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Faceva ancora freddo. La nebbia ovattava l’aria come un sudario fradicio, ma Priest decise comunque di andare a piedi fino a casa di Sarah, a quattro chilometri dallo studio. Per strada incrociò alcuni fanatici della salute che facevano jogging, riempiendosi soltanto i polmoni di smog. Priest li guardò in faccia a uno a uno. Anche se Miles era morto, non si sentiva fuori pericolo. Il vento gelido lo aiutò a schiarirsi le idee, ma non si godette affatto la passeggiata.

La fotografia di Miles Ellinder impalato sembrava uscita da un incubo. Priest non era riuscito ad analizzarla con occhio critico, ma aveva fatto in tempo a vedere i cavi che pendevano dal soffitto, con cui l’avevano sospeso per calarlo sul palo lubrificato. Fu percorso da un brivido.

Al di là dell’orrore dell’immagine, c’era qualcosa che lo inquietava. Un dettaglio che non riusciva a mettere a fuoco.

Provò a pensare in maniera analitica, a scomporre la questione nei suoi componenti di base. Cosa poteva esserci sulla chiavetta che Miles cercava con tanta disperazione? Deve trattarsi di file importanti. Così importanti da costargli la vita, a quanto pare. Chi gli aveva fatto credere che ne era in possesso lui? «Te li avrà mandati» ha detto Miles. Chi doveva mandarmeli, e per quale motivo? Perché poi Miles era stato torturato e ucciso in maniera rituale? Qual era lo scopo di un omicidio così elaborato? Cosa volevano comunicare gli assassini? Devono essere stati almeno in due, una persona sola non sarebbe riuscita a imbastire un circo del genere. E, infine, perché la mia ex moglie torna nella mia vita?

Svoltò in una stradina residenziale. Le auto erano parcheggiate vicino al marciapiede, davanti a villette vittoriane con ringhiere nere e seminterrato. Il padrone di casa di Sarah era un approfittatore della peggior specie. Priest si era offerto più volte di anticiparle la caparra per comprarsi un appartamento suo, anziché vivere in affitto, ma lei aveva sempre rifiutato, con una perfetta combinazione di gratitudine e fermezza.

A complicare la situazione c’era il marito di Sarah, Ryan Boatman. Era disoccupato e, salvo improvvisi sconvolgimenti, lo sarebbe rimasto. Il suo ultimo piano per fare un sacco di soldi, come Priest aveva previsto, si era rivelato un fiasco clamoroso. Provava per il cognato l’affetto che si nutre per un’ulcera allo stomaco e, anche se cercava di illudersi che quell’astio non cambiasse nulla nel rapporto tra lui e la sorella, sapeva che non era vero.

Priest bussò e Sarah aprì la porta quasi subito. Gli occhi azzurri della donna, identici ai suoi, si sgranarono per la sorpresa. «Una visita fuori programma non è un po’ troppo spontanea, per te?»

«In che senso?»

«Non fare il finto tonto. Hai bisogno di soldi?» Sarah rise, si scostò per farlo entrare e lo baciò sulla guancia.

La casa era piccola ma ordinata. Nell’ingresso c’era un attaccapanni in cui ciascun piolo era etichettato con il nome di ogni membro della famiglia. Le scarpe erano sistemate in bell’ordine e il tappeto era stato lavato da poco, eppure nell’aria c’era un odore artificiale. Forse serve a nascondere la puzza di quel cretino.

«Ryan è uscito.»

«Ah, certo. Un’altra riunione di bilancio, vero?»

«Come sei meschino.» Sarah lo precedette in cucina, dove bolliva una caffettiera. «Temo di aver finito quello strano tè che ti piace.»

«Un caffè va benissimo, grazie.» Prese la tazza che gli porgeva e si sedette su uno sgabello. Per qualche istante guardò la sorella raccogliere i disegni di Tilly dal ripiano e infilarli nella cartellina in cui riponeva le creazioni della figlia. Soffocò un sorriso: nell’universo di Sarah, ogni cosa aveva il suo posto. Aveva sempre ammirato il suo gusto, i suoi vestiti perfetti e il suo caschetto biondo arruffato. Il suo lavoro consisteva nella stesura di comunicati stampa per musicisti fedifraghi o di piani marketing per rinnovare l’immagine di aziende cadute in disgrazia. Essere il capo le consentiva di lavorare da casa quando ne aveva bisogno.

Si sedette di fronte a lui. «Allora, cosa ci fai qui?»

«Volevo solo vedere come stavi.»

«Il grande Charlie Priest non passa soltanto per vedere come sta la gente. Anche se ’la gente’ è sua sorella. Comunque casca proprio a fagiolo, la visita del mio fratellone single.» Fece un sorrisetto allusivo.

Lui alzò un sopracciglio con finta curiosità. Conosceva già la scena a memoria.

«Sai, c’è una mia amica...»

«Dai, Sarah, basta.»

«No, ascolta un secondo...»

«Sarah...»

«No, lei ti piacerà, vedrai. Vive vicinissimo a te.»

Di solito a quel punto Priest le diceva di stare bene da solo e di lasciarlo in pace, ma in quel momento era troppo spossato per discutere.

Sarah ignorò il suo sguardo implorante. «Allora, ha trentasei anni e ovviamente non è impegnata. Due o tre anni fa ha divorziato nel peggiore dei modi. Fa la commercialista in un ottimo studio. Gioca a tennis, va al cinema, ascolta musica indie, va a teatro. Insomma, è una persona colta. Come te.»

«Io non sono colto. Guardo solo film di zombie.»

«Cucina da Dio.»

«A differenza del sottoscritto.»

«Qui devo darti ragione. Ma gli opposti si attraggono.»

«Così, mentre lei sta ai fornelli, avrò tutto il tempo di gustarmi qualche film di zombie.»

Sarah sospirò. «Non mi sembra l’atteggiamento giusto.»

Lui cercò di sorridere, ma non riuscì a nascondere l’imbarazzo.

«Che cos’hai, Charlie?» Sarah aveva ereditato dalla loro madre lo sguardo onnisciente.

«Sei fissata. Cerchi sempre di appiopparmi qualche amica. Perché non apri quel benedetto sito, allora?»

Per un attimo lei lo guardò sorpresa. «Hai cambiato strategia.»

«Be’, sai com’è. Penso che sia un’ottima idea.»

«L’ultima volta l’hai definita... fammi ricordare... ’un’idea assurda e sdolcinata’.»

Priest si sentì sprofondare. Sembravano proprio parole uscite dalla sua bocca. «Può darsi. Ma tu saresti in grado di farla funzionare.»

Da qualche mese Sarah pensava di aprire un sito di incontri. Priest si vergognava di non ricordare più quali dettagli avrebbero distinto la piattaforma da quelle già esistenti. Il suo scarso entusiasmo, invece, non se l’era dimenticato. Alla luce di alcune recenti esperienze, avrebbe dovuto rivedere il suo approccio alla questione. Sarà un’altra conseguenza dell’incontro ravvicinato con la morte. Prima l’autocompatimento, ora i tentativi di espiazione. Magari c’è anche un terzo stadio. L’illuminazione, forse, anche se per ora sembra un concetto piuttosto vago.

«Avevi detto che non bisogna mai fare di un hobby il proprio lavoro.»

«Va bene, forse sono stato troppo brusco.»

«E magari anche un po’ cattivo, no?»

«Non lo escluderei. Com’è che è, la statistica? Il dieci per cento dei rapporti sentimentali ormai comincia online.»

«Il venti per cento.»

«Se lo dici tu, mi fido. Quindi hai già un mercato, una domanda. E poi hai il tuo talento.»

«Quanti complimenti! Ma stai male?»

«In effetti ho un po’ di emicrania.»

Lei scosse la testa e andò a riempire di nuovo le tazze. Dal piano di sopra si sentiva un cartone animato. Ecco Tilly.

«Fai una vita un po’ più regolare? Sai cosa succede se...»

«Te lo finanzio io» la interruppe.

«Charlie...»

«No, niente ’Charlie’. Te lo finanzio io. Di quanto hai bisogno per cominciare? Il sito puoi farlo tu, ma ti servirà qualcuno che capisca di programmazione e SEO. E qualcuno per il marketing. Degli aspetti legali ce ne occuperemo noi. Ti servirà anche una sede, un ufficio in città. Secondo te, per il primo anno, centomila andrebbero bene?»

«Grazie, sei molto generoso. Davvero. Ma centomila sterline sono un sacco di soldi.»

«Facciamo centocinquanta?»

Sarah abbassò lo sguardo, allungò la mano e gliela posò sulla spalla. A un tratto era ridiventata la loro madre. «Ryan non è molto convinto dell’idea.»

«E allora?»

«E allora? E allora a noi piace decidere insieme.» Incrociò le braccia, sulla difensiva.

«Sei tu che paghi le bollette. Non spetta a lui decidere.»

«I matrimoni non funzionano così. Dovresti saperlo. Bisogna imparare dai propri errori.»

«Che problemi ha con il sito?»

«Ha le sue ragioni.»

Per un po’ rimasero in silenzio. La testa di Priest continuava a pulsare. Pensò di raccontarle cos’era successo nelle ultime ventiquattr’ore, per togliersi un peso, ma non sarebbe stato giusto nei suoi confronti. Represse l’impulso di parlare e incanalò la sua rabbia verso Ryan. Certo che era contrario all’idea che Sarah lasciasse un impiego ben retribuito. Passava il tempo a spendere i soldi guadagnati dalla moglie in quella che lui chiamava collegialità aziendale , cioè bere e giocare d’azzardo con quei mentecatti dei suoi amici. Certo che non voleva barattare l’unica entrata fissa della famiglia con la creazione di una start-up. «Sai una cosa? La faccenda non lo riguarda. Devi decidere tu.»

«E invece la cosa riguarda noi , come famiglia. Quindi è una nostra decisione.»

«Lo fa solo per tenerti al guinzaglio.»

«Non è vero! Senti... torna a casa. Per piacere.»

«Forse, se non avesse bisogno del tuo stipendio per nutrire la propria dipendenza dal gioco...»

«Per favore. »

«Voglio solo essere sicuro che tu stia bene.»

«E come pensi che mi facciano sentire le cose che hai appena detto?»

«Eh? Cosa?»

«Queste stronzate tipo ’Voglio solo essere sicuro che tu stia bene’.»

«Non capisco dove vuoi andare a parare.»

«E invece lo sai benissimo. Non ho bisogno che tu prenda sempre le mie parti, e la tua antipatia nei confronti di Ryan comincia a darmi veramente sui nervi. Ti sei mai preso un secondo per pensarci? Che effetto pensi che mi faccia sentire mio fratello parlare sempre male di mio marito?»

«Be’, se lui non fosse un coglione...»

«Ryan si prende cura di noi.»

«Si prende cura di se stesso. È sempre stato così.»

«Non sei costretto a farmi questi discorsi.»

«Non capisco.»

«Nessuno ti ha chiesto di fare le veci di papà.»

«Non sto impersonando nessuno. Dico solo che tuo marito è un coglione.»

«Charlie...»

«Oltre che un fancazzista alcolizzato.»

«Charlie...»

«Con meno carisma di un vegetale.»

«Charlie!» Sarah sbatté la tazza sul tavolo e lo fissò, sconvolta e infuriata. Poi guardò verso l’ingresso della cucina.

Priest seguì il suo sguardo e gli si strinse il cuore. Tilly era scesa e lo fissava, immobile. Sotto la massa di capelli sempre arruffati c’era uno sguardo confuso. Tentò di dirle qualcosa, ma dalla gola non uscì che un sussurro vagamente dispiaciuto.

«Hai visto, tesoro? Lo zio Charlie è passato a trovarci» disse Sarah con un sorriso forzato. «Di solito non viene mai in settimana, vero? Saluta lo zio.»

«Ciao, zio Charlie.»

«Ciao, Tilly. Com’è andata oggi a scuola?»

Lei gli corse incontro e mise sul tavolo alcuni disegni per farglieli ammirare.

Priest li prese con cautela, come se potessero sbriciolarsi. «Wow, sono davvero stupendi», disse aiutandola a salirgli sulle ginocchia.

Sarah borbottò qualcosa sul bucato da tirar fuori dalla lavatrice e sparì. Priest sperava che tornasse presto. Doveva chiederle scusa. A un tratto si sentiva molto stupido.

«Questa è mamma.» Tilly indicò un assortimento di colori apparentemente scelti a caso.

«Certo, si capisce. Com’è bella questa mamma, vero?»

«Mmm, sì.» Da un astuccio di Hello Kitty prese dei pennarelli nuovi e cominciò a ritoccare il disegno, canticchiando sottovoce.

Priest le guardava da sopra la spalla. «Fai le nuvole?»

«Sono uccelli, stupidino.»

«Ah.» Era contento che Ryan non ci fosse.

Non avrebbe permesso a Tilly di stargli sulle ginocchia. L’avrebbe presa in braccio e portata in camera, come se la presenza dello zio fosse una minaccia. Forse mettere in luce la goffaggine del cognato con i bambini era un modo di esercitare un qualche potere su di lui. Probabilmente aveva una concezione molto limitata del disordine dissociativo di cui soffriva Priest. O del «morbo di William lo Squartatore», come amava ripetere.

«E questo invece che cos’è? Uno spaventapasseri?»

«No, è mamma.» Tilly scoppiò in una risata contagiosa.

«Mi piacciono molto i capelli. Posso darti una mano?»

Lei annuì e gli passò un pennarello azzurro, poi spiegò che avrebbe dovuto cominciare dal cielo, mentre lei riempiva un albero di mele rosse. «Mamma dice che dovremmo avere tutti un cielo azzurro.»

«Mamma ha ragione, tesoro.» Priest ripensò a tutte le volte che glielo aveva detto sua madre. Anche Sarah, evidentemente, se lo ricordava.

«Dov’è il tuo cielo azzurro, zio Charlie?» chiese Tilly dopo qualche minuto.

Priest strinse le labbra e continuò a colorare. Dov’è il mio cielo azzurro? «Temo che per ora me l’abbiano coperto le nuvole. Forse lo rivedrò domani.»