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«Un’irresistibile forza sconosciuta

La formula con cui si liquidava ogni morte inspiegabile e violenta continuava a tormentarla mentre guidava per tornare a casa. Invece, per la cacciatrice di mosche ogni cosa doveva avere una collocazione, un senso logico. Come se l’universo fosse un posto governato da precise leggi e non dal caos.

«Il depezzamento è avvenuto all’altezza della spalla destra» aveva detto il dottor Silvi, riferendosi al braccio riemerso dall’acqua. «La natura della lesione non fa pensare che sia stato usato uno strumento da taglio.»

Da qualche parte, in fondo al lago, giacevano i resti di una donna senza nome. Gli unici dettagli noti sul suo conto erano che aveva fra i sessanta e i sessantacinque anni, e che uno degli ultimi atti della sua vita era stato mettersi lo smalto rosso. La cacciatrice fissava la strada oltre il parabrezza della Clio ma continuava a rivedere la scena. Il pennellino che scorre soffice sulle unghie, l’odore della vernice, il soffio leggero del fiato sulle dita per farle asciugare.

Un’irresistibile forza sconosciuta.

Era una dichiarazione di impotenza. Equivaleva a una resa. E lei la detestava. Come non riusciva a sopportare la parola che definiva l’omicidio di una donna per mano di un uomo. Non riusciva nemmeno a pronunciarla, perché invece dell’assassino marchiava la vittima, cancellando automaticamente dalla memoria di tutti la sua identità, spedendola dritta nell’oblio delle «femmine morte ammazzate», una categoria di sventurate legate per l’eternità al ricordo del maschio che le aveva uccise.

Parcheggiò nel vialetto e spense il motore, che continuò a ticchettare in sottofondo, ma lei non si decideva a uscire dall’auto. Una non si mette lo smalto per andarsi a suicidare, pensò. Ma forse si era agghindata a festa proprio per questo, si disse. Sua nonna fino all’ultimo chiedeva che le portassero il rossetto quando veniva il medico a visitarla. Forse anche la donna del lago si era fatta bella per l’appuntamento galante con la morte. O per non sfigurare quando qualcuno avesse ritrovato il suo cadavere.

Scese dall’auto e imboccò subito la scala di cemento che conduceva al piano interrato della villetta in cui abitava.

Rientrando a casa al termine di una lunga giornata, la cacciatrice era sfinita. Lasciò cadere la borsa ai propri piedi e allungò una mano sulla parete per cercare l’interruttore. Accese l’abat-jour all’altro capo della stanza, su cui aveva deposto un vecchio foulard.

Immersa in quell’atmosfera ambrata, attraversò l’ambiente per dirigersi al piccolo camino in mezzo ai divani. Aveva freddo e, prima di sfilarsi la giacca, lo riempì coi legnetti che erano accatastati in una cesta e accese il fuoco. Le fiamme iniziarono a saltellare e a emanare un alito caldo.

La cacciatrice si guardò intorno. La casa era un disastro. Carte e polvere dappertutto. La scrivania nell’angolo era ormai solo un deposito di roba, il pc e la stampante erano circondati da cianfrusaglie che aveva accumulato chissà come. Su cucina e bagno era meglio sorvolare. Più che l’abitazione di un essere umano, somigliava alla cuccia di un animale.

La villetta su due livelli in cui viveva era l’unica eredità dei genitori. Ma lei aveva deciso di occupare solo la parte inferiore, che un tempo era una specie di tavernetta dove i suoi ricevevano gli amici nelle domeniche d’inverno per trascorrere il pomeriggio giocando a burraco. Lì si nascondeva da piccola, per evitare i rimproveri dopo aver combinato un guaio. Ed era sempre lì che aveva perso la verginità con un compagno del liceo, in una notte ubriaca d’estate. Adesso aveva scelto quella tana sotterranea per risparmiare sul riscaldamento, almeno era la scusa che raccontava a se stessa. Al piano di sopra c’erano ancora troppi fantasmi.

Non ci metteva piede da cinque anni.

Aveva la sensazione che almeno là sotto gli spettri l’avrebbero lasciata in pace. Dormiva su una branda addossata al muro, sotto una finestrella che affacciava nel giardino e da cui poteva vedere anche la strada.

Il posto era abbastanza isolato, ma lei non aveva paura di stare lì.

Quando si fu riscaldata a sufficienza, accese il pc per controllare se sulle pagine dei suoi social fossero arrivati messaggi di donne in cerca d’aiuto. Era concentrata quando squillò il cellulare. Osservò il display su cui appariva la dicitura «Numero Sconosciuto». Rispose, anche se immaginava già chi potesse essere.

«Telefonata a carico del destinatario. Autorizzazione nº 200607» ripeté la voce femminile registrata. «Se accetta la chiamata, digiti 9.»

Riattaccò prima che la mettessero in comunicazione. Era trascorso un anno dall’ultima volta, ma il tempo era volato.

Istintivamente, lo sguardo si sollevò al soffitto. Al piano di sopra.

Decise di scordarsi del telefono ma, prima di mettersi davanti allo schermo del pc, andò in cucina per cercare qualcosa da mangiare. Non toccava cibo da ore ed era affamata. Aprendo i pensili si accorse che aveva esaurito le scorte, e ciò era abbastanza paradossale visto che nell’ultima settimana aveva piantonato incessantemente un discount. Avrebbe dovuto fare la spesa, ma se n’era scordata. L’unica provvista rimasta nella dispensa era una minestrina liofilizzata da accompagnare con qualche cracker. La versò in un pentolino con un po’ d’acqua, poi la mise a riscaldare sul gas. Le sembrò di udire dei passi sulle scale esterne. Si bloccò, voltandosi verso l’ingresso.

Nessuno voleva venire lì.

Dopo qualche secondo, bussarono. La cacciatrice di mosche si mise all’erta. Poi andò ad aprire, cercando di scorgere il visitatore attraverso i vetri smerigliati della porta.

«Scusami, non volevo disturbarti» disse la donna sulla soglia. «Posso entrare un momento?»

«Certo» rispose la cacciatrice, scostandosi per lasciarla passare. E intanto si ripeteva Nessuno vuole venire qui.

Pamela era in tuta, segno che era appena uscita dalla palestra. Odorava di bagnoschiuma e di shampoo alla cannella. L’amica non passava mai a trovarla a casa. Non poteva biasimarla. Ma se aveva superato la comprensibile ritrosia, era accaduto qualcosa. Pamela si guardò intorno. La cacciatrice ebbe l’impressione che fosse attraversata da un brivido di inquietudine. Ma entrambe fecero finta di nulla.

«Questo posto è un casino» disse Pamela, per sdrammatizzare.

«Per questo non ti invito mai» replicò lei. «E comunque il mio psicologo dice che l’ordine è solo una mistificazione.»

L’amica non colse la battuta o forse non voleva contrariarla. Rimaneva impalata e con le mani appoggiate sui fianchi. La cacciatrice colse il suo nervosismo ma decise di non indagare sul motivo che l’aveva condotta lì. Preferiva che fosse lei ad aprirsi, nel caso in cui ne avesse avvertito il bisogno.

«Ti offrirei una birra, ma il frigo è vuoto.»

«Nessun problema, tanto me ne vado subito.» Pamela si sfilò la giacca, rimanendo con una T-shirt elasticizzata che metteva in risalto gli addominali scolpiti dopo ore di allenamento.

Nella stessa parte del corpo, invece, la cacciatrice aveva il suo «culo di riserva». Così definiva l’ammasso di ciccia sul ventre con l’ombelico al centro.

«Allora, com’è andata con la storia del braccio nel lago?» domandò l’amica.

La cacciatrice fece spallucce, avvicinandosi al camino per gettarci dentro un grosso ciocco. «Una donna oltre la sessantina. L’arto era in acqua più o meno da venerdì. Il tenente e il medico legale propendono per un suicidio, ma solo per l’esperienza che gli deriva da casi simili.»

«Avevo immaginato che sarebbe andata così...»

Pamela era l’informatrice che le passava le soffiate sui crimini violenti che riguardavano le donne. A trentuno anni era già maresciallo dei carabinieri. Nonostante le separasse una discreta differenza d’età, erano molto legate.

«Il tenente ha escluso la ricerca di altri resti nel lago, perciò a questo punto la speranza è che riaffiori qualcosa che permetta di risalire all’identità della poveretta» affermò la cacciatrice.

«Magari fra qualche giorno un parente ne denuncerà la scomparsa» cercò di rincuorarla l’altra che, conoscendola, immaginava cosa la angustiasse. «Comparando il DNA, avremo anche un nome.»

«Però questo non fugherà i dubbi sul fatto che possa essere stata vittima della mano di qualcuno...»

Pamela scosse il capo. «Al solito, non riesci a immaginare che possa esistere una risposta più semplice, devi sempre scervellarti sullo scenario più inquietante.»

La cacciatrice si avvicinò a una mensola e levò la testa a un gallo di paglia dentro cui sapeva che avrebbe trovato tabacco e cartine per prepararsi da fumare. «Devi farmi un favore» disse con prudenza, aspettando la reazione dell’amica.

«Sentiamo: di che si tratta?»

Si frugò in tasca e recuperò lo smartphone, lo lanciò all’amica che lo afferrò al volo. «Le ultime foto che ho scattato.»

Pamela andò in cerca delle immagini. «Questa sì che è una macchina da rimorchio» esclamò quando s’imbatté nella Porsche bianca del biondino del discount.

«Dovresti procurarmi qualche informazione sul proprietario» disse lei, leccando il bordo della sigaretta artigianale. «Chi è, cosa fa, se ha dei precedenti, soprattutto per maltrattamenti. La fidanzata ha chiesto aiuto ma poi si è tirata indietro.» La cacciatrice era convinta che la ragazza presto se ne sarebbe pentita.

«Aveva segni di percosse?»

«Non evidenti.»

Pamela allargò le braccia, come a dire che un’intuizione non era sufficiente a comprovare un’accusa.

«L’aguzzino peggiore non è quello che ti picchia ogni giorno, ma quello che il giorno dopo ti porta sempre i fiori» le rammentò l’altra.

«D’accordo, giramele per email» acconsentì l’amica, restituendole il telefono. «Ora me ne torno a casa.» Ma era evidente che non ne avesse voglia.

Senza commentare, la cacciatrice le porse la sigaretta. Pamela l’accettò e fece un tiro, espellendo una nuvola di fumo grigio ma non il peso che si portava dentro.

«Comunque, secondo me il tenente e il dottor Silvi hanno ragione sulla sessantenne del lago» disse invece Pamela, tornando all’argomento del braccio. «Si tratta quasi sicuramente di un suicidio, forse è meglio lasciarla riposare in pace.»

«Non vuoi sapere perché l’ha fatto?» la incalzò lei.

«Cazzi suoi. In fondo, era ciò che voleva: essere dimenticata.»

«Che ne sai del dramma che c’è dietro?»

«E credi che scoprirlo ti farà sentire meglio?»

All’inizio la cacciatrice aveva pensato che tanto cinismo dipendesse dall’umore di Pamela, ma adesso il discorso si era spostato su di lei. «Niente può più farmi sentire meglio» puntualizzò.

«Non volevo dire questo» si affrettò a precisare l’amica quando si rese conto di aver inavvertitamente superato un limite, entrando in un territorio delicato.

La cacciatrice non poteva negare che ciò che faceva per le altre donne era un modo per compensare gli errori della sua vita precedente. Però, in fondo, l’amica era solo preoccupata che si facesse coinvolgere troppo. «Non fa niente» affermò allora, riprendendosi la sigaretta.

Pamela adesso si sentiva a disagio. «Lo stesso giorno in cui quella donna è finita nel lago, c’è caduta dentro anche una ragazzina di tredici anni» disse, per giustificarsi. «Ma l’hanno salvata» aggiunse subito. «Pensa se invece avessimo recuperato lei a pezzi.»

In effetti, sarebbe stato peggio. «Chi è?» chiese distrattamente la cacciatrice, ma solo perché aveva voglia di spostare l’attenzione dal suo passato.

«La figlia dei Rottinger.»

Non sapeva chi fossero. «Dovrei conoscerli?»

«Gente che può guardare alla vita con tre zeri in meno...»

«La ragazzina si è buttata?»

«Era ubriaca quando è successo.»

«Ubriaca?»

«All’ospedale hanno rilevato un elevato tasso alcolemico nel sangue. La famiglia parla solo di incidente: sarebbe caduta scattandosi un selfie. A riprova, c’è una caviglia rotta. Anche se non è proprio la verità, l’ingegner Rottinger è abbastanza potente da far accettare a tutti questa versione.»

«Come si è salvata?»

«Alcuni testimoni hanno visto un uomo: l’ha tirata a riva rischiando di annegare anche lui, ma poi è scomparso.»

Una storia curiosa. «Scomparso?» Era incredula.

«Vedrai che si farà avanti appena scoprirà che la gratitudine dei Rottinger si può monetizzare.»

La cacciatrice sperò che non lo facesse. Era sinceramente ammirata da quell’anonimo eroe, erano così rari. «La ragazzina adesso sta bene?»

«L’hanno tenuta in osservazione in terapia intensiva, ma solo per il suo cognome... A parte la caviglia, che ha richiesto un piccolo intervento chirurgico, se l’è cavata con una spalla lussata e qualche escoriazione» proseguì Pamela. «Ah, c’è un’altra cosa: aveva un corpo estraneo in bocca.» L’amica stava per dirlo, ma poi aggiunse: «Non ci crederai...»

«Cosa?» fu costretta a domandare la cacciatrice.

«Un’unghia con lo smalto rosso.»

Io sono l'abisso
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