22 ottobre
«Ricrescono, vero?»
Martina è distratta, gli sta preparando la borsa. «Cosa?»
Il bambino è davanti alla finestra, ma non vede fuori, la gente che entra e che esce dall’ospedale. Lo sguardo si ferma un po’ prima, al riflesso del proprio volto malinconico sul vetro. «I capelli» specifica, osservandosi. «Ricrescono?»
Martina si blocca, lascia stare il bagaglio e gli si avvicina. «Certo che ricresceranno» lo rincuora, accarezzandogli la testa su cui spuntano chiazze di peluria.
«E le cicatrici spariscono?»
«Temo di no.» Martina è sincera, non gli dice mai bugie, per questo gli piace. «Ma appena saranno ricresciuti i capelli, le cicatrici non si vedranno più.»
Il bambino prende per buona la rassicurazione.
«Nel frattempo, però, ti ho comprato un regalo.» L’assistente sociale va verso la borsa, estrae qualcosa e torna da lui con un berretto. Glielo mette. «Sei proprio figo» gli assicura.
Il bambino controlla di nuovo il riflesso nella finestra. Non è molto convinto, ma non dice nulla perché non vuole darle un dispiacere. Oggi è un giorno importante. Martina è felice perché lo dimettono dopo un mese. Lui, però, non sa se essere felice. «Tu ci credi nel paradiso?»
«A volte» risponde Martina. «Perché me lo domandi?»
«Quando muori e nessuno sa come ti chiami, cosa scrivono sulla tomba?»
Martina è esterrefatta. «Cosa sono questi discorsi? Cosa ti salta in mente?»
Lui insiste. «Come fa Dio a trovarmi per portarmi in paradiso se non può leggere il mio nome sulla tomba?»
«Dio sa chi sei» gli assicura la donna.
«Quando sono arrivato qui, nessuno sapeva come mi chiamo...» Urlavano tutti intorno a lui al pronto soccorso, se lo ricorda bene. Tremava tantissimo, perciò i dottori gli avevano messo qualcosa in bocca altrimenti si sarebbe morso la lingua. Ma così non poteva dirgli il proprio nome. Nessuno sapeva come chiamarlo. Era solo.
«Adesso, però, è tutto passato» commenta Martina, senza contraddirlo.
Forse dovrebbe essere davvero contento di lasciare l’ospedale, non ne può più della puzza di disinfettante. Ma è anche triste. «Devo per forza tornare a casa?»
«Ho trovato una nuova sistemazione per voi, un appartamento più grande dove potrai avere anche una stanza tutta tua.»
«Vera non mi vuole» azzarda. «Vi ho sentite... Credevate che dormivo, invece ero sveglio.» Credevate che ero morto, invece ero vivo.
«Tua madre dice un sacco di cose, lo sai» minimizza l’altra. «Ma adesso ha un lavoro e potrà occuparsi di te. Andrà tutto bene.»
«E Micky?»
La domanda cade fra loro come una pietra in uno stagno: sparisce in un istante sotto la superficie, ma non possono ignorarla perché l’acqua continua a muoversi.
«Vera mi ha promesso che non lo rivedrai più» afferma Martina, con tono solenne.
«Non ci credo.»
«La polizia lo sta cercando, non credo che a Micky convenga farsi trovare.»
«La polizia non lo troverà.» È così sicuro che gli viene da piangere.
«Non devi avere paura: Micky non può più farti del male.»
Martina non lo può sapere, ma Micky non è come gli altri mosconi di sua madre. «Se resto con Vera, lui tornerà.»
«Non è così» insiste lei.
«Me lo giuri?»
L’assistente sociale ha un tentennamento. Anche lui lo vede. «Me lo giuri.» Le tre parole che inchiodano i grandi. Il bambino ha solo sei anni ma ha già capito come funzionano le cose. Se vuoi sapere se un adulto ti sta dicendo la verità, devi fargliela giurare. Il trucchetto non riesce sempre. Con Vera, per esempio, è inutile. Ma Martina è diversa da Vera. A Martina pesa dire le bugie.
La donna si siede sul letto e gli fa cenno di mettersi accanto a lei. Il bambino obbedisce e si arrampica.
«Adesso faremo una cosa» dice la sua amica. Gli solleva una gamba. Gli tira su il risvolto dei pantaloni e gli abbassa il calzino. Poi, mentre il bambino si domanda cosa abbia in mente, Martina prende una biro, stacca il cappuccio coi denti e comincia a scrivere sulla pelle, sopra alla caviglia. Lui prova un solletico leggero e piacevole. «Questo è il mio numero di telefono» gli spiega, rimettendo il cappuccio alla penna. «Non dovrai mai cancellarlo o lavarlo via. E, comunque, ogni settimana passerò a vedere come vanno le cose con Vera e lo scriveremo di nuovo.»
«A che serve?» domanda il bambino, ma sa già che è una cosa buona e si sente rincuorato.
«Sarà il nostro segreto: se dovesse succedere qualcosa, mi chiamerai oppure lo mostrerai a qualcuno e mi farai chiamare. Io verrò subito da te.»
«E se muoio?»
La domanda gela la giovane assistente sociale.
Allora è lo stesso bambino a rispondere per lei. «Se muoio, almeno potrai dirgli come mi chiamo.»