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La quiete dell’abisso. L’immensa calma del fondo del lago. Sospesa nell’acqua gelida, mentre il suo corpo fluttua, ondeggiando nella corrente. Tiene gli occhi aperti, si guarda intorno. Il silenzio la circonda e la protegge. Niente e nessuno può più toccarla. La ragazzina col ciuffo viola continuava a immaginarsi in quello stato imperturbabile e intanto contava il tempo che la separava dall’inevitabile.
Quella mattina era passato l’ortopedico per visitarle la caviglia. Siccome stava guarendo in fretta, le aveva tolto le stampelle, mettendole un tutore più leggero con cui avrebbe avuto più facilità a camminare.
Ma non era una buona notizia, visto ciò che l’attendeva quel mercoledì sera.
Aveva scelto una tuta a caso dall’armadio. Si era legata i capelli in una coda, come quando non aveva tempo di lavarli. Aveva evitato di fare la doccia e si era cosparsa di un profumo stomachevole. Voleva rendersi indesiderabile, contravvenire all’ordine di Raffaele di «cercare di essere carina», sperando che il ragazzo sconosciuto, a cui l’aveva venduta stavolta, si tirasse indietro. Ma arrivate le ventuno aveva già perso tutta la sua sicurezza e temeva che quel comportamento sarebbe stato letto come un affronto imperdonabile.
Per ottenere il permesso di uscire di casa in una serata infrasettimanale, aveva raccontato alla madre che sarebbe venuto a prenderla il più bel «figo» che avesse mai conosciuto. Purtroppo, era la verità. Ma la signora Rottinger non si era chiesta come mai un tipo del genere s’interessasse proprio alla figlia. Si era subito illusa che il ragazzo riuscisse a scorgere in lei i geni della bellezza materna. In fondo, voleva solo essere rassicurata dal fatto che forse la sua bambina non l’avrebbe mai odiata per non aver ereditato il suo fascino.
Raffaele si presentò puntuale davanti al patio della villa, a bordo della moto che gli aveva regalato il padre. Squadrò la ragazza col ciuffo viola e non si arrabbiò per come si era conciata, anzi gli scappò da ridere. «Almeno ti sei sbarazzata di quelle cazzo di stampelle» commentò. Le passò il secondo casco e fece un cenno alla signora Rottinger che si era attardata sulla soglia proprio per salutarli. Un perfetto giovanotto della Como bene.
Mentre andavano a tutta velocità, la ragazzina si strinse a lui, sentendo il calore del suo corpo nel vento. Per un attimo, chiuse gli occhi e immaginò di essere davvero la fidanzata di Raffaele. Come sarebbe stato bello se le cose fossero state diverse. Invece facevano soltanto schifo. Provò un senso di nausea, spalancò gli occhi e, guardando i fari delle auto che arrivavano di fronte, diede un colpo di reni. La moto sbandò pericolosamente. Un clacson risuonò, sparendo alle loro spalle.
«Cazzo fai?» le urlò il ragazzo, dopo aver ripreso la traiettoria. «Vuoi farci ammazzare?»
Sì, avrebbe voluto rispondergli. Ma poi disse soltanto: «Scusa».
Il viaggio durò quasi mezz’ora, durante la quale costeggiarono quasi sempre il lago. Poi s’immisero in una stradina buia che saliva in collina. Alla fine, giunsero davanti a una palazzina degli anni Settanta, con l’insegna HOTEL.
La ragazzina col ciuffo viola scese dalla moto e si guardò intorno. Era un albergo vecchio e decadente. O forse era lei troppo giovane per stare lì. «Non ci daranno mai una stanza» commentò. «Siamo minorenni.»
«Tu non ti preoccupare» la ammonì Raffaele mentre prendeva lo zainetto assicurato al serbatoio. «Sta’ zitta e seguimi.»
Entrarono nella hall. Se possibile, l’interno era anche peggio dell’esterno. L’arredamento in legno emanava un forte odore di muffa e deodorante spray. Il ragazzo le fece intendere di aspettarlo a distanza, mentre lui si accordava col portiere. Lo vide confabulare con quell’omino strizzato in una giacca blu che, mentre Raffaele gli passava venti euro, le riservò perfino un’occhiata di disprezzo. La ragazzina si sentì improvvisamente in imbarazzo e abbassò lo sguardo. Poco dopo, il suo aguzzino tornò da lei con una chiave.
Salirono fino alla stanza duecentonove.
Raffaele spalancò la porta e la fece entrare. Accese la luce e lei si ritrovò in un ambiente claustrofobico. La camera misurava al massimo una decina di metri quadri, quasi totalmente occupati da un letto matrimoniale. C’era un televisore col tubo catodico attaccato alla parete e un piccolo frigobar che emetteva un ronzio infernale. Dal bagno angusto arrivava puzza di urina. Il copriletto marrone era sudicio, come le tende davanti all’unica finestra con la tapparella abbassata per metà.
«Cosa fai lì come una stronza?» la rimproverò Raffaele, aprendo lo zainetto.
Lei fece un passo in avanti, domandandosi cosa l’attendesse. Poi vide che lui sistemava sul letto qualcosa. Biancheria intima. Calze autoreggenti, slip trasparenti e un reggiseno che non avrebbe saputo come riempire. Poi le porse una trousse. Ecco perché non gli interessava il suo aspetto dimesso, pensò la ragazzina.
«Va’ in bagno e truccati» le intimò. «Poi metti questi.»
Lei gli prese la mano. «Aspetta.»
«Che c’è?»
Avrebbe voluto minacciarlo, dirgli che il suo angelo sarebbe venuto a salvarla di nuovo e gliel’avrebbe fatta pagare. Ma, dopo la telefonata muta, non era più sicura di niente. E quando aveva provato a richiamare il vecchio numero, aveva squillato sempre a vuoto. «Nulla» disse, afferrando l’astuccio coi trucchi e raccogliendo la lingerie.
Prima che cominciasse a prepararsi, Raffaele la informò: «La persona che sta per arrivare ha pagato un sacco di soldi per averti».
Forse quel pezzo di merda pensava che si sarebbe sentita lusingata. Ma lei provava soltanto ribrezzo. Anche per se stessa. «Non m’importa a quale dei tuoi amici mi hai venduta stavolta, basta che si sbrighi come tutti gli altri.»
Raffaele si congedò con una risata, lei si chiuse in bagno.
Mentre si metteva il rossetto, sentì che qualcuno entrava nella camera. A quanto pareva «la persona» era arrivata. La ragazzina col ciuffo viola pensò a quella parola. Perché Raffaele l’aveva chiamato in quel modo? Lo sentì mentre si spogliava, poi riconobbe il cigolio delle molle del materasso e capì che si era disteso e la stava aspettando.
Spense la luce del bagno. Si appoggiò alla porta con la fronte, inspirò e raccolse tutto il coraggio di cui disponeva. Infine, si decise ad aprire.
L’interno della camera era buio. Rimase sulla soglia cercando nell’oscurità. Quando i suoi occhi si abituarono a quel po’ di luce che filtrava dalla tapparella, intravide chi l’attendeva disteso.
Non era un ragazzo. Era un uomo adulto con una pancia enorme e un’erezione in bella vista.
«Avvicinati, fatti guardare» la invitò, con una dolcezza sgradevole. «Coraggio.»
Lei avanzò e si posizionò di fronte al letto e di spalle all’entrata della stanza.
«Sei molto bella, lo sai?» affermò l’uomo, deglutendo un sorso di saliva.
No, non sono bella, gli rispose nel segreto della propria mente. Sono una bambina e tu sei un mostro. Senza rendersene conto, cominciò a piangere.
«Perché fai così?» domandò l’uomo, fintamente compassionevole. «Adesso ci divertiamo un po’.» Ma visto che lei non riusciva a smettere, le urlò: «Finiscila! Così rovini tutto, cazzo!»
Ci provò, ma era difficile: stava troppo male.
Il respiro dell’uomo iniziò a farsi affannoso. «Perché non vieni a stenderti un po’ accanto a me?» propose, mellifluo, facendole posto.
Stava per obbedire quando sentì la porta aprirsi alle sue spalle. Contemporaneamente, sul volto dell’uomo passarono diverse emozioni. Eccitazione. Stupore. Paura.
La ragazzina col ciuffo viola avvertì una presenza dietro di sé.
«Non ti voltare» le ordinò una voce.
Obbedì. Qualcuno le mise sulle spalle una cappa o forse un mantello per coprirla. No, era un giubbotto grigio.
«Adesso vattene da qui.»
Nonostante il tutore alla caviglia, corse come poteva verso l’uscio accostato. Lo spalancò e vide subito Raffaele esanime, col volto tumefatto per le botte. Percepì anche l’uomo sul letto che piagnucolava.
«Chi sei tu?» domandò il grassone, senza ottenere risposta.
La ragazzina col ciuffo viola avrebbe dovuto solo allontanarsi nel corridoio, senza guardarsi indietro. Ma la tentazione di vedere almeno una volta in faccia il suo angelo era troppo forte. Si girò leggermente e, in un tempo che le sembrò infinito, scorse un gigante fatto di ombra che si metteva una mano in bocca e si sfilava i denti.
Mostrò un sorriso di gengive d’avorio, affilate come una lama.
Mentre la porta si richiudeva, la ragazzina vide l’angelo spalancare le fauci e avventarsi sull’ignaro peccatore.
Non provò alcun odio, né pietà. Voleva solo andare via da lì.