26
Dopo aver riflettuto a lungo, la cacciatrice di mosche era giunta a una risoluzione. Doveva tornare indietro, ricominciare dall’inizio.
Dal braccio di Nesso.
Se avesse scoperto il legame fra la donna senza volto e il misterioso salvatore della figlia dei Rottinger, sarebbe potuta risalire all’identità dell’uomo e capire cosa avesse da nascondere. Era sufficiente un semplice punto di contatto fra i due per iniziare a ricostruire la loro storia.
Erano all’incirca le ventuno di una serata di nebbia fine. In giro non c’era nessuno, sembrava inverno. La Clio era parcheggiata di fronte all’ingresso del Palazzo di Giustizia di Como. Dall’abitacolo, la cacciatrice teneva d’occhio l’edificio.
Stava aspettando Silvi, il medico legale assegnato al caso della presunta suicida sconosciuta.
Nel frattempo, rammentò quanto il patologo aveva detto dopo aver compiuto un esame sommario dei resti ripescati nel lago. Caucasica, età approssimativa fra i sessanta e i sessantacinque. Dallo stato di conservazione dei tessuti e dalle lacerazioni si poteva ipotizzare che la vittima fosse rimasta in acqua per due o tre giorni. Silvi aveva parlato di «depezzamento» avvenuto all’altezza della spalla destra, specificando che la natura della lesione non faceva ritenere che fosse stato usato uno strumento da taglio. Ma, come già qualche giorno prima, la cacciatrice pensò di nuovo che ciò non escludeva l’omicidio.
«Causa del decesso: un’irresistibile forza sconosciuta» ripeté a bassa voce, riprendendo le conclusioni del dottore dei morti.
Le squillò il cellulare.
«Dove sei? Sono passata da casa tua e non c’eri.» La voce di Pamela conteneva sempre una nota di rimprovero, anche quando non ce n’era motivo.
«Ho avuto da fare.» Avrebbe dovuto dirle della scoperta fatta nelle registrazioni video del Sant’Anna, ma non poteva senza spiegarle come si era procurata i filmati e risalire col racconto alla visita a casa dei Rottinger. Troppa roba per una semplice telefonata. Anche perché, soprattutto, non voleva rivelarle dove fosse in quel momento. «Che succede, hai litigato di nuovo con Giorgia?» chiese, cercando di deviare la conversazione.
«La stronza si è calmata» le comunicò l’amica. «Ma ho fatto la ricerca che mi avevi richiesto.»
«Che ricerca?»
«Il bastardo della Porsche.»
Aveva completamente rimosso la ragazza dei sottaceti fra i surgelati e ciò che era accaduto al discount. Si sentì in colpa. «Che hai scoperto?»
«Avevi ragione, gli piace fare il duro con le donne. Non ha precedenti ma a suo carico esistono un paio di denunce per maltrattamenti da parte di ex fidanzate, che poi però sono state ritirate.»
Ha comprato il loro silenzio, pensò la cacciatrice. Oppure, con le querele le ragazze avevano comunque raggiunto lo scopo di liberarsi di lui e a quel punto era inutile continuare. Anche se ritrattando le accuse avevano messo a rischio quelle che sarebbero venute dopo di loro, non se la sentiva di condannarle per aver voluto evitare il mortificante passaggio in un tribunale e la gogna ignobile a cui erano sottoposte in modo implicito le compagne di un violento, come se fossero complici invece che vittime.
«Che intendi fare?» domandò Pamela. «Pensavi al solito trattamento?»
«Il solito trattamento» confermò la cacciatrice. Presto il bastardo con la Porsche avrebbe avuto la lezione che meritava.
Riattaccò e guardò l’orologio, chiedendosi quanto ci avrebbe messo Silvi. Come se l’avesse invocato col pensiero, vide scendere la sua figura allampanata dalle scale del tribunale, stretto nell’impermeabile e con la borsa di pelle che ondeggiava, sbilanciandolo, a causa delle impetuose folate di vento. Sembrava un fuscello in balia degli elementi.
La cacciatrice accese il quadro motore e diede un paio di colpi di clacson per attirare l’attenzione. Silvi si bloccò, guardandosi intorno. Quando la individuò, impiegò qualche secondo a riconoscerla.
«Cosa vuoi?» le gridò con il solito tono scorbutico, mentre si avvicinava.
La cacciatrice aprì il finestrino per parlargli. «Quindici minuti del tuo prezioso tempo» ironizzò.
«Ho appena terminato una deposizione di quattro ore, sono distrutto e vorrei tornarmene a casa.»
L’uomo stava per andarsene, ma lei disse ad alta voce: «La figlia dei Rottinger aveva un’unghia rossa in bocca quando l’hanno estratta mezza morta dal lago...»
Silvi si bloccò. Le sembrò che avesse colto il riferimento al braccio di Nesso e stesse riflettendo sul da farsi. Infatti, cambiò idea e si diresse nuovamente verso di lei. La cacciatrice si meravigliò, si era aspettata di dover faticare di più per convincerlo. Quando capì che aveva intenzione di salire in auto, fece rapidamente spazio sul sedile accanto, ingombro di volantini e vecchi pacchetti di Diana accartocciati.
«Nottataccia» commentò Silvi, infilandosi al calduccio e sistemandosi la borsa sulle ginocchia. «Allora, cos’è questa stronzata dell’unghia?»
La cacciatrice partì dalla storia del fazzoletto che la custodiva, specificando che ormai quella potenziale prova organica era andata persa per sempre, gettata nei rifiuti ospedalieri. Invece di liquidarla come una povera visionaria, il patologo si mise a riflettere sull’accaduto. Poco dopo, lo vide rabbrividire.
«Questa maledetta primavera tarda ad arrivare.»
«Non divagare» lo ammonì.
Lui la fulminò con lo sguardo. «Che fai, sfotti?»
«Mi è sempre piaciuto questo nostro modo schietto di interagire» gli confessò. «Dico sul serio: sei l’unico che non mi abbia mai trattato con compassione.»
«Non mi rompere le palle» ribatté lui, continuando ad attenersi alla parte del burbero. Ma forse non voleva rivangare le circostanze in cui si erano conosciuti, cinque anni prima.
«Francamente pensavo che avrei dovuto supplicarti per parlare ancora di quel braccio» proseguì la cacciatrice di mosche. Aveva centrato il punto, perché l’uomo tacque di nuovo. «Hai fatto l’autopsia, vero?»
«Quattro giorni fa» ammise Silvi, senza aggiungere altro.
«E allora?» lo incoraggiò.
C’era qualcosa che lo turbava. L’uomo si strinse alla borsa che teneva in grembo.
«Sei ancora convinto che si sia trattato di un suicidio?» Dalla sua espressione intuì che non lo sapeva più.
«D’accordo» disse finalmente il medico legale. «D’accordo» ripeté per prendere coraggio, poi cominciò: «Geologicamente, il lago di Como è una discarica perfetta: se dovessi far sparire qualcosa, qualsiasi cosa, non avrei dubbi. Là sotto c’è di tutto: carcasse di auto con chissà cosa nel bagagliaio, casse, bauli. Si dice che ci sia perfino un furgone portavalori finito in acqua durante una rapina, con tre scheletri che ora vegliano un carico di lingotti d’oro». Sorrise, ma era nervoso. Poi tornò serio. «Per via delle correnti, il lago ingoia tutto e raramente restituisce qualcosa. E, quando lo fa, vuole mandare un messaggio.»
«Cosa stai cercando di dirmi?»
«Dalla tranquillità della superficie non si direbbe, ma in fondo al lago di Como c’è una specie di palude. Si dice che ogni volta che scavi in una palude viene fuori qualcosa... Da sempre, la gente che vive qui sa che deve fare i conti con i segreti che si nascondono là sotto.»
La cacciatrice intuì che Silvi aveva paura di rivelarle ciò che aveva scoperto. «Io non sono come gli altri» disse per convincerlo. Perché lei non aveva seppellito il proprio segreto.
L’uomo la fissò. «Non ho mai capito perché sei rimasta qui...»
«Non puoi nasconderti dal lago» rispose. «Ovunque vai, lui ti trova.»
Il patologo ci pensò su. «Va bene» disse. «Ma devi vederlo con i tuoi occhi.»