24
Aveva cercato di assentarsi, vagando con la mente per tutto il tempo e lasciando che quel ragazzo sconosciuto si prendesse ciò che voleva. L’importante era che lo facesse in fretta. Poi, quando lui ebbe finito, lo vide rivestirsi velocemente, come se fosse imbarazzato da ciò che era appena successo.
Paradossalmente, provò pena per lui.
Quando uscì dalla stanza, lei rimase ancora un po’ sul letto a fissare il soffitto. Il vestito tirato su fino all’ombelico, le mutandine sul pavimento insieme alle stampelle, un bruciore alle parti intime. Non doveva essere molto esperto, non si era nemmeno curato che lei fosse pronta ad accoglierlo. Mentre lui ansimava come un cane dopo una corsa, la ragazzina col ciuffo viola non aveva emesso un fiato. Aveva sopportato il suo peso molle su di sé, anche se le comprimeva il petto. Alla fine si era ritratto rapidamente e aveva lasciato sgorgare il suo scarso entusiasmo sulla sua pancia. Sentiva ancora il liquido caldo che le colava lungo i fianchi. Afferrò un lembo del copriletto, lo tirò a sé e lo usò per ripulirsi, poi si alzò a sedere. Le girava la testa. Si abbassò la gonna, si ricompose e, dopo aver recuperato le stampelle, si apprestò anche lei a lasciare quel posto.
Scese lungo lo scalone di marmo attaccandosi alla balaustra in ferro battuto. Ogni gradino, un piccolo crampo alla caviglia. Era arrivata quasi in fondo, quando vide sopraggiungere Maia.
«Dove sei stata?» chiese l’amica, preoccupata. «Ti ho cercata dappertutto.»
La ragazzina aveva la nausea. «Sai dov’è il bagno?»
Maia si accorse del suo malessere, perché cambiò espressione. «Certo, da questa parte.»
L’aiutò a raggiungerlo, poi si chiuse dentro insieme a lei. La ragazzina si guardò allo specchio, era pallida e la matita degli occhi le era colata lungo le guance ma non ricordava di aver pianto. Aprì il rubinetto e si appoggiò al lavandino per riprendere fiato.
«Non è che hai preso qualcosa, no?» domandò Maia, pensando fosse la reazione a qualche droga.
«No» le assicurò, ma si ricordò che una volta Raffaele l’aveva costretta a provare una pillolina fucsia. Solo per divertirsi un po’, aveva detto. Non aveva mai capito in cosa consistesse il «divertimento» perché dopo non ricordava nulla, ma aveva lividi ovunque. Lui tirava coca, questo lo sapeva. «Ti dispiace andare fuori a cercare Oscar? Vorrei tornare a casa...»
Sulle prime, Maia parve indecisa: non voleva lasciarla sola in quello stato.
«Per favore.»
«Va bene» disse Maia, e uscì dal bagno.
La ragazzina fu sorpresa da un conato, si piegò per vomitare ma non venne fuori nulla. Ruttò e, dal profondo dei polmoni, esalò un odore familiare. Il lago. Le tornò in mente l’uomo che l’aveva sottratta alle acque, il suo misterioso eroe. Iniziò a gridare. «Dove cazzo sei, brutto figlio di puttana? Perché non ci sei adesso che ho davvero bisogno di te? Perché non mi hai lasciato affogare, stronzo?!» Mentre piangeva e inveiva contro di lui, si voltò per un istante verso la finestra. Le sembrò di intravedere qualcosa dietro i vetri.
Due occhietti che la fissavano.
Gettò un urlo, ma si coprì subito la bocca. Si staccò dal lavandino e fece un passo indietro, rischiò d’inciampare. Poi uno in avanti, poi un altro. Arrivata di fronte alla finestra, afferrò la maniglia e spalancò le ante. Qualcosa cadde dal davanzale ai suoi piedi. La ragazzina col ciuffo viola vide cos’era, senza sapersi dare una spiegazione.
Sul pavimento c’era l’orsetto bianco di peluche che aveva gettato via quel pomeriggio dopo averlo decapitato per la rabbia.
Qualcuno gli aveva ricucito la testa.