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- No, non l'ho fatto - ella gridò -. Mi dicesti che aveva cambiato che la portavi solo ogni mattina all'ospedale che rimaneva seduta vicino al letto di suo marito, e guarda quello che succedeva in realtà. Dio, perfino insistei in che la portassi a casa l'altra notte. Sicuro che stavate ridendo di me tutta la strada.
Povera Felicity. Povero credulo. Si fidava di te, Luca. Si fidava di te e guarda dove sono arrivato.
- Non ti sei fidato mai di me! - egli disse spaventandola.
Ella, nervosa, cercò di chiudere le porte dell'ascensore e lasciarlo fosse, come cercando di difendersi da un animale selvaggio. Solo quando la porta fu chiusa lo guardò di nuovo, ma aveva già messo il dito sul bottone del pianterreno.
- Non ti fidasti mai di me - egli ripetè di nuovo -, né per un momento. Ma devi fidarsi ora di me.
- Perché? Affinché possa umiliarmi di nuovo? Affinché possa seguire con la tua avventura con una certa aria di dignità?
Dimenticalo, Luca, un'amante con un anello è qualcosa che non sarò mai.
- Sale dell'ascensore immediatamente - gridò Luca, ma c'era tanta disperazione nella sua voce che quasi Felicity fece quello che chiedeva. Ma quello fine tanto amaro era troppo doloroso per affrontarlo. L'ascensore cominciò a muoversi lentamente e decise che chissà sarebbe la cosa migliore. Di che cosa servirebbe ascoltare più bugie e soffrire più ancora?
Ma c'era una cosa più che doveva dire. Due parole che proverebbero la grandezza del suo dolore, affinché egli sapesse quello che aveva appena respinto.
- Ti voleva, Luca. Ti volli sempre. E guarda come ho finito.
Chissà Luca aveva potuto cercare di fare qualcosa, intentato aprire la porta, ma semplicemente rimase lì fermo mentre le parole di Felicity lo sorpassavano e la verità usciva alla luce.
Quello camaleonte che aveva condiviso il suo letto che era entrato nella sua vita con alcuni scarpe troppo alte ed un vestito troppo stretto risultò che realmente l'aveva amato.
- Luca? - domandò Anna che si avvicinava di dietro, ma egli quasi né la riconobbe, neanche aveva voglia di essere furioso con lei in quello momento. Niente sembrava importare. Niente 117
eccetto quello che aveva perso -. È la cosa migliore. Felicity è troppo soave per te, troppo soave per essere una Santanno. Starà bene.
Ma quando Luca si girò, ed Anna vide il dolore nel suo viso ed ascoltò la sua voce tanto debole, sentì per la prima volta nella sua vita qualcosa di colpevolezza, e vergogna, e vide l'uomo che adorava sparire davanti ai suoi occhi.
- Probabilmente - mormorò Luca, parlando in inglese, la cosa unica che gli rimaneva e che univa a Felice Ma ed io?
Capitolo 12
F ELICITY corse per le strade mentre piangeva, ma non gli importavano gli sguardi della gente. Non aveva nessun piano, nessuna direzione, solo la necessità opprimente di spazio, di distanza. Prese aria nei polmoni e sentì la pioggia nel suo viso e seppe allora dove stava.
La Fontana di Trevi. Nettuno stava lì, fermo ed orgoglioso, ella l'aveva lasciato come prima un anno, con la lucentezza delle monete in fondo, lanciate lì con l'eterna speranza che il mondo continuasse a girare, che la vita seguisse fino a che un giorno ritornasse. Ma tutto quello che ella sentiva mentre guardava all'acqua era agonia, e si domandava come una città tanto bella gli aveva potuto causare tanto dolore, come poteva stare in un posto che era il responsabile di avergli tolto quello che più voleva.
Suo fratello.
Suo marito.
Si portò le mani allo stomaco notando che il dolore ritornava.
Sentì allora che la città andava a riprendersi un'altra vittima che il bebè che aveva appena generato quasi stava sul punto di essere la sua ultima vittima.
Affondò nel suolo e tutto quella che poteva sentire era la voce di Joseph, mentre registrava l'orrore nei visi dei viandanti, ed ascoltava nella distanza le sue caotiche grida, le sirene avvicinandosi.
- Dovrebbe chiedere che mi restituissero il denaro.
I sostituti sanitari non la capirono. Invece di quello la misero 118
nell'ambulanza.
Rimase lì, mezzo incosciente. Niente potrebbe fargli più male. Neanche i segni di Emergenza mentre la conducevano per i corridoi dell'ospedale. La maschera di ossigeno aveva un odore curioso, ed il siero disturbava un po', ma tale era la sua pena, tale era la sua perdita che neanche gli importava.
Niente importava già.
Capitolo 13
ERA BELLISSIMO.
Fu il primo pensiero che fu venuto alla testa quando aprì gli occhi. Sentiva l'urgente necessità di chiuderli di nuovo e smettere di pensare.
Egli era seduto vicino al letto, addormentato, ma anche cosí non sembrava rilassato. Aveva i muscoli tesi ed il mento oscurato per la barba, una barba tanto oscura come la notte, come le ombre che aveva sotto gli occhi. Felicity guardò verso il basso e vide che aveva afferrata la sua mano, con le sue dita evitando di toccare l'ago del siero.
Il nastro dell'ospedale che copriva il suo anello sembrava essere destinata a stare lì.
Occultando l'unione che non sarebbe dovuto esistere mai.
Era tanto bello come la prima volta che aveva messo i suoi occhi in lui, solo alcune settimane prima, in quello momento c'erano ma molto più tra essi. Un matrimonio di convenienza ed un dolore dove sarebbe dovuto stare il suo cuore.
Ma non si pentiva.
In qualche posto del suo interno, cercava ancora di giustificare il dolore inflingido. La felicità che aveva trovato nelle sue braccia, il calore che l'aveva circondata quando i suoi occhi avevano abbassato la guardia, quando le sue forti braccia l'avevano sostenuta come un uomo dovrebbe sostenere una donna, il pensiero che Luca poteva farlo bene tutto.
- Felice? - egli domandò preoccupato. Si era tolto la giacca e, guardando, Felicity vide la marca del rossetto di Anna, un ricordo di quello che era successo, se è che aveva bisogno di lui.
Mise cara di dolore e guardò per un altro lato, ma egli fraintese 119
la sua agonia -. Qui - egli disse mentre gli metteva un cavo nella mano -. Stringilo. Ti toglierà il dolore.
"Niente" toglierà il dolore, stette per dire ella. I calmanti e le emozioni erano un cocktail esplosivo, ma gli rimaneva ancora orgoglio, gli rimaneva ancora qualcosa che Luca non potrebbe distruggere mai. Invece di guardarlo girò la testa verso le tende ed esaminò la stanza, ricordando.
Era evidente che tutte le stanze erano uguali lì, allora perché pensava che quell'era la stessa nella quale era morto Joseph?
Che le tende colore beige erano esclusive per la sua perdita?
Perdite.
Il bebè apparve nella sua coscienza, quella piccola vita che non aveva visto mai e non aveva desiderato mai coscientemente.
Ma ora che l'aveva perso si rese molto conto della cosa che lo voleva.
Il suo bebè.
Le lacrime uscirono dai suoi occhi, ognuna carica di agonia per la perdita di suo figlio. Quando Luca premè il bottone nella sua mano, ella lo separò. In qualche modo voleva, necessitava, sentire il dolore, l'agonia fisica. Il suo corpo chiedeva il ricordo di tutto quello che aveva perso.
- Lo sento.
Le parole di Luca suonarono insignificanti e vuote, una volta che suo figlio era morto.
- Ti avrebbe dovuto ascoltare - egli aggiunse gentilmente e si sedette nel materasso, spargendo il suo aroma attorno a Felicity.
Seguiva ancora senza potere guardarlo -. Non poteva capire perché non ti fidavi di me, perché insistevi in che c'era qualcosa tra Anna ed io.
- Non lo capivi? Come puoi dire quello quando stavi mentendo io tutto il tempo? Si supponeva che io dovevo diventare la cieca ciascuna volta che ti coricassi con lei? È
quell'il linguaggio che comprendi?
- Da quando Anna ed io rompemmo non mi sono coricato con lei.
- Evitatelo, Luca - ella disse stringendo il bottone. Ma quell'era un dolore che nessuna droga potrebbe curare, un'agonia 120
che la medicina moderna non guarirebbe mai. La cura per un cuore rotto era tanto evasiva come quella del raffreddore comune, e la malattia probabilmente uguale di predominante -.
Vi vidi. Vi beccai, non tentare di negarlo. I tuoi impiegati lo sapevano. A Rafaello quasi gli diede un infarto per dovere correre per avvisarti che la tua donnetta stava di passaggio, ed anche cosí hai la decenza di sederti qui e dirmi che non vi coricate?
Per la prima volta Luca non si arrabbiò, non si unì alla sua furia. Invece di quello lo tolse l'interruttore della mano, e dopo l'afferrò con le sue dita.
- Devi essere sveglia per questo, Felice. Mi ascolti ed a credermi. Sono stato un ingenuo - egli disse, ed ella lo guardò ascoltandolo dire simile cosa essendo un uomo tanto sicuro di sé stesso -. Fino a che ti conobbi non era stato mai geloso in tutta la mia vita. Era un sentimento che non aveva avuto mai fino a che tu apparisti. Quando pensava a te ed in Matthew sentiva un schifo interno che neanche riconosceva. Non sapeva che quella che sperimentava era gelosia. La stessa gelosia che sentiva Anna. E, per quello che io ho sperimentato, posso capire perché hai fatto cose tanto strane. Quello primo giorno, quando stavi nella mia stanza chiedendo il tuo vestito, la cosa unica che sapeva era che non poteva lasciarti andare. Avrebbe fatto qualunque cosa per fermarti, qualunque cosa, e quello è quello che stava facendo Anna. Pensò che se diceva alla gente che stavamo ancora insieme che se la sufficiente gente Lei, lo credeva, allora succederebbe in realtà. L'organizzò tutto fino all'ultimo dettaglio. Si incaricò di separarci quanto basta affinché ci fossero dubbi tra noi e dopo si scagliò come un avvoltoio sulla sua preda. Ma non mi sarei coricato mai con lei, mai. Arrivando alla stanza dal hotel, furioso, mi resi conto della cosa azzeccata che eri stato, della cosa calcolatrice che era stato dall'inizio Anna. Gli dissi che andasse via, ma si rifiutò di accettarlo, continuò a lanciarsi su me, pregandomi che me lo pensasse. Allora fu quando entrasti.
Felicity desiderava con tutte le sue forze crederlo, ma era troppo spaventata per accettare quella storia che tutto poteva 121
essere tanto semplice.
- Dovrebbe odiare Anna, ma non lo faccio - ammise Luca -.
Io-dà pena, più esattamente, capisco i suoi motivi. Capisco come la gelosia può farti fare cose strane. Come può lasciare da parte la ragione per agire per impulsi.
- Come chiedere ad un'estranea che si sposi con te? - ella domandò.
- Nella mia mente immaginava che se mi sposavo con te e ti amava, se diceva al mondo che eri mia moglie, qualche giorno tu finiresti per amarmi. Ti voglio, Felice.
- Niente di false dichiarazioni, ricordi? - ella disse separando la sua mano. La sua pena era la cosa unica che non poteva accettare. Ma Luca gli aveva messo le mani nel viso per obbligarla a guardarlo.
- Come può essere una dichiarazione falsa se parlo di cuore?
Ti voglio. L'ho fatto dal momento in che ti conobbi. Da quando mi coricai al tuo fianco seppi che non voleva lasciarti non andare mai. Quasi non ti conosceva ed avrebbe fatto qualunque cosa per averti lì. Avevi ragione. Sabotai i tuoi piani di studio, ritardai quello dell'avvocato, ma solo perché non sopportava l'idea di perderti. Non poteva sopportare vederti andare prima di avere incominciato.
Ella rimase lì, allucinata per le sue parole. Quell'uomo stava dicendogli quello che doveva ascoltare.
Luca Santanno l'amava.
Ed avrebbe dovuto aiutare, ma non lo fece. L'omissione di qualunque dichiarazione di amore durante la sua relazione era costata la vita di suo figlio.
Momentaneamente la speranza che aveva invaso il suo corpo si disperse. Chiuse gli occhi ed allontanò la sua mano da quella di lui.
L'amore sembrava una compensazione minima in paragone con la perdita che aveva sofferto.
- Sapevi quello del bebè, verità? - egli domandò delicatamente. Ella assentì lentamente mentre le lacrime gli cadevano per le guance -. Per quel motivo stavi tanto male, tanto...