei loro sottoposti. Non dovevano essere molti... Del resto, assumere un commercialista affetto da disturbo ossessivo compulsivo era stata una scelta coraggiosa, e chiudere un occhio sulla pletora dei suoi rituali gli sembrava il minimo.
Dopo un po’ la porta si schiuse e Priest entrò in punta di piedi. Andò dritto verso la scrivania – sgombra di qualsiasi oggetto anche lontanamente relativo alle pratiche d’ufficio – e si sedette, attento a non far fuoriuscire le gambe della sedia dai solchi intagliati nella moquette.
Diede una rapida occhiata in giro. La stanza non era pulita, bensì immacolata. Le geometrie erano impeccabili: sette armadietti pieni di schedari occupavano due pareti, ogni cassetto dedicato a una lettera dell’alfabeto tranne gli ultimi due, etichettati Non in uso . Alcuni schedari, per esempio la X e la Z, dovevano per forza essere vuoti, ma l’importante era che fossero divisi per lettera. I libri erano ordinati per genere e dimensione, le penne per dimensione e colore. Dietro la scrivania c’era un’altra postazione da lavoro, con un portatile circondato da strisce di nastro adesivo millimetrato che ne garantivano la perfetta centratura sul ripiano. La coppia di scrivanie, fiancheggiate da due librerie, occupava il centro esatto dell’ufficio. Faceva così freddo che il fiato di Priest si condensava. Solly aveva deciso di togliere il calorifero perché rovinava la simmetria della stanza. La tapparella era abbassata fino a 615 millimetri dal davanzale, in modo che si vedessero solo edifici e non il cielo.
Se l’ufficio era immacolato, lo stesso non si poteva dire del suo inquilino. Solly aveva da poco passato i trent’anni, ma la pelle arrossata gli dava un’aria da adolescente. I ricci castani cominciavano a diradarsi. Era seduto a braccia incrociate: unica asimmetria visibile, le tre identiche penne rosse che gli spuntavano dal taschino. «Ciao, Charlie.»
«Ciao, Solly.»
«Mi pare di aver capito che Sir Philip Wren è morto.» Il suo tono era privo di emozione.
«Già, è decisamente morto.»
«Vi conoscevate?»
«Era il mio padrino.»
Solly si profuse in un gesto consono alla gravità della situazione, cioè annuì. «Mi sono sempre chiesto cosa significasse perdere un conoscente. Come ti senti?»
«Ho mal di testa.»
«Ah, certo. Capisco.»
Era evidente che Simon Solomon non capiva affatto, ma Priest apprezzò il tentativo. «E per quanto riguarda invece il gruppo Ellinder?»
«Oh, sì, il gruppo Ellinder. Una vicenda interessante. Ci sono tre aziende quotate in borsa, di proprietà di varie compagnie controllate dalla famiglia. Ventiquattro società affiliate solo in Inghilterra, tutte con lo stesso indirizzo. Della contabilità si occupa uno studio di Kensington. Ci sono aziende associate in altri otto Paesi, tra cui gli Emirati Arabi, ma lo zoccolo duro resta britannico. Le imprese straniere sono relativamente nuove, nessuna ha più di cinque anni. È come se si fossero resi conto di aver saturato il mercato farmaceutico qui da noi e perciò avessero deciso di espandersi oltre i confini nazionali. La gestione societaria è estremamente centralizzata. Fanno tutto da soli: ricerca, produzione, confezione, commercializzazione, distribuzione; non appaltano praticamente nulla.»
«E i profitti?»
«L’anno scorso il profitto lordo del gruppo è stato di 94.862.409 sterline.»
Priest fischiò. «Cento milioni di sterline per vendere aspirine.»
«Scusa?» Solly aggrottò le sopracciglia e scosse la testa. «Potresti ripetere, per favore?»
Priest non comprese. «Dicevo, cento milioni di sterline per delle aspirine.»
«No, i tuoi dati sono assolutamente errati.»
«In che senso?»
«Non sono cento milioni. Sono 94.862.409 sterline. Inoltre gli Ellinder non sono specializzati nella produzione di aspirine. A essere precisi, le vendite globali di acido acetilsalicilico ammontano a meno dello 0,2 per cento degli introiti complessivi del gruppo nel secondo trimestre del...»
«Va bene, mi arrendo.» Priest alzò le mani.
Come se gli avessero appena gettato una manciata di polvere negli occhi, Solly sbatté due volte le palpebre. «Non ho finito la frase.»
«Allora finiscila in fretta.»
«Devo ricominciare dall’inizio.» Solly avrebbe davvero faticato a sopravvivere nel classico studio legale londinese. Nel senso più proprio del termine, era un individuo disfunzionale. Ma la sua abilità a processare informazioni e la sua infallibile memoria fotografica compensavano la sua incapacità di relazionarsi con il prossimo.
Di fatto, Solly non ebbe mai occasione di riformulare la frase: senza che nessuno avesse bussato, la porta si spalancò.
«Ma insomma! Quante volte ho detto di non farle mai superare un angolo di quarantacinque gradi...»
Ma nessuno sembrava ascoltarlo.
«Priest, mi sa che è meglio se vieni giù» disse Okoro.
Priest non aveva mai visto la sala d’attesa tanto gremita. Un misto di divise della polizia e completi faceva capannello attorno al tavolino che periodicamente Maureen aggiornava – per amore delle apparenze – con nuove copie del Times e gli ultimi numeri di riviste legali. McEwen era in fondo alla stanza, la schiena appoggiata allo stipite e un’espressione arrogante. La sua stazza era tale da dare l’impressione che da un momento all’altro l’intelaiatura di legno si sarebbe spezzata e lui sarebbe precipitato sul pianerottolo.
Maureen batteva sulla tastiera del computer. Quando entrò Priest, alzò a malapena lo sguardo. «Ho chiesto ai signori di chiudere almeno la porta. Così fa troppa corrente.»
Un ometto nervoso in completo azzurro porse la mano a Priest, che ricambiò la stretta con forza. Si chiamava Evans ed era un rappresentante del giudice per le indagini preliminari. Era sui quarant’anni, con occhiali quadrati sul naso aquilino e capelli grigi che partivano dai lati della testa per scendere ingarbugliati sul collo. Sembrava esperto, ma il tremito nella voce tradiva un certo disagio. «Questo è il mandato di perquisizione. Consente agli inquirenti di operare una ricerca scrupolosa della proprietà in questione per accertamenti relativi alla morte di Miles Ellinder.»
Priest scorse il foglio dall’aria familiare. Non lo lesse nemmeno; sapeva già cosa c’era scritto. Tuttavia gli avrebbe fatto comodo scoprire quale giudice distrettuale l’avesse firmato. Con uno sguardo gentile, si voltò verso Evans. «Quali indizi danno adito al sospetto che in questa proprietà ci siano documenti utili per l’inchiesta?»
«Pare che lei sia stato assunto da Kenneth e Jessica Ellinder, padre e sorella del deceduto. C’è motivo di credere che uno o entrambi i familiari, nonché suoi clienti, possano risultare coinvolti nella morte di Miles Ellinder.»
Priest tirò su con il naso. In calce al mandato c’era la firma del giudice distrettuale Fearnly. L’anno prima Priest aveva chiesto il rinvio in appello per una sua sentenza. Non soltanto la corte di appello aveva ribaltato l’esito del processo, ma si era espressa in termini particolarmente aspri nei confronti dell’operato del giudice. Quando quel mattino Evans gli si era presentato in ufficio con una richiesta di mandato per la sede della Priest & Co., Fearnly doveva essersi sentito come un bambino il giorno di Natale.
Dopo un po’, Priest si accorse che Evans gli stava parlando.
«Signor Priest? Mi sente?»
«Sì.» Priest incrociò lo sguardo di McEwen e si scambiarono un breve cenno. «Da dove volete iniziare?»
Evans inarcò il sopracciglio. Di solito, quando la polizia arrivava con un mandato che le consentiva di perlustrare da cima a fondo un’abitazione o un ufficio, gli interessati tendevano a protestare.
«L’avete sentito» abbaiò allegro McEwen. «Per favore, ragazzi, cerchiamo di lasciare l’ufficio del signor Priest in uno stato decente, va bene?»
La piccola folla di agenti in sala d’attesa grugnì una specie di assenso. Priest e Okoro non si mossero. Evans si voltò dall’altra parte. Chissà se è soddisfatto o sollevato...
«Non ho accettato l’offerta degli Ellinder. È solo un pretesto. Senti la tua amica in segreteria, va’ da un giudice che non ce l’abbia con noi e fagli revocare questa porcata» sussurrò Priest a Okoro.
«Farò del mio meglio, ma non so quanto ci metterò.»
«Io intanto cerco di prendere tempo.»
I poliziotti parlavano tra di loro, suddividevano lo smantellamento dell’ufficio. Okoro sembrava scettico. Fece una breve chiamata e poi sussurrò: «Burrows ci riceve tra venti minuti. Riesci a tenerli a bada?»
Priest annuì.
Okoro era già sulla porta. McEwen lo vide uscire ma non disse nulla.
Priest si voltò verso Evans. «Potrei avere anche una copia della notifica?»
Lui aggrottò le sopracciglia, la fronte un intarsio di rughe. «Le ho già dato una copia del mandato.»
«Certo. E la ringrazio. Ma ho diritto anche a una copia della notifica dei titoli e dei diritti. È un documento che illustra i miei diritti in quanto cittadino soggetto a una perquisizione...»
«So che cos’è, ma lei è un avvocato abilitato alla Corte Suprema. Penso che conosca già i suoi diritti.»
«Un bel ripasso non fa mai male.» Priest sorrise.
Evans si passò la mano sul volto e si girò. McEwen era furioso.
Aveva fatto centro. Non si erano portati una copia della notifica.
«Dunque?» ringhiò McEwen.
«Con questo traffico? Ci vorrà almeno mezz’ora...»
McEwen grugnì e segnalò al resto della squadra di non muoversi da lì. Quando Evans corse fuori, l’ispettore si sedette di fronte alla postazione di Maureen. Era diventata una gara di velocità a chi tornava prima; vincere non sarebbe stato facile. La segreteria del tribunale aveva detto venti minuti, ma bisognava sperare che Burrows terminasse l’udienza in corso nei tempi previsti.
«Avete saputo nulla di Hayley Wren?» chiese Priest a McEwen, che si era stravaccato e sudava copiosamente.
«Cosa c’entra?»
«L’avete trovata?»
«Dammi tregua, Priest. Wren si è suicidato. La figlia sarà andata a convivere con qualche imbecille e non saprà ancora nemmeno cos’è successo. E comunque non ti riguarda. Fossi in te mi preoccuperei di più di quello che i ragazzi troveranno nei tuoi schedari non appena torna Evans.»
Priest non aveva niente da nascondere, ma l’ufficio a soqquadro sarebbe stato una pessima maniera di iniziare la giornata. E avrebbe danneggiato la loro reputazione. McEwen aveva confermato l’assenza di Hayley: non si era ancora fatta vedere. La cosa cominciava a puzzare. Priest girò attorno alla scrivania di Maureen e vi si appoggiò.
Lei gli lanciò un’occhiataccia. «In che cosa ti sei ficcato stavolta, Charlie?»
«È tutto sotto controllo.» Quando lei lo guardò incredula, aggiunse: «Non c’è niente di cui preoccuparsi. Vedrai».
«Non sei mai stato bravo a mentire.» E riprese a battere sui tasti.
Purtroppo arrivò prima Evans. Più che entrare, fece irruzione brandendo un fascicolo. Ansimava ed era rosso in volto, ma riuscì comunque a mettere i fogli nella mano di Priest. «Buon ripasso» mormorò, senza fiato.
McEwen si alzò. «Non aspettarti che ci andiamo piano, Priest. Non avresti dovuto farci aspettare.»
«Dove tenete gli schedari?» Evans era palesemente irritato, ma la voce gli tremava ancora.
Okoro non l’aveva chiamato e Priest temeva di dover cedere il passo a McEwen. Poi pensò a Solly e alla sua mania di non far superare alla porta un angolo di quarantacinque gradi. Era ancora in ufficio, magari intento a sterilizzare la sedia dopo il contatto con un corpo estraneo. Solly però non avrebbe fatto il suo gioco. Priest sapeva di dover guadagnare altro tempo, ma era rimasto a corto di idee.
«Chi di voi è Evans?» gridò Maureen da dietro la scrivania.
«Io.»
«C’è una chiamata per lei.» Senza alzare gli occhi dalla tastiera, Maureen gli passò la cornetta. Priest inarcò un sopracciglio. Per la seconda volta, McEwen fece cenno alla squadra di fermarsi.
Evans sembrava sconcertato. Prese il telefono e se lo accostò all’orecchio. «Pronto, sì, sono io, Evans. Chi...? Sì... Certo, signore... Salve... Sì... Come lei sa, io rappresento il giudice per le... esatto. Sì. Il mandato è stato firmato stamattina dal giudice distrettuale Fearnly, date le circostanze... come? Certo, signore, provvedo subito. Naturalmente... Buona giornata, signore.» Ripassò la cornetta a Maureen. Era pallido come un lenzuolo e sembrava invecchiato di dieci anni. Guardò Priest come sul punto di dire qualcosa, poi arretrò verso McEwen. «Era il giudice distrettuale Burrows. Ha appena revocato il mandato di perquisizione.»
«Quindi cosa facciamo?» ringhiò McEwen.
«Dobbiamo tornare in centrale. La ragion d’essere del mandato era il rapporto di consulenza legale tra Charlie Priest e la famiglia Ellinder. Ma pare che le cose non stiano così...»
Evans non ebbe tempo di finire che McEwen era giù uscito.