4 ottobre

La porta di casa si richiude, ma nessuno si è accorto che lui è rientrato.

Il bambino si guarda intorno, cercando di capire dove sono la nuova madre e il nuovo padre. È quasi ora di cena e ha vagabondato tutto il giorno con la bici che gli hanno regalato dopo la promozione in seconda media. Non sa ancora se sarà rimproverato per questo. Ha indosso gli stessi vestiti con cui è uscito quella mattina. Pantaloncini, maglietta e scarpe da ginnastica sono sporchi di terra e di polvere, e lui è sudato.

Avanza con circospezione nel corridoio e si avvicina alla soglia della cucina. All’interno spia la nuova madre che sta infornando una teglia. Approfitta del fatto che sia di spalle per proseguire velocemente verso il gabinetto. Prima di entrarci, però, vede che il nuovo padre è seduto sul divano del soggiorno, davanti al televisore: sul suo viso si alternano ombre colorate, mentre è immerso nell’ascolto del telegiornale.

Il bambino s’infila in bagno ma, prima di accendere la luce, chiude a chiave.

Respira. Respira. Respira. Nelle orecchie solo il suo respiro affannoso. Non sa cosa accadrà fra poco, se riuscirà a mentire o se, invece, crollerà subito. In tutte quelle ore passate in giro ha pensato a una versione da raccontare, e non l’ha trovata.

Ma le parole non serviranno, perché la verità è già impressa sulla sua faccia.

Va verso il lavandino, si appoggia con entrambe le braccia al bordo di ceramica. Il capo chino, perché non ha ancora il coraggio d’incontrare il proprio riflesso. Piccole gocce salate gli scivolano lungo la fronte e bruciano quando gli finiscono negli occhi: allora se li asciuga e comincia a sollevarli piano sulla maglietta umida, appiccicata al torace, che si alza e si riabbassa per il fiato corto, come se avesse fatto una corsa interminabile. Risale lungo la pelle del collo, cotta dal sole. Alla fine incrocia quello sguardo, diviso fra la gioia e la paura.

Il suo stesso sguardo.

E nello specchio appare anche un sorriso. Il sorriso dei suoi denti nuovi. Il sorriso di chi sa di averla combinata grossa.

Lo scopriranno, si dice. Appena mi guarderanno, capiranno tutto. Ne è sicuro. Ma non sa se gli importa veramente. Non pensa alle conseguenze. È ancora troppo forte l’eccitazione per quanto è successo quella mattina.

È autunno ma sembra estate. La sera prima, la nuova madre aveva fatto promettere al nuovo padre che quella domenica avrebbero fatto qualcosa insieme, solo padre e figlio. Tipo andare a raccogliere funghi o a caccia di tordi. Al risveglio, la nuova madre gli aveva fatto trovare sul letto dei vestiti puliti, si sentiva ancora il profumo di bucato. Gli aveva preparato la colazione, pane e zucchero, un bicchiere di latte. Il bambino le aveva detto che era felice di avere un impegno col nuovo padre. Ma lei gli aveva rivelato che purtroppo il nuovo padre se n’era scordato, ed era uscito da solo molto presto.

Il nuovo padre non passava mai del tempo con lui e, appena poteva, lo evitava. Non parlava molto. Si chiudeva nel laboratorio dove costruiva sedie a dondolo, casette per gli uccelli, elfi con grandi cappelli rossi, mulini ad acqua e banderuole per il vento. Era il suo passatempo. Usciva da lì solo per mangiare o guardare la tv sul divano. La nuova madre invece era molto gentile, sorrideva sempre. Anche quando dormiva, lei sorrideva. Il bambino l’aveva guardata a lungo, di notte, in piedi accanto al letto.

Perciò quella domenica mattina il bambino non sapeva cosa fare.

Poi aveva deciso che, con una bella giornata a disposizione, se ne sarebbe andato a zonzo in bici. Dopo aver gonfiato le ruote con la pompa e sistemato il campanello sul manubrio, stava per salire sul sellino ma aveva sentito il fischio.

Due note prolungate, ripetute all’infinito per richiamare la sua attenzione.

Siccome sapeva che l’unica cosa da fare in quei casi era obbedire, il bambino aveva mollato tutto ed era salito nella stanza dell’altro figlio. Aveva trovato Micky che si dondolava sulla solita sedia di legno. Micky gli aveva assegnato uno strano compito. E gli aveva anche spiegato cosa doveva fare. Il bambino non capiva il perché, ma non si era azzardato a chiederglielo.

Poco dopo, si era messo a pedalare per le campagne.

Il brecciolino che friggeva sotto i copertoni, la catena che sferragliava a ogni accelerata, quel senso di libertà che si prova solo stando da soli. Aveva quasi scordato la richiesta di Micky. Poi, dopo una ripida salita, aveva svoltato in un viottolo in fondo al quale c’era la pompa di benzina dove andavano a rifornirsi i mezzi agricoli.

Su un muretto c’era un altro bambino, più piccolo, aveva al massimo tre anni.

Stava giocando con un carrarmato di latta.

Lui era smontato dalla bici e si era avvicinato, pensando che i genitori non dovrebbero mai lasciare incustodito un bambino di quell’età.

Adesso, chiuso nel bagno, se si concentra sente ancora nel naso l’odore di cherosene della pompa di benzina. Dalla porta arrivano i suoni del telegiornale che il nuovo padre sta guardando sul divano. Brandelli di frasi. È accaduto qualcosa di grave. Qualcosa di terribile, d’impronunciabile. Allora si accorge che l’uomo nella tv sta parlando di lui. Il bambino è sorpreso, spiazzato: trema, non se l’aspettava. Sarà punito per questo, lo sa già. In mezzo alla scarna cronaca di ciò che è successo appaiono parole strane. «Scomparso.» «Ricerche.» «Paura che gli sia accaduto qualcosa di brutto.» Ma ce n’è una che attira particolarmente la sua attenzione.

Mostro.

Credeva che i mostri esistessero soltanto nelle storie e nelle fiabe.

«Mostro» ripete in un sussurro, lasciando che le lettere gli scivolino dolcemente fra le labbra.

Pensano che sia stato un adulto, si dice. Gli viene da ridere. Forse li ha fregati. Forse allora riuscirà a ingannare anche la nuova madre. Certamente non il nuovo padre. Lui capirà, ne è sicuro. Anzi, l’ha capito la prima volta che si sono incontrati insieme con Martina, fuori dalla stazione. Gli è bastato uno sguardo per rendersi conto che lui e sua moglie avevano commesso un grosso errore. Ma ormai era troppo tardi, non si poteva più tornare indietro.

Anche il bambino della pompa di benzina si era fidato di lui. Era bastata la promessa di mostrargli dei gattini appena nati e quello l’aveva seguito subito. L’aveva portato nella casa abbandonata, dietro la collina. In quella casa c’è un pozzo profondissimo. Se ci fai cadere un sasso, non senti alcun rumore. «I gattini sono là sotto» aveva detto. Il bambino della pompa di benzina non aveva pianto, l’aveva solo guardato. Non dimenticherà mai lo stupore nei suoi occhi.

Bussano alla porta del bagno. «La cena è quasi pronta» gli annuncia la nuova madre.

Lui non risponde, ma apre il rubinetto e fa scorrere l’acqua, fingendo di lavarsi. «Non lo troverete mai» dice al silenzio. Poi infila una mano nella tasca dei pantaloncini. Prende il piccolo carrarmato di latta, lo osserva. Più tardi lo porterà a Micky. Magari ci potrà fare un ciondolo o potrà usarlo come portachiavi. È sicuro che Micky sarà fiero di lui, non come il nuovo padre che invece lo guarda come se fosse uno sbaglio di Dio.

Anche Vera lo guardava così.

Quando ha finito di lavarsi davvero, il bambino esce dal bagno. Va in cucina senza sapere cosa accadrà di lì a poco. Si siede a tavola, davanti a una porzione abbondante di sformato di maccheroni. Non ha ancora guardato in faccia i nuovi genitori. Prima di addentare una forchettata, si decide e alza la testa.

Niente. Non succede niente.

Continuano a mangiare come se niente fosse. Nel silenzio, si sentono soltanto il tintinnio delle posate nei piatti e il ticchettio dell’orologio attaccato alla parete.

Lui è felice e ora ha tanta, tanta fame.

Io sono l'abisso
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