13
La guardia giurata aveva un viso familiare, ma Priest non ricordava il suo nome. Gli venivano Karl o Conrad, o al limite Percy. Ma non importava. L’uomo era pressoché muto e da mesi ormai Priest aveva rinunciato a cavarne più di un mezzo sorriso.
Karl, Conrad o Percy lo guardò mentre depositava il cellulare e il portafogli nell’armadietto trasparente e metteva la chiave in tasca. Al di là dello sbarramento non si poteva portare nulla. Priest si lasciò condurre oltre una spessa porta blindata di metallo che sbatté bruscamente alle sue spalle. Per un attimo rimase in silenzio di fronte alla guardia giurata, nello sgabuzzino dall’aria viziata, poi sentì uno scatto e un’altra porta blindata si aprì sull’edificio centrale dell’ospedale.
Superata la soglia apparve un altro mondo: una selva silenziosa. Priest percepì un incombente senso di minaccia. Anche l’aria, umida e stagnante, sembrava diversa. Le guardie la chiamavano «la Terra di mezzo» e Priest capiva perché. La sala visite era nell’edificio accanto, oltre il cortile punteggiato di rettangoli di prato fangoso, che fungevano da orticelli per i detenuti.
Sulla soglia, un uomo gli strinse a lungo la mano.
«Dottor Wheatcroft.»
«Signor Priest. Sono contento di vederla.»
«Anch’io.»
Nonostante passasse le proprie giornate in mezzo a serial killer, stupratori e psicopatici di vario genere, Wheatcroft emanava una calma rassicurante.
«Come vanno le cose, dottore?»
Wheatcroft sospirò e si passò una mano tra i capelli. Aveva una di quelle chiome che non si spettinano mai. «Non male. È un po’ più torvo, questa settimana. Ha perso qualche seduta. Sostiene che mischiarsi agli altri pazienti lo faccia diventare più stupido.»
«Ora sì che lo riconosco.»
«Vero? I miglioramenti sono lenti ma percettibili. Certamente la sua visita lo tirerà su di morale.» Wheatcroft gli posò una mano sul braccio e indietreggiò per farlo passare.
Il dottor William Priest aveva l’aria di chi contempli un pensiero sconcertante. Due inservienti lo portarono verso il tavolo dove Priest lo attendeva, seduto su una sedia di plastica. Quando il fratello maggiore si sedette di fronte a lui, la somiglianza fu inequivocabile: gli stessi folti capelli castani, le stesse iridi azzurre. Ma cinque anni di detenzione nell’ospedale psichiatrico di Fen Marsh avevano offuscato l’armonia dei suoi lineamenti. Aveva borse scure sotto gli occhi e un colorito cinereo.
A ogni visita, Priest aveva l’impressione che un altro pezzo di umanità avesse disertato il corpo di William.
«Ciao, fratello. Le tue visite mi rassicurano molto.»
«Come va, Wills?»
Mentre lui ponderava la risposta, i loro occhi si incontrarono. Poi allungò la mano per sfiorargli il volto. Un inserviente scattò in avanti, gli afferrò il braccio e glielo torse dietro la schiena.
Accadde tutto così in fretta che Priest non ebbe praticamente tempo di muoversi. «Aspetti!»
L’inserviente si fermò, guardò Priest e mollò la presa.
«Lo lasci in pace.»
William sembrava non essersi accorto di nulla. Sfiorò un graffio sulla guancia del fratello. «Ti sei tagliato facendo la barba, fratellino. Non ti radi da due giorni. Cosa ti ha impedito di compiere il rituale mattutino?»
Priest fece segno all’inserviente di allontanarsi.
Con uno sguardo nervoso al collega, lui ubbidì.
«Ho avuto due giornatacce.»
«Il mondo esterno dev’essere inebriante.»
«Ti manca?»
William inclinò la testa come un uccellino. «Un po’. C’è qualcosa che ti rode, fratellino. Non è soltanto questione di due giornatacce.»
«Perché non mi sono fatto la barba?»
«Perché gli occhi ti tradiscono.»
Priest sospirò. «Sei sempre stato bravo a leggere le persone, Wills.»
«È vero! E hai anche anticipato di due giorni la visita. Hai le occhiaie. Sono due giorni che metti la stessa camicia. Sai di caffè, che non bevi mai, dunque o hai finito le scorte di Earl Grey – ipotesi estremamente improbabile –, oppure stamattina sei uscito di corsa e avevi bisogno di un’iniezione di caffeina. Anche la giacca l’hai scelta in fretta.»
«Come fai a dirlo?»
«Non vedo la stilografica di lusso che nostra sorella ti ha regalato per il tuo trentaduesimo compleanno, nella tasca interna. Me ne sono accorto quando ti sei seduto. Di solito la porti sempre con te, dunque te la sei dimenticata nella tasca della giacca della settimana scorsa, il che lascia intendere una distrazione non tanto generata dalla stanchezza, perché in tal caso te ne saresti accorto e avresti agito per rimediare, ma dalla fretta con cui ti sei preparato.»
«E, invece, perché pensi che ci vediamo due giorni prima del previsto?»
«Semplice. Due giorni fa hai vissuto qualche evento traumatico e ora stai per scendere in guerra per vendicarti o scoprire dei segreti. Perciò hai deciso di espletare i doveri familiari prima di sparire dalla circolazione.»
Priest vide il più basso dei due inservienti muoversi a disagio. Alle loro spalle, la spia rossa della telecamera a circuito chiuso spiccava sul bianco accecante della parete.
«Ora tocca a te!»
Priest sospirò di nuovo. Quel gioco lo annoiava, ma lo facevano da quando avevano imparato a parlare. Scrutò William da capo a piedi, poi spostò lo sguardo dietro di lui sull’inserviente che aveva appena cambiato posizione. «Quell’infermiere è nuovo. Si chiama Harry Clarke e ha appena preso un gatto, probabilmente adottato da un rifugio. Non ha figli e ha divorziato da poco. Tutte le settimane gioca a golf, secondo me con scarso successo, e soffre di diabete di tipo uno.»
L’inserviente spalancò la bocca con aria stupita. Poi annuì e si voltò verso il collega in cerca di una spiegazione.
William si girò a ispezionare a propria volta l’inserviente. «Complimenti, Charles. Anche se mi sembra tutto piuttosto elementare. Fammi riflettere. È nuovo perché non l’avevi mai visto. Il gatto perché, quando poco fa ci ha separato, gli avrai visto il braccio coperto di graffi, troppo profondi perché possa averli fatti un gattino. E questo spiega anche l’assenza di figli, altrimenti avrebbe preso per forza un gattino, ed è molto più facile trovare un gatto adulto in un ricovero che in un negozio di animali. Divorziato per via del segno sull’indice: dev’essersi levato la fede da pochi giorni. Golf perché ha una mano leggermente più pallida dell’altra, e quindi dev’essere quella con cui indossa il guanto e, visto che lo si mette soltanto per i tiri a distanza, il fatto che si riesca a distinguere la differenza di abbronzatura significa che non è un gran giocatore. Se tiri così spesso a distanza non puoi essere un bravo giocatore. Il diabete di tipo uno è stato un po’ rischioso, però si vede la collana. Gli inservienti non possono portare gioielli a meno che non siano indispensabili, come per esempio il ciondolo al collo di un diabetico con le istruzioni mediche su come intervenire in caso di coma. Resta un mistero come tu abbia fatto a scoprire il nome.»
«L’ho letto sul tesserino.»
William applaudì. «Eccellente! Sei proprio sveglio, fratellino.»
I repentini cambi di umore di William potevano spaventare, ma ormai Priest ci aveva fatto l’abitudine. Cinque anni di visite mensili lo avevano abituato a non reagire.
Perciò non batté ciglio quando William si sporse verso di lui, bisbigliando con fare da cospiratore. «Gli sto con il fiato sul collo. Al direttore, dico. Mi tiene d’occhio tutta la notte. Crede che io dorma, ma è solo una finta. Sono mesi che ho eliminato il sonno REM per rimanere sveglio durante le sue visite. Pensa di avermi addomesticato, ma non ha fatto i conti con la determinazione del topo in gabbia.»
Priest trattenne un sospiro. I deliri del fratello lo facevano soffrire. «Il direttore» era il dottor Wheatcroft. William credeva che fosse stato lui a causare i suoi problemi psichici e che passasse le giornate a testare la propria creazione .
«Il dottor Wheatcroft è una brava persona...»
«Non pronunciare il suo nome! Mi sta mettendo alla prova, Charles. Sta cercando di spingermi nell’abisso oltre i confini della mente. Vuole farmi tornare a uccidere !»
«Sono soltanto fantasie, Wills. Sciocche fantasie.»
«Non commettere l’errore di credere che la mia incarcerazione in questo istituto mi impedisca di distinguere tra realtà e finzione.» Cominciava ad agitarsi, e i due inservienti avanzarono di qualche passo, pronti a intervenire all’istante.
Priest non mosse un muscolo.
«Ho delle tare, Charles. Una disfunzione cerebrale. Ma la causa non è organica. È stato il direttore a impiantarmela. E adesso innaffia il seme. Vuole vedere se riesce a spingermi di nuovo oltre il limite.»
Il più vecchio dei due inservienti gli poggiò la mano sulla spalla. La mezz’ora della visita era passata. «Su, William. Tuo fratello adesso deve andare.»
«Prima o poi verrà a prendermi, Charles! Vedrai!»
«Forza, William» disse l’inserviente.
Priest guardò abbattuto gli infermieri che afferravano suo fratello per le braccia. Cinque anni prima William li avrebbe scagliati contro il muro come sacchi di patate. Ma ormai non opponeva quasi resistenza.
«Ci vediamo il mese prossimo, Wills.»
«È un manipolatore formidabile. Non dobbiamo dargliela vinta!»
I due inservienti lo sollevarono di peso. Mentre lo conducevano verso la porta, William non si dimenò neppure. «Non ho finito di parlare con mio fratello! Charles deve sapere la verità. Lasciate che gli dica un’ultima cosa.»
Un inserviente lo guardò e Priest annuì. Si fermarono sulla soglia e allentarono la presa quanto bastava perché William potesse voltare la testa.
«Nel 1971 gli scienziati sovietici scoprirono un giacimento di gas naturale in Turkmenistan. Temendo che fosse tossico, decisero di bruciare l’intera riserva. Pensavano che l’incendio si sarebbe estinto al massimo dopo una settimana. Sono passati quarant’anni e l’incendio brucia ancora. La gente del posto la chiama la Porta dell’Inferno: un gigantesco cratere in fiamme nel deserto. La mente è come quel cratere, Charles. Se le dai fuoco... brucia. E continua a bruciare, bruciare, bruciare .»