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«È impossibile» continuava a ripeterle l’amica al telefono. Sicuramente era già pentita per essersi lasciata convincere.
Si erano date appuntamento all’ospedale Sant’Anna.
La cacciatrice di mosche aveva trascorso una notte insonne ripensando a ciò che le aveva rivelato inconsapevolmente Pamela. Il mattino dopo, di buon’ora, l’aveva buttata giù dal letto, pregandola di andare insieme a verificare se quella storia fosse davvero una specie di macabro scherzo. Voleva sbagliarsi. Non chiedeva altro, perché non aveva voglia di una nuova ossessione. Già pensava a quanto le sarebbe potuto costare, il suo psicologo avrebbe preteso una parcella esorbitante. Ma, se una parte di lei scacciava l’eventualità più estrema, l’altra non poteva ignorarla.
Il destino è una forza feroce, si ripeteva, mentre guidava verso Como. Però a volte generava conseguenze esilaranti. L’unghia smaltata di rosso poteva rivelarsi una di queste.
«Se è quella del braccio ripescato a Nesso, avrebbe dovuto percorrere circa dieci miglia nautiche per finire nella bocca della figlia dei Rottinger» obiettava Pamela al cellulare. «Accantonando per un secondo l’assurdità della cosa: la ragazzina è caduta nel lago venerdì e, anche se l’arto è stato recuperato ieri, si presume che la donna a cui apparteneva si sia suicidata lo stesso giorno. In conclusione, la corrente non ce l’avrebbe fatta a trascinare l’unghia da un punto all’altro in così poco tempo.»
«Infatti, è quello che mi dico anch’io» rispose lei, che non era più sicura di niente.
«Allora perché mi stai costringendo a venire con te?» le urlò contro l’amica, esasperata.
«Perché voglio sentirmi una stupida» la spiazzò la cacciatrice, con altrettanto vigore. «E non ci riuscirò senza il tuo aiuto.»
La Clio imboccò la rampa che conduceva al parcheggio sotterraneo dell’ospedale verso le sette e venti. Pamela era già lì che attendeva appoggiata alla fiancata della propria macchina: braccia conserte e la solita aria incavolata. Indossava la divisa perché di lì a poco avrebbe preso servizio.
«Facciamo che ci vado solo io» la apostrofò subito, andando verso di lei. «Tu aspettami qui.»
«Non se ne parla neanche» s’impuntò la cacciatrice.
«Da quanto tempo non entri in questo posto?»
La domanda la inchiodò. Si erano conosciute lì, una sera di cinque anni prima. In effetti, la cacciatrice non ci metteva piede da allora. «Sto bene» assicurò.
L’amica si limitò a fissarla, seria.
«D’accordo» cedette, quindi la guardò avviarsi verso gli ascensori.
Incurante del divieto di fumare nel garage, rimasta sola si accese una sigaretta. Frequentava tutti i pronto soccorso della zona del lago, spesso era lì che scovava le donne che avevano un disperato bisogno del suo aiuto. In posti come quello, iniziava la sua paziente opera di convincimento. Non era semplice, per una ragione precisa. Un uomo che usava la violenza contro una donna non pativa lo stesso discredito sociale degli altri criminali. Perché di solito gli estranei non avevano nulla da temere da lui: con loro era sempre gentile, simpatico, un amicone. Allora agli occhi degli altri c’era sempre qualcosa che non quadrava nella ricostruzione dei fatti. Perciò, era necessario un atto di incondizionata fiducia nei confronti della vittima, cioè della stessa persona che per tanto tempo aveva subito senza ribellarsi.
Forse era davvero domandare troppo alla sensibilità della gente, pensava la cacciatrice.
D’altronde, se invece di chiedere una punizione più severa per l’assassino di una donna, si fosse pretesa una legge per affrancarsi dopo un solo schiaffo, forse le cose sarebbero andate in modo diverso. Ma probabilmente per qualcuno era preferibile la statistica delle morti. Perché i morti facevano notizia e soprattutto non potevano parlare. Meglio una martire in più che una povera scema costretta ad ammettere di essersi fatta fregare per amore.
In quel momento, si domandò se anche la donna del braccio di Nesso avesse provato a chiedere l’aiuto di qualcuno prima di finire in fondo al lago.
Gettò per terra il mozzicone della sigaretta e lo schiacciò con la suola della scarpa. Pur conoscendo bene gli ospedali, non andava mai al Sant’Anna. Non credeva che le sarebbe mai tornato il coraggio di rimetterci piede. Anche per questo aveva coinvolto Pamela, non solo perché era più facile che ottenesse delle risposte sfruttando la propria autorità. In effetti, mentre era lì in attesa, da sola, avvertiva una crescente sensazione di disagio.
Udì una camminata. Istintivamente, si guardò intorno ma in quel momento nel parcheggio c’era soltanto lei. Come era possibile?
Provò a inspirare ed espirare regolarmente, come le aveva consigliato lo psicologo nel caso avesse avuto il sentore di un imminente attacco di panico. Si rese conto che non c’era alcuno spettro lì con lei.
Quelli che stava sentendo erano i suoi stessi passi in una sera di giugno di tanto tempo prima.
Per sua fortuna, le porte dell’ascensore si riaprirono e vide venirle incontro Pamela. «Allora?» le domandò subito, ansiosa.
L’amica alzò le spalle. «Come immaginavo: è stata solo una perdita di tempo.»
Ignorando il fatto che fosse visibilmente contrariata, la incalzò: «Che ti hanno detto dell’unghia?»
«Che non è affatto raro rinvenire corpi estranei nella cavità orale, nei polmoni o perfino nello stomaco di chi è stato sul punto di annegare» specificò l’altra. «A volte sono solo detriti, ma possono capitare anche degli oggetti.»
«Va bene, ho capito, ma l’hanno conservata?»
Pamela si bloccò. «Non c’era ragione per conservarla.»
La cacciatrice era delusa. «Ma tu gli hai fatto intendere che potrebbe avere una certa rilevanza in un altro caso?»
«Sì, ma ormai è stata smaltita insieme agli altri rifiuti ospedalieri» rispose quella, innervosita.
La cacciatrice si disse che era la cosa più logica, c’era da aspettarselo. Ma doveva lo stesso provarci.
Pamela, però, ce l’aveva con lei. «Non so perché ti do retta.»
«Allora non ne parlerai ai tuoi superiori?»
«Non è divertente.» Poi l’amica aggiunse: «Senza l’unghia non è possibile fare un riscontro col DNA del braccio. Perciò, per quanto ne sappiamo, i due resti appartenevano a due donne diverse».
La cacciatrice non voleva rassegnarsi: la seguì fino alla sua auto ma, prima che aprisse la portiera, le si parò davanti. «Lo so che può sembrarti insensato, ma io sento che c’è sotto qualcosa.»
Pamela levò gli occhi al cielo, spazientita. «Non racconterò questa storia al tenente, scordatelo. Non è per niente facile per me, lo sai.»
Lo sapeva. «Ieri sera, quando sei venuta a casa mia, eri furiosa e turbata. Non credere che non me ne sia accorta.»
«È che Giorgia mi sta facendo impazzire» rivelò finalmente l’amica più giovane. «Si è messa in testa che dovremmo dichiararci davanti a tutti, ma io come faccio?»
«Hai provato a dirle la verità?»
«E sarebbe?» chiese l’altra, guardandola in tralice.
«Che per una donna nell’Arma è già abbastanza complicato anche senza sbandierare ai quattro venti il proprio orientamento sessuale.»
Pamela, però, era troppo fiera della divisa che indossava per ammettere che qualcosa non andasse nel modo in cui la trattavano colleghi e superiori. Infatti, la sua espressione s’indurì improvvisamente. «Il fatto che io ti aiuti con quelle donne maltrattate non vuol dire che ti consideri la depositaria dell’assoluta verità sui rapporti di coppia.»
«Anzi, io sono proprio la persona meno adatta» ammise la cacciatrice di mosche, senza alcun problema. Stava per aggiungere che era anche l’argomento preferito del suo psicologo, ma fu interrotta dallo squillo del cellulare. Lo prese.
Un’altra chiamata da un numero sconosciuto. Immaginò che anche quella fosse a carico del destinatario. Riattaccò senza nemmeno rispondere.
«Perché hai buttato giù?» chiese Pamela, che si era accorta del gesto sbrigativo.
«È solo telemarketing» mentì. «Vogliono convincermi a cambiare gestore.»
L’amica ci credette, o forse non aveva voglia di approfondire. Così come non ne aveva di continuare a parlare della propria vita privata. Tornò al motivo che le aveva condotte fin lì quella mattina. «Lascerai perdere questa storia dell’unghia e del braccio?»
«No» ribatté la cacciatrice di mosche.
Allora Pamela la scansò per aprire la portiera della macchina, dando l’impressione di averne abbastanza di tanta cocciutaggine. Ma, inaspettatamente, tornò a voltarsi verso di lei con un plico fra le mani. Glielo porse.
«Che sarebbe?»
«Una copia del fascicolo della giovane Rottinger: l’indagine sull’incidente al lago è stata archiviata. Siccome ti conosco e so che ti metterai comunque a fare domande sull’accaduto, tanto vale darti subito le risposte prima che ti ritrovi nei casini.»
«E perché dovrei finire nei casini?» chiese lei, con sufficienza, anche se sapeva benissimo che era vero.
«Te l’ho detto: l’ingegner Rottinger sta facendo di tutto per insabbiare la faccenda.»
«Perché?» ribadì la cacciatrice, che non credeva fosse solo per quello.
Pamela decise di essere sincera. «Pensa a cosa accadrebbe se si sapesse che a impicciarsi è proprio una con il tuo passato...»
Per quanto brutale, aveva ragione, pensò la cacciatrice. Una col suo passato. Accettò il plico senza aggiungere altro.