27

Entrarono insieme nell’obitorio deserto. I loro passi risuonavano nell’eco dello stanzone con le celle frigorifere.

«Metti questi» si raccomandò Silvi, porgendole camice, copriscarpe e mascherina che indossò anche lui insieme ai guanti.

Quindi si avvicinarono all’alveare d’acciaio e il patologo tirò a sé la maniglia di uno degli scomparti a scorrimento. Dall’interno si levò una nuvola di polvere ghiacciata che si diradò rapidamente. Subito dopo, il medico legale recuperò il piccolo feretro che la cacciatrice di mosche aveva già visto qualche giorno prima a Nesso, contenente il braccio che i carabinieri avevano ripescato dal lago.

Il patologo portò la cassettina con sé a uno dei tavoli autoptici presenti nella sala. Con un pedale, accese la lampada scialitica che lo sovrastava. Prima di aprire la scatola di metallo, si rivolse a lei. «Quando ho iniziato l’autopsia, mi aspettavo che si sarebbe conclusa come al solito: la classica dichiarazione di morte per cause ignote, accompagnata da una scarna descrizione dei resti per l’archivio della procura.»

«Invece?»

«Invece sono emersi due particolari...»

Silvi aprì la cassa ed estrasse il braccio congelato, adagiandolo delicatamente sul ripiano d’acciaio.

La cacciatrice lo riconobbe: sul molo, gli aveva chiesto di mostrarglielo per un ultimo pietoso saluto alla donna senza nome. Ma in quel contesto faceva un altro effetto e ne fu scossa.

I medici legali dimenticavano che il resto del genere umano non era abituato ad avere un contatto così intimo con la morte. Infatti, Silvi proseguì come se niente fosse. «Come sappiamo, sulla carne sono presenti lesioni compatibili con l’azione delle correnti e con l’urto contro rocce o detriti. Ma, se guardi meglio, c’è qualcos’altro...»

Le indicò il punto esatto con il mignolo guantato. Lei prese un respiro e si sporse. Nell’incavo del gomito c’erano due semicerchi sovrapposti ma leggermente distanziati, simili a mezzelune. A differenza delle altre ferite, questa risultava regolare.

«Che roba è?» domandò, sorpresa.

«Un morso.»

Aveva pronunciato la parola con un tono cupo, quasi spettrale. La cacciatrice ebbe paura a chiedere il resto della storia.

«La pressione esercitata e l’ampiezza delle arcate non lasciano dubbi» proseguì l’altro. «Però c’è qualcosa che non quadra... C’è un unico solco continuo: mancano le singole incisioni dei denti.»

«Sarà stato un pesce» azzardò la cacciatrice.

«Nel lago di Como non esistono pesci in grado di lasciare quel segno» affermò Silvi, sicuro.

«Allora cosa oppure chi

Il dottore dei morti andò in cerca di una risposta, che non trovò. «Non ne ho idea» ammise.

La cacciatrice sospirò. «Ne hai parlato coi carabinieri?»

«L’ho segnalato nel referto» si schermì l’altro. «Ma non t’illudere: non sarà formulato alcun capo d’imputazione, per adesso l’ipotesi del suicidio regge ancora.»

«Allora perché me lo stai mostrando?»

«Perché ho pensato che forse tu puoi scoprire l’identità della donna: magari è davvero vittima di un marito o di un compagno violento che ora si sta compiacendo per averla passata liscia.» Fece una pausa. «Sono un po’ di notti che non ci dormo.»

«Poco fa hai detto che i particolari emersi dall’autopsia sono due... Qual è il secondo?»

«Sei pronta a stupirti?»

La cacciatrice si disse che il dettaglio del morso era già abbastanza sorprendente. Che altro poteva esserci? Intanto Silvi si mosse verso un bancone con vari strumenti chirurgici. Lei ebbe il timore che tornasse con un bisturi o una sega a motore, ma si trattava soltanto di un piccolo neon.

«La pelle umana è come una specie di foglio bianco» affermò il medico legale. «A volte, sopra c’è scritto un racconto invisibile. Perciò usiamo sempre gli ultravioletti per rilevare impronte o materiale organico sui cadaveri» le spiegò. «Ma, onestamente, non mi sarei mai aspettato di trovare questo...»

Accese la lampada che stringeva in pugno, poi allungò la gamba verso il pedale per spegnere la scialitica. La sala piombò nel buio totale, fatta salva la bolla violacea che li circondava. Silvi avvicinò il neon al braccio di Nesso e lo fece scorrere fino alla mano della vittima.

Sul dorso, dove fino a poco prima non si vedeva nulla, affiorò l’ombra di una scritta. Sembrava un tatuaggio realizzato con l’inchiostro simpatico.

DANCING BLUE – FREE DRINK

Io sono l'abisso
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