51

Nel salone centrale della Casa dell’Ephemera, sei colonne di pietra sorreggevano il soffitto a cupola. Oltre alla luce lunare che filtrava dalle finestrelle alla base della semisfera, le uniche fonti di luce erano deboli lampade alle pareti.

Marco gli aveva detto che avrebbe trovato una porta di fronte a quella da cui era entrato. Quella porta conduceva alla cella in cui erano imprigionate Georgie e Hayley. Ma nel salone c’era qualcuno. Priest si bloccò.

Nel mezzo della sala c’era un tavolo di legno con dodici sedie, una delle quali era occupata da un uomo girato di schiena. Lo scatto della porta riecheggiò tra le pareti nude, ma la figura al centro del salone non si mosse.

Dall’altra parte della sala, una persona teneva una pistola puntata su Priest. Nonostante il volto coperto, Priest riconobbe l’uomo che era entrato nella casa dei propri genitori. Cappuccio lo salutò con un cenno, poi gli indicò con la canna una poltrona dallo schienale alto. Priest si sedette. Per la prima volta da giorni si sentiva lucido; su di lui era sceso uno strano senso di pace. Siamo arrivati al capolinea. La soluzione finale.

Una terza porta, nascosta dalla penombra, si spalancò. Nessuno si mosse. Jessica avanzò di qualche passo. I suoi occhi si muovevano febbrilmente nel tentativo di abbracciare ogni cosa: l’enorme tavolo, l’uomo mascherato vicino al muro, Priest in un angolo e infine la figura cupa, seduta al centro, con lo sguardo fisso. «Dove sono?» Le tremava la voce, ma Priest non avrebbe saputo dire se per paura o per rabbia. Anche lei si era tolta il cappuccio.

Alla vista del suo volto terrorizzato, Priest non resse più. Distolse lo sguardo. Sapeva cosa sarebbe successo, cosa l’avrebbero costretta a vedere. Il tradimento era imperdonabile.

La figura seduta al tavolo si alzò piano. Le gambe della sedia grattarono sul pavimento di marmo. I suoni riecheggiavano come in una caverna.

Jessica si bloccò.

«Jessica.»

Per un attimo nessuno si mosse.

Lucia Ellinder si voltò verso la figlia. Pochi giorni prima, Priest aveva visto una donna fragile, emaciata come un fantasma, talmente debole da suscitare solo compassione o disgusto. In quel momento invece sembrava nel pieno delle forze.

«Cosa... cosa ci fai qui?» balbettò Jessica in tono sconvolto.

Lucia Ellinder sorrise. «In un certo senso, sono sempre stata qui.»

«Ma... papà...»

«Papà sta molto male, mia cara. Malissimo. Ma noi dobbiamo farci forza, no?»

«Non capisco.»

«E invece sì, Jessica. Capisci perfettamente

Jessica si voltò verso Priest. Sul suo volto non si leggeva più confusione, ma oltraggio.

Per la seconda volta lui faticò a sostenere il suo sguardo. «Mi dispiace, Jessica, ma è lei. L’Ephemera è lei.»

«La cosa non sembra stupirla, signor Priest.» Lucia Ellinder si girò verso di lui. Era alta quasi quanto Priest e, nel vestito scuro accollato con i polsini di pizzo bianco, aveva un’aria davvero imponente. Il suo sguardo gli fece venire la pelle d’oca.

«Sapevo che era lei» rispose.

«Certo che lo sapeva.»

«Tu sei...» Jessica parlava così piano che non sembrava nemmeno la sua voce.

«Su, datti una svegliata! Come potrei essere io? La tua patetica mammina, per cui tu non hai mai avuto la minima considerazione...»

Jessica indietreggiò disgustata. «Mamma, io...»

«Taci! Non ce l’ho con te per questo! Perché avresti dovuto saperlo? Tuo padre è un grande uomo e io non sono mai uscita dalla sua ombra. O almeno così ha sempre creduto.»

«Ma... ti ama...»

«Questa poi! Credi davvero che i matrimoni dei privilegiati si fondino su nozioni tanto ridicole? Tuo padre mi amava come amava le sue macchine.» Chiuse l’argomento con un gesto secco. «Ora, signor Priest, sono estremamente interessata alle conclusioni che ha tratto dalle sue indagini. Del resto la mia famiglia ha disposto per lei un ottimo onorario. Non le sembra giunto il momento di dimostrare la bontà del nostro investimento?»

«Ha ragione. Anche se, a essere precisi, mi avete assoldato soltanto per scoprire cos’era successo a Miles. Lei sapeva tutto fin dall’inizio, vero?»

Jessica aprì la bocca ma non disse nulla.

«Non si faccia pregare. Non le pare che Jessica meriti di sapere la verità?»

Priest rifletté. Far raccontare tutto a lui rientrava nello spettacolo; ogni cosa seguiva meticolosamente il programma. In fondo alla stanza, Cappuccio si mosse per la prima volta da quando Jessica era entrata. Priest ebbe un brutto presentimento: quando avrebbe finito di parlare, sarebbe arrivata la sentenza.

Provò a schiarirsi la gola, ma fu inutile. L’aria viziata lo asfissiava. La puzza di morte e putrefazione gli ricordava gli anni trascorsi in polizia.

Ma riuscì a dominarsi.

«C’era una volta una donna che si chiamava Eva Miller. Faceva la segretaria, durante il secondo conflitto mondiale ha lavorato come dattilografa e nella confusione del dopoguerra l’hanno affidata a un agente dei servizi segreti alle prese con l’Ephemera, una controversa operazione segreta del governo britannico. Nei mesi a cavallo tra il ’45 e il ’46, l’Europa era un continente di rovine alla ricerca di risposte. Tutti volevano individuare l’origine di quella catastrofe. L’Olocausto era stato il più terribile episodio di pulizia etnica della Storia, ma nessuno aveva ben chiaro cosa si nascondesse dietro l’ossessione nazista per la riproduzione dello sterminio in scala industriale.

«Eva Miller era una di quelle persone sfortunate che incontrano troppo presto l’oscurità. Il male l’ha corrotta, alimentando pulsioni atroci. Ha imparato a conoscere il brivido della paura e poi ad amarlo. È stata lei a dare inizio alla catena di eventi che alla fine hanno portato a questo orrore. È stata la prima Ephemera.

«Con il passare degli anni Eva si è costruita una rete di conoscenze. Un club molto sui generis , i cui membri, spesso affiliati per i motivi più disparati, condividevano l’interesse di proseguire l’opera dei medici nazisti. Gli Alleati potevano anche pensare che gli esperimenti sugli esseri umani fossero ormai relegati nel passato – uno strappo nel tessuto della realtà –, ma per quelle menti perverse si trattava invece di un fatto molto rilevante. Un’eredità da conservare con ogni mezzo. Dunque molta gente ha cominciato a pagare per vedere gli spettacoli organizzati da Eva.

«Ma una società segreta non resta mai tale a lungo. Sir Philip Wren, il procuratore generale, aveva creato una squadra speciale per indagare sulle attività dell’Ephemera. Voi allora l’avete ricattato, minacciando i suoi cari se non avesse abbandonato l’inchiesta, e per un po’ ha funzionato, ma poi Sandra Barnsdale gli ha spedito la lista degli appartenenti al vostro gruppo. Allora avete dato a Wren un ultimatum: o vi ridava l’elenco, oppure uccidevate sua figlia. Per ora come me la sto cavando?»

«Da Dio. Forse non è stato uno sperpero di denaro.»

«Ma il problema era che il procuratore generale mi aveva già spedito la chiavetta. È stato Miles a scoprirlo. Wren poteva soltanto indicarvi la persona a cui aveva inviato la lista, cioè il sottoscritto. Lui vi ha dato il mio nome, ma voi avete deciso comunque di rapire Hayley.»

«Per anni Wren era stato una spina nel fianco. Bisognava dargli una lezione.»

«Ma nel frattempo dovevate anche rientrare in possesso della lista.»

«Quando abbiamo scoperto che il documento era finito nella mani sbagliate, ci siamo arrabbiati parecchio.»

«Perciò avete mandato Miles a casa mia a riprendersi la chiavetta.»

«Cosa?» gridò Jessica. «Sei stata tu a mandare Miles?»

«Certo che è stata lei» disse Priest, alzandosi dalla poltrona.

«Confermo» disse Lucia. «Dopo il fallimento di Miles, abbiamo cercato di ottenere la lista tramite Hayley, visto che voi due vi conoscevate, ma nemmeno questo secondo tentativo è andato a buon fine.»

«Charlie...» Jessica sembrava sul punto di soffocare. Aveva gli occhi pieni di lacrime e la voce fioca, a malapena udibile. «Charlie, cosa stai dicendo?» Intanto guardava la madre.

Priest la ignorò. Doveva andare fino in fondo. Non c’era più tempo. «Ma Eva cosa c’entra con tutta questa storia?»

«Me lo dica lei» rispose Lucia.

«Mi dispiace, Jessica» sussurrò Priest.

«Che cosa?» balbettò lei. «Dimmelo!»

«Eva Miller è tua nonna.»

Jessica rimase di sasso.

«Eva Miller e Bertie Ruck hanno avuto una figlia. Ruck ha cercato di impedire che si scoprisse la verità su Eva, non per proteggere se stesso, ma perché sapeva che ormai da anni la figlia aveva preso il posto della madre. Ti ricordi che la fotografia sul comodino di Ruck ti sembrava familiare? Lucia è la figlia di Eva e Bertie.» Priest guardò Jessica. Era preoccupato. La chiarezza discesa su di lui poco prima cominciava già a dissiparsi. Tra lui e il mondo era ridisceso un velo oscuro. Non ora, ti prego, Dio, non ora. Non adesso che mancano solo dieci minuti...

Jessica ruppe il silenzio. «Sei stata tu a portarmi qui la prima volta, quand’ero piccola. In questa casa. Non è vero, mamma?»

«Sì» disse Lucia, con uno strano bagliore negli occhi. «Sì, Jessica. Sono felice che tu alla fine te lo sia ricordata.»

«Mi ricordo la casa, e anche questo salone. Dicevi che era il nostro lascito. Un dono della nostra famiglia al mondo.»

«Ti ho portata qui per fartela vedere. Tu ti sei messa a giocare proprio su questo tavolo.»

«Bugiarda! Questo non è un dono . È veleno! Tu sei veleno!»

«Non puoi sfuggire al tuo destino.»

«Tu sei malata, mamma. Devi farti aiutare...» Jessica si interruppe e parve perdersi nei suoi pensieri. «Dicevi che Miles ha fallito. L’hai ucciso tu

Lucia si sedette, dando loro la schiena.

«Non l’ha ucciso lei, Jessica.» Forza. Lottando per restare aggrappato al presente, Priest si pizzicò il naso. Forza! Qui e ora. Il dolore lo riscosse, ma quanto sarebbe durata la tregua?

Nove minuti.

Jessica girò la testa di scatto e per la terza volta Priest sentì il suo sguardo che lo trapassava. «Mio Dio, e allora chi è stato?»

«Nessuno.» Le sue parole riecheggiarono sul marmo come proiettili vaganti.

«Non capisco. Cosa vuol dire nessuno

«Miles è ancora vivo.» Priest accennò all’incappucciato. «Eccolo lì.»

Fino ad allora la sagoma era rimasta immobile, a braccia conserte, il torace che si alzava e si abbassava lentamente al ritmo del respiro. Si tolse il cappuccio e lo lasciò cadere ai propri piedi.

Senza fiato, Jessica vacillò, aggrappandosi a una colonna per non cadere.

«Salve, Miles» disse Priest.

Miles Ellinder sorrideva, mostrando due file di denti bianchi. Sembrava più in forma della sera in cui aveva minacciato Priest con il trapano. I capelli scuri tirati indietro avevano un’aria pulita; le pupille erano sempre a spillo, quasi invisibili a quella distanza. C’era un che di rettile nel suo sguardo: sembrava quello di un morto. Ripensò a Cappuccio che lo teneva sotto tiro a villa Vyre. Non aveva fatto in tempo a riconoscerlo.

«Se tu sei vivo, allora chi è che...» sussurrò Jessica in tono orripilato.

«Chi è stato impalato nel magazzino di tuo padre? Un immigrato, un barbone? Qualcuno raccattato dalla strada?» chiese Priest.

Lucia scrollò le spalle. «È un dettaglio irrilevante.»

«Non ricorderà nemmeno come si chiamava. Non c’è certo penuria di migranti privi di documenti da trucidare. Anche se mi sembra una soluzione un po’ rischiosa, perfino per gentaglia del vostro calibro.»

«Anche la sua intelligenza ha dei limiti.»

«Ma come avete fatto?» chiese Jessica. «Come avete fatto a far credere a tutti che fosse Miles?»

«Perché è stata sua madre a identificare il cadavere. L’avevo letto nel rapporto dell’autopsia parziale, ma sul momento non ci ho fatto caso.»

Lucia si alzò, spingendo indietro la sedia. «Certo che ho identificato io il corpo! Cos’altro può fare una moglie fedele per risparmiare ulteriori sofferenze al proprio marito affranto? E poi non era mica un segreto che Miles fosse figlio mio e non di Kenneth.»

«Nessuno si sarebbe sognato di discutere l’identificazione della madre. E naturalmente avevate McEwen dalla vostra. Fa parte del gruppo, no? E il medico legale incaricato dell’autopsia. Anche lui dev’essere sul vostro libro paga.»

Lucia inarcò il sopracciglio. «McEwen? Il medico legale? Ha superato le mie aspettative. Non avrei mai detto che sarebbe riuscito a individuare perfino i miei soldati semplici.»

Il diavolo sta nei dettagli. «Non ci voleva molto a scoprire che il nome del responsabile dell’autopsia figurava anche sulla lista dell’Ephemera.»

«Ma... perché?» balbettò Jessica.

«Credo che il principale motivo per cui Miles ha dovuto fingere di essere morto sia stata la vocazione teatrale di tua madre. Così è cominciata la caccia all’unicorno.»

Lucia applaudì.

A qualche metro di distanza, Priest sentiva la fioca eco della folla radunata nella sala adiacente; emozionato e impaziente, il pubblico ingannava il tempo in attesa dello spettacolo. Ancora sei minuti e avrebbero avuto quello che volevano.

«Ma perché?» ripeté Jessica. «Perché Miles ha dovuto fingere di essere morto?»

«Credo che le ragioni strategiche fossero due» disse Priest, guardando negli occhi Lucia. «Innanzitutto Philip Wren stava con il fiato sul collo agli Ellinder, che cominciavano a temerlo sul serio. Quindi lo spettacolare assassinio di Miles sarebbe servito a farli passare come vittime invece che come carnefici. O mi sbaglio?»

Lucia annuì. «Wren iniziava a darci veramente fastidio, ma levarlo di mezzo avrebbe soltanto reso tutto più complicato: senza dubbio qualcun altro avrebbe preso il suo posto. Dovevamo confondere le acque e nel frattempo consentire a Miles di agire nell’ombra.»

«Ma, alla fine, quando avete scoperto che era entrato in possesso della lista dell’Ephemera, Wren avete dovuto ucciderlo comunque...»

«Non capisco» disse Jessica, guardando Priest come per implorarlo di spiegare tutto daccapo.

Attenta, Jessica, capire potrebbe non piacerti. Priest continuò a rivolgersi a Lucia. «E poi inscenare la morte di Miles vi ha permesso di arrivare a me. Avevate bisogno di ritrovare la chiavetta, ma anche di scoprire cosa sapevo. La prima volta Miles non è riuscito a recuperare il file, allora avete ucciso il suo sosia mettendogli in tasca un mio biglietto da visita. Poi lei ha convinto suo marito a chiedermi di indagare sulla morte di Miles. Avete fatto in modo di affiancarmi Jessica. Così sarei finito nella ragnatela tesa dall’Ephemera e McEwen avrebbe avuto una scusa per riappropriarsi della chiavetta, e infatti la settimana scorsa è arrivato nel mio ufficio con un mandato di perquisizione che soltanto all’ultimo momento sono riuscito a far annullare.»

Lucia applaudì di nuovo. «Bravissimo, signor Priest.»

«Ma io cosa c’entro, in tutto questo?» chiese Jessica.

«Volevamo iniziarti. Lasciarti scoprire da sola il magnifico orrore che ti attende. Io, tua madre, ho deciso che questa casa sarà il tuo destino. È a te che passerò il testimone. Come Eva l’ha trasmesso a me, così io ho scelto di darlo a te. Sei tu la mia apprendista. E sarai tu la prossima Ephemera.»

Jessica scosse la testa. «Tu sei pazza» mormorò.

Lucia Ellinder tese la mano alla figlia. «Come fai a non accorgerti del miracolo che siamo riusciti a creare? Il lavoro di Kurt Schneider ha dato i suoi frutti.»

«Voi torturate la gente. Per divertimento.»

«Noi siamo vivi , Jessica. Affrontando la paura, ridefiniamo il nostro rapporto con Dio. Tocchiamo il fondo dell’abisso. Tu non hai idea, Jessica, della potenza e dell’energia che si sprigionano da questa casa. Pensa a come potrebbe essere stabilire un canale diretto con Lui... il Creatore.»

«Le persone ti pagano. Per vederti torturare la gente.»

«E sono state le loro offerte a permetterci di mantenere il nostro stile di vita. Non dimenticarlo mai. Il denaro di tuo padre non sarebbe mai bastato. Ma il punto non sono i soldi. Il punto è l’Ephemera. La nostra evoluzione

Jessica si prese il volto tra le mani. «Non capisco.»

«Invece sono certa che lei capisce alla perfezione, signor Priest» disse Lucia, voltandosi verso di lui.

«Sarebbe facile liquidarvi come la classica setta di pazzi fissati con la morte» disse lentamente Priest. «Ma sarebbe una spiegazione troppo semplicistica. Lei ha appena parlato di evoluzione, il che mi fa sorridere, visto che il fulcro delle vostre credenze resta il contatto con Dio.»

Il sorriso di Lucia si allargò. «La prego, continui.»

«Siete convinti che si possa raggiungere Dio, magari addirittura vederlo in faccia, attraverso le inconcepibili sofferenze di un altro essere umano. La dinamica è quella di un rito sessuale, ma, mentre in tal caso il contatto con Dio si raggiunge al culmine dell’orgasmo, qui lo forgiano la paura e il dolore.»

«Non ho mai sentito nulla di più delirante» disse Jessica.

«L’idea di sacrificare esseri umani per ingraziarsi qualche dio è vecchia quanto la civiltà. E l’Ephemera, per certi versi, non è che un’evoluzione diretta di una tradizione millenaria. O almeno così la pensava Kurt Schneider.»

«Non ci posso credere che...»

«Svegliati e cresci un po’! Questa è la tua eredità!» In preda a una furia improvvisa, Lucia si scagliò contro di lui.

Priest fece un rapido calcolo. Avrebbe avuto bisogno di più tempo, ma a ogni secondo le sue chance diminuivano. A non più di venti metri di distanza, Miles lo teneva sotto tiro. Per uccidere Priest gli sarebbe bastato uno sparo.

In lontananza suonò una campana. Nessuno si mosse. Poi la pioggia cominciò a tamburellare sempre più forte sulle finestre opache della cupola. Eccoci qua. Tempo scaduto.

«Abbiamo parlato abbastanza» disse Lucia. «Vieni con me, Jessica.»

Con la canna della pistola, Miles fece loro segno di seguirlo verso la porta dietro di lui. Priest pensò a Georgie, a cosa il futuro aveva in serbo per lei. Mentre Lucia spariva per prima oltre la soglia, Priest si voltò verso Jessica.

Aveva le guance arrossate e sembrava esausta, ma al tempo stesso padrona di sé. Determinata. «Miles, cosa stai facendo?»

«Quello per cui sono nato, sorellina.»

«Non sei nato per stare in questa oscurità, Miles. Dio mio, perché non apri gli occhi?»

«Tiri in ballo Dio, sorella? Non sapevo che credessi anche tu.»

«E infatti non credo affatto! E non venire a raccontarmi che anche tu credi a queste stronzate, coglione che non sei altro.»

Lui ridacchiò. «Be’, perché non decidiamo quando saremo al Suo cospetto?»