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Erano secoli che non saliva su un autobus. D’altronde, anche se avesse avuto ancora la Clio, non poteva certo guidare col braccio ingessato. Era un caldo pomeriggio di inizio estate, ma sul mezzo c’era l’aria condizionata e si stava bene. La cacciatrice di mosche aveva scelto un posto nelle file centrali, accanto al finestrino, e adesso si godeva il panorama del lago.

Stava andando a Como. Un agente immobiliare le aveva dato appuntamento subito dopo pranzo. Aveva deciso di vendere la villetta dei genitori. Sapeva che non ci avrebbe ricavato molto, perché era malandata e per via della sua triste fama. Ma forse con dei nuovi abitanti, magari una giovane famiglia con bambini, la maledizione sarebbe svanita. La cacciatrice ci sperava.

Data la necessità di raccogliere altri passeggeri lungo il percorso, il viaggio si stava rivelando più lungo del previsto. C’era comunque poca gente intorno a lei e non le dispiaceva starsene lì, col sole che le baciava la pelle del viso.

Mentre percorrevano il lungolago, scorse dal finestrino l’isola Comacina.

Rammentò che proprio lì di fronte era avvenuto il salvataggio della figlia adolescente dei Rottinger. Dopo la visita a Diego, aveva promesso di non lasciarsi più coinvolgere dalla vicenda: scacciò il pensiero e prese il cellulare dalla borsa, cercando di distrarsi. Tanto fra poco l’autobus avrebbe superato la fermata corrispondente alla spiaggetta antistante l’isolotto e lei avrebbe potuto dimenticarsene di nuovo. Ma l’ansia non accennava a placarsi. Era la tentazione di un antico istinto. E, per quanto si sforzasse di concentrarsi sullo schermo dello smartphone, non si decideva ad aprire un’applicazione in cui trovare rifugio: che fosse la posta elettronica, internet o un social network poco importava, la sua attenzione era rivolta altrove. Poco prima che il mezzo imboccasse una curva, la cacciatrice capì di non poter resistere e ruppe gli indugi: si alzò dal posto e sollevò il braccio in direzione del retrovisore da cui l’autista controllava i passeggeri.

«Mi scusi» disse. «Vorrei scendere.»

Appena mise piede sull’asfalto rovente, si sentì molto meglio. L’autobus ripartì lasciandola sola. Mentre il rumore del motore si allontanava alle sue spalle, si guardò intorno. C’era un piccolo spiazzo adibito a parcheggio, che al momento era vuoto. Da lì partiva un sentiero che s’insinuava nel bosco verso la riva. Si avviò in quella direzione, dicendosi che comunque le faceva bene prendere un po’ d’aria, tanto era perfino in anticipo sul suo appuntamento. In realtà, voleva vedere il luogo in cui l’essere con mille personalità confliggenti aveva fatto per la prima volta la sua apparizione, sacrificando la propria invisibilità per salvare una ragazzina che nemmeno conosceva.

Camminando fra gli alberi, si accorse che c’erano dei tavoli da picnic messi lì apposta per chi veniva in gita nei fine settimana. Ma l’annegamento era avvenuto in un giorno feriale e, in teoria, non avrebbe dovuto esserci nessuno.

La cacciatrice di mosche si sedette su una delle panche, accanto a un cipresso, e osservò la spiaggetta dove era stata tratta in salvo la ragazzina. Su quella sottile striscia di ciottoli era avvenuto l’incontro fra un’innocente e uno spietato assassino. Immaginò cosa avesse visto lui quella mattina. Il corpo che si dimena nell’acqua, trascinato dalla corrente. Forse l’adolescente trova il fiato per chiedere aiuto. Lui capisce di avere pochi secondi per prendere una decisione. Poi, senza esitare, si tuffa, rischiando di essere inghiottito da uno dei terribili mulinelli nascosti sotto la superficie apparentemente tranquilla.

Chissà perché si è buttato nel lago? si domandò. Cosa l’ha spinto? Era solo, poteva infischiarsene e non mettere a repentaglio il proprio prezioso anonimato.

Le tornarono in mente i testimoni della scena che poi avevano soccorso la ragazza dopo la fuga del presunto eroe. Un giardiniere che lavorava in una villa vicina, tre muratori impegnati nella ristrutturazione di una casa e un postino che stava ultimando il proprio giro di consegne: aveva letto di loro nel rapporto che le aveva passato Pamela in forma confidenziale. Nessuno aveva visto in faccia lo sconosciuto. Però avevano tutti una ragione per essere lì, tranne l’uomo misterioso.

Ma era davvero così?

Cosa ci facevi qui il mattino dopo aver ammazzato e fatto a pezzi la povera Magda Colombo? Ti sei disfatto del corpo a parecchi chilometri da questa spiaggia: allora perché proprio questo posto?

Lui era ancora là fuori, libero di muoversi e di uccidere di nuovo. Anche se nessuno era disposto a crederle, lei lo sapeva. Ma, fino ad allora, si era chiesta dove fosse finito, trascurando il motivo per cui il venerdì in cui tutto era cominciato si trovasse proprio davanti all’isola Comacina.

Una brezza si levò e mosse le fronde degli alberi. La cacciatrice fu raggiunta dal profumo di un tiglio in fiore che stava chissà dove. Chiuse gli occhi e si lasciò pervadere e, nel contempo, si godette il concerto della natura che aveva intorno, generato proprio dal vento. Gli uccelli che volavano via, lo sciabordio del lago, l’abbraccio fra i rami, la risata delle foglie.

Ma fra quei suoni, ce n’era uno che stonava.

La cacciatrice di mosche si concentrò per capire cosa fosse. Come uno strumento che non c’entrava nulla col resto dell’orchestra. Allora aprì gli occhi e lo cercò in giro con lo sguardo.

A poca distanza dal tavolo a cui era seduta, c’era un cestino dei rifiuti fatto di legno. Il rumore veniva da lì. Per un attimo, le passò davanti agli occhi l’immagine di un inserviente che spingeva un macchinario per lavare i pavimenti in un reparto di terapia intensiva: l’unica volta che il mostro invisibile era apparso, aveva preso le sembianze di un uomo delle pulizie. Mossa da quella considerazione, si alzò per andare a controllare il contenitore della spazzatura. Mentre avanzava, vide che ce n’erano altri simili, disposti lungo il sentiero. Sporgendosi, notò la busta di plastica verde posizionata all’interno. Al momento il sacchetto era vuoto, per questo faceva rumore mentre il vento lo smuoveva. Ciò significava soltanto una cosa.

Qualcuno li sostituiva regolarmente.

Io sono l'abisso
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